Roberto Porta (Roseto degli Abruzzi, 5 maggio 1998) è un giovane batterista abruzzese che rapidamente si sta imponendo nel panorama nazionale. Insieme a Iacopo Volpini, nel 2019 è stato vincitore del contest IDM indetto da DS Drums e che vedeva una giuria composta da Phil Mer, Diego Corradin, Enrico Matta, Christian Koch e Gianluca Capitani.
Altro importante contest che l’ha visto protagonista è quello indetto dall’americano PAS (Percussive Art Society): insieme a Andrea Giovannoli sono gli unici batteristi europei tra i 10 finalisti. Purtroppo la pausa forzata ha impedito lo svolgersi delle finali.
In questo interessante scambio di vedute tra presente e futuro, ho approfittato di questa pausa proprio per capire al meglio il suo approccio allo strumento e come la batteria sta cambiando tra i più giovani
Allievo della scuola di musica CentroMusicaModerna Lizard di Roseto degli Abruzzi, si diploma col massimo dei voti ed ottenendo la Lode e la Menzione Speciale. A giugno 2018 si laurea presso il Conservatorio Rossini di Pesaro con il massimo dei voti e conferimento della lode. Successivamente prosegue gli studi con Maxx Furian presso il NAM di Milano.
Nel 2013 suona a Roma nel corso del festival “Batterika” e nello stesso anno viene riconosciuto come “miglior talento” dell’Umbria jazz clinic e viene selezionato come batterista dal contrabbassista da Giovanni Tommaso per aprire il Festival dell’ Umbria Jazz winter di Orvieto dello stesso anno.
Particolare feeling con i contest : vale la pena menzionare “Il festival delle Percussioni” (tenutosi nella città di Montesilvano e dove vince il primo premio nella sezione batteria nelle edizioni del 2012 e del 2014, mentre nel 2013 arriva secondo nella sezione “tamburo classico”), IDM (primo insieme a Iacopo Volpini) e PAS (arrivato alle finali nel 2020 insieme ad altri 10 batteristi provenienti da tutto il mondo). Inoltre nel 2016 partecipa al programma televisivo Italia’s Got Talent arrivando sino alle semifinali.
Musicalmente sono da annoverare le collaborazioni internazionali con Marius Pop e Nicolae Eduard George.
Ciao Roberto, durante la pausa forzata per il coronavirus sei stato particolarmente attivo nella produzione di video. Come hai affrontato questo terribile momento?
In questo periodo particolare ho deciso di rimanere attivo facendo quello che ho potuto e lavorando con tutta la mia strumentazione. Fortunatamente ho a disposizione il mio studio proprio sotto casa. Ho potuto quindi continuare con le lezioni online, con lavori di registrazione in studio, producendo nuovi video e nuovi contenuti, e lavorando allo stesso tempo a progetti futuri.
Purtroppo per te, il coronavirus ha rappresentato anche l’impossibilità di partecipare alle finali del PAS. L’evento sarà rimandato?
Te e Andrea Giovannoli siete stati i due italiani selezionati per questa importante finale. Come è nata la tua partecipazione alla manifestazione? Come hai affrontato le selezioni?
Sono venuto a conoscenza di questo evento lo scorso anno, avendo visto l’annuncio del PAS tramite Facebook. Di conseguenza ho letto tutte le modalità per partecipare. La selezione è avvenuta online mediante l’invio di un video e sono rimasto molto contento di essere stato scelto come finalista.
Tra i vari video, hai partecipato anche alla mia challenge creativa “COVID 19/8”. Come hai lavorato sulla tua esibizione?
E’ stato innanzitutto molto interessante e divertente fare questo duetto insieme in un tempo dispari. Ho voluto lavorare con un groove a sedicesimi, spostando accenti tra cassa, rullante e i tom poichè, essendoci state già campane ecc, ho voluto puntare sulla riproduzione di suoni con note più gravi proprio per non impastare e per creare un contrasto e un’orchestrazione tra noi due. Non ho ritenuto quindi necessario l’utilizzo dei piatti in questo caso.
Uno dei video che ha più impazzato nella rete è stato sicuramente il tuo botta e risposta a distanza con Eric Moore. Come hai sviluppato il tuo fraseggio all’interno del video? Hai avuto dei feedback da parte di Eric Moore?
Mi son divertito moltissimo a duettare con una delle mie più grandi influenze come Eric. L’approccio che ho utilizzato è stato quello di aver voluto fare questa shed non come se fosse una sfida o una battaglia, ma improntando l’idea del mio fraseggio su una sinergia reciproca tra me e lui, al fine di ottenere un duo equilibrato, sviluppato su una continua crescita di tensione e di animo dall’inizio alla fine fino a raggiungere il climax, e che potesse attirare l’attenzione per tutta la sua durata. E’ stato inoltre un immenso piacere aver potuto ricevere, tramite Instagram, un suo feedback, dove è rimasto molto contento dello sviluppo del duetto e della mia idea di fraseggio. Ne son rimasto veramente onorato.
Cosa ti affascina del mondo gospel? Come ti sei avvicinato ed hai sviluppato questo linguaggio?
Avendo avuto anche un’esperienza negli Stati Uniti (a Chicago nel 2017) posso confermare che i futuri musicisti vengono istruiti nelle chiese già da quando sono molto piccoli: questo attraverso la musica Gospel. Secondo la mia umile opinione, ciò che il Gospel insegna loro e che conseguentemente li forma musicalmente, è la disciplina ed il rispetto nei confronti della musica stessa. Questi sono aspetti determinanti per poter creare musica e capire come approcciarsi ad essa per intraprendere nel modo più giusto questo tipo di lavoro. La Black Music l’ho sempre ascoltata sin da quando ero piccolo, dal Blues, al Soul, all’R&B, al Gospel: sono generi che veramente mi hanno dato moltissimo e che mi aiutano a crescere musicalmente. Sono sempre stimolanti.
Quali sono i batteristi che maggiormente segui di questa corrente batteristica?
Ce ne sono diversi, tra i quali Ronal Bruner Jr, Chris Coleman, Eric Moore, Shariq Tucker, Mike Mitchell, Maison Guidry, Thomas Pridgen, Aron Spears e molti altri.
Denigrato da molti, lo stile gospel è sicuramente uno dei linguaggi che più hanno preso la scena negli ultimi anni e che maggiormente hanno riportato la comunità afro-americana al centro della scena batteristica. In una bellissima lezione di Alfredo Romeo, faceva un parallelo tra i drum shed della comunità gospel e i primi incontri tra ex-schiavi neri a New Orleans, presso Congo square, che determinarono a fine ‘800 la nascita dell’odierno linguaggio musicale. Cosa ne pensi di questo parallelo?
Secondo la mia opinione, la musica dei neri americani ha avuto sempre un continuo processo di evoluzione, e lo ha tutt’ora. Grandi come Miles Davis, Ahmad Jamal, Herbie Hancock, non hanno mai smesso di sperimentare e di innovare la musica. Una grande svolta e innovazione c’è stata grazie alla nascita dell’Hip-Hop e del rap già tra la fine degli anni 80′ e l’inizio degli anni 90′, con J Dilla che ha fornito una nuova concezione del beat, unitamente a Slum Village, Nas, De la Soul e molti altri. Quindi con l’avvento di questo nuovo discorso ove il Jazz nei locali di New York, si è incontrato e mescolato con l’hip-hop. Batteristicamente parlando, grandi come Billy Cobham e Dennis Chambers, hanno contribuito alla nascita e allo sviluppo di un diverso modo di suonare: il “Black Drumming”. Questo è stato quindi innovato e portato avanti da batteristi di nuova generazione.
Proprio parlando di Eric Moore, mi viene in mente una riflessione. Quando fu preso come batterista di Ramazzotti in tantissimi storsero la bocca per la scelta di un batterista ipertecnico a favore di una musica tecnicamente minimalista, dove i batteristi precedenti erano più incentrati sul timing. Secondo te è un chiaro messaggio che il turnista del futuro nel mondo del pop non dev’essere solo un freddo ed impersonale robot quadrato sul metronomo, ma anche saper dar sfoggio di un linguaggio più “avventuroso”?
Essendo stato per diverso tempo influenzato dal modo di suonare di Eric, ho potuto riscontare che non è solamente un batterista con un alto livello tecnico, ma ha anche una sua visione completa di come poter mettere in armonia tutti gli elementi all’interno di una formazione. Ha un timing e un groove nel suo modo di accompagnare così precisi ed impeccabili e con un balance perfetto, supportato da una scelta dei fill altrettanto musicale e inerente al carattere del brano e del genere musicale. A mio parere questo linguaggio più tecnico e avanguardistico di Eric Moore, si sposa molto bene col repertorio di un cantante come Ramazzotti, così come sta succedendo nella musica pop americana con molti cantanti che hanno batteristi di questo tipo. Un tale elemento all’interno della band fornisce comunque un’ energia in più e rende comunque il pubblico molto più partecipe e attratto. Stiamo quindi assistendo ad un vero cambiamento epocale sotto questo punto di vista. Provenendo ovviamente dalla formazione della musica gospel dalla chiesa, svolge anche il ruolo di batterista/cantante, così come Ronald Bruner Jr e altri batteristi, infatti ricordo di aver visto un suo video con Ramazzotti dove cantava delle frasi riproponendole con botta e risposta al pubblico.
Tengo a dire che sono aperto a tutti i vari stili e generi musicali, pertanto a me piace molto creare dei contenuti dove posso suonare diversi generi. Dipende dall’ispirazione che ricevo nel momento in cui decido di creare un video. Quando sento un brano che mi piace, non esito due volte a farlo, a prescindere dal genere di cui si tratta. Può trattarsi di un brano Pop, Prog, Rock, Jazz, Fusion, un estratto di un groove o di concetti che mi vengono in mente mentre studio o qualsiasi altra cosa. Sicuramente nei miei video si può intendere il modo in cui a me piace suonare, improntato verso un drumming nuovo, non limitato solamente al timing. Cerco sempre di inserire questo tipo di fraseggio nella costruzione di un fill e nell’arrangiamento delle parti, per creare dei concetti che possano essere inaspettati per l’ascoltatore, e ovviamente sempre rispettando il carattere del brano e del genere musicale. Interagire mediante la batteria con gli altri strumenti all’interno del brano, può sicuramente creare un dialogo più acceso e più dinamico.
Come curi la tua comunicazione ? Il cellulare è secondo te un elemento fondamentale del professionista moderno?
La comunicazione è determinante specie nei giorni nostri. Il proprio profilo sui vari social va sicuramente visionato e controllato giornalmente, comunicando con gli altri e a chi è interessato al tuo prodotto. Io questo lo svolgo tramite il mio computer, se poi non lo si ha a portata di mano ecc, sicuramente le stesse azioni possono essere svolte dal cellulare. Certo, il cellulare ricopre un ruolo importante per la gestione dei social e per comunicare con gli altri giornalmente, e questo soprattutto per i professionisti, ma dedicandogli comunque il giusto tempo.
In linea generale, come lavori sui suoni e nella scrittura delle tue parti di batteria ? Preferisci scriverle con qualche software oppure sperimenti in sala di registrazione?
Sono sempre stato abituato alla trascrizione delle parti ritmiche dei brani da suonare. Ovviamente se il tempo a disposizione è poco per poter imparare i brani, il ruolo e la capacità di trascrizione in un tempo molto ristretto diventano determinanti. Quando studio, che lavoro all’elaborazione di nuovi concetti e idee, trascrivo manualmente tutto ciò che penso, anche perchè a volte ritrovo delle trascrizioni di concetti che col tempo posso anche essermi dimenticato. Sperimento molto anche in sala di registrazione, in quanto a me piace registrarmi e risentire ciò che ho suonato. In questo modo ho anche la possibilità di riuscire a captare, nelle varie registrazioni, delle idee che mi piacciono di più e che poi posso andare a sviluppare meglio nel tempo. Per quanto riguarda i suoni della mia batteria, ho un mio preset fisso che utilizzo per studiare e suonare, però cerco sempre di produrre dei suoni in relazione al carattere del brano e del genere musicale, cercando al maggior modo possibile di avvicinare il mio strumento al sound di quel genere.
C’è stato un momento in cui hai pensato “Ok, ora sono un professionista” oppure pensi che sia ancora lontano quel giorno ?
Io mi sento pronto per svolgere questo tipo di lavoro, in quanto è stato il mio sogno ed il mio obiettivo sin da sempre, e ho sempre fatto i sacrifici per far sì che ciò si avverasse. Ovviamente ho avuto momenti in cui ho pensato “forse non fa per me” oppure “non sarò mai un professionista”, ma adesso mi sento pronto per questo.
Se prima le collaborazioni avvenivano solo a livello locale, ora si ha la possibilità di registrare e collaborare anche a distanza. A te è mai capitato ? Allargandosi le possibilità, si allarga anche la concorrenza. Perché qualcuno dovrebbe scegliere te come batterista di un progetto ? Cosa pensi che ti possa rendere unico ?
Secondo il mio parere e la mia esperienza che ho avuto al riguardo, con i social oggi è molto più facile instaurare contatti con altri musicisti con i quali avviare delle collaborazioni, anche a distanza ovviamente. Questa è una cosa che a me è accaduta con il chitarrista Marius Pop, avendolo conosciuto ormai già da qualche anno e con il quale lavoro a diversi progetti, avendo realizzato con lui anche dei lavori a distanza. Tutti possono vedere i tuoi contenuti in qualsiasi momento e da qualsiasi luogo, pertanto sotto questo punto di vista si hanno più possibilità. Se un batterista, come qualsiasi altro strumentista, viene scelto in un progetto o chiamato da un’artista, è perchè il modo di suonare di quel musicista ha convinto colui che ha deciso di ingaggiarlo. Essere convincenti nel proprio modo di suonare è un aspetto determinante per poter prendere dei lavori. A prescindere dal genere di cui si tratta, se il Pop, il Jazz, il Rock, Fusion o R&B ecc, la cosa più importante secondo me è quella di dare fiducia con il tuo playing a chi vuol darti un lavoro, dimostrando di saper suonare bene e nel modo giusto quel genere. Possono essere molti i particolari che rendono unico un musicista ed un batterista: il suo portamento nel groove, la sua idea di fraseggio, il suono, il tocco, il suo modo di orchestrazione ecc. E’ una ricerca continua quella che si svolge per definire sempre di più il proprio stile sotto vari aspetti inerenti allo strumento, una volta che è stato trovato e focalizzato. Ma alla fine suonare per la musica, per il brano e per il genere musicale è la cosa più importante di tutte.
A tuo dire la nuova leva di musicisti quali punti di forza ha e quali sono le principali mancanze ?
Internet, i social e la globalizzazione del web hanno incrementato i tempi. Ora tutte le informazioni sono a portata di tutti in pochi secondi, pertanto è molto semplice poter ricevere tutte le informazioni necessarie e svilupparle al meglio che si può. A differenza della situazione musicale che forse poteva esserci 20 o 30 anni fa, oggi si suona molto meno nei locali dove si possa promuovere della buona musica, così come per progetti originali. Forse è una questione legata a dei musicisti che in alcune zone riflettono solo in ambito di territorio, però la musica ha sempre bisogno di innovarsi e di musicisti che abituino il pubblico all’ascolto e all’apprezzamento della buona musica. Una cosa che penso fortemente, è quella di dover essere aperti verso tutti i generi e di dover saper far tutto per poter riuscire a lavorare bene, così come fanno i più grandi attori per esempio, ma anche i grandi batteristi.
Io e te abbiamo quasi 10 anni di differenza. Quando ho iniziato io la musica (e di conseguenza la batteria) era molto presente nei vari canali mediatici. Ora la batteria è quasi del tutto sparita dalle tv, radio, teatri ed addirittura moltissimi artisti in vetta alle classifiche, girano unicamente con il dj, o come accaduto a De Gregori, scelgono di rinunciare alla figura del batterista. Adesso cosa spinge un ragazzo a voler suonare la batteria? Secondo te stiamo assistendo al tramonto della batteria o alla sua rinascita 2.0 ?
Secondo me si sta assistendo ad un cambiamento, in quanto è un modo diverso di lavorare rispetto al pop che si faceva in un’epoca diversa. Trovo allo stesso tempo molto bello dare spazio anche alle capacità dei singoli musicisti all’interno della band, e qui mi riallaccio al discorso di Eric Moore con Ramazzotti, dove comunque lui ha anche degli spazi per mettere in mostra il suo stesso modo di suonare. Credo che sia anche un aspetto che possa attrarre maggiormente il pubblico e renderlo più partecipe al concerto, anche perchè un batterista come Eric ha quella personalità nel dialogare col pubblico e renderlo protagonista in alcuni momenti. Ho riscontrato personalmente questa cosa anche con Tullio De Piscopo, avendo visto dei video di quando suonava con Pino Daniele. Con questo non voglio dire che i musicisti diventano protagonisti, perchè è sempre la figura del cantante a predominare, però vengono resi più partecipi in alcuni momenti durante il concerto, come avviene nel pop americano.
A proposito di elettronica, mi pare di vedere che tu la usi molto poco. Come mai?
A me l’elettronica è un genere che piace molto, non sono uno sperimentatore in merito, ma la utilizzo in alcune parti dei miei brani o progetti in cui mi piace dare dei suoni elettronici, non del tutto comuni.
Sempre facendo un parallelo tra la tua generazione e l’elettronica, mi viene in mente una riflessione che fece sempre Alfredo Romeo. La generazione dei “millenials” è stata probabilmente la prima che ha studiato e mosso i primi passi con l’elettronica, al punto tale che molti la portano anche dal vivo preferendola all’acustica. Secondo te l’elettronica avrà un impatto sempre maggiore?
L’elettronica secondo me, fatta sempre col giusto criterio e con intelligenza musicale, è un altro genere in continua evoluzione. Partendo da Karlheinz Stockausen, un genio e uno dei promotori e pionieri dell’elettronica, si è arrivati a oggi dove la musica elettronica è stata assorbita e contaminata da tanti altri generi musicali, e utilizzata molto nelle colonne sonore nei film con le composizioni, ad esempio, di Trent Reznor e Atticuss Ross, sino ai progetti “Nerve” di Jojo Mayer, “Heernt” e “Beat Music” di Mark Guiliana che ascolto molto spesso e che mi piacciono particolarmente.
Ovviamente il tuo nome è molto in vista proprio grazie al grande lustro dato da contest musicali, mi vengono in mente i brillanti risultati a Italia got talent e IDM (dove hai anche vinto). Mi viene in mente un’intervista di De Andrè dove un giornalista gli chiese perchè non partecipasse a SanRemo e lui rispose “Se io pensassi di essere attrezzato per fronteggiare delle ugole sicuramente migliori della mia, se fosse solo un fatto di corde vocali, la si potrebbe ancora considerare una competizione quasi sportiva, perché le corde vocali sono pur sempre dei muscoli. Nel mio caso dovrei andare ad esprimere i miei sentimenti o la tecnica con i quali io riesco ad esprimerli, e credo che questo non possa essere argomento di competizione”. Tu come ti divincoli da questa riflessione tra espressione artistica e competizione?
Posso rispondere a questa domanda in merito a ciò che io provo partecipando ad un contest. Io personalmente la vedo come una sfida non contro gli altri partecipanti, ma contro me stesso. Questo a causa dell’adrenalina, dell’emozione e dell’energia che provi nel momento in cui ti trovi a suonare dinanzi a dei tuoi doli e grandi influenze. Pertanto l’obiettivo, sempre e solo secondo la mia opinione e sulla mia esperienza che ho avuto in merito, è quello di superare te stesso in questi blocchi emotivi e quant’altro, trasformando il tutto in energia positiva per trasmettere emozioni e passione a chi ti ascolta. Tengo ad aggiungere che questi stessi eventi possono anche darti nuove possibilità e magari aprirti delle nuove porte per il futuro.
Che consiglio ti senti di dare ai ragazzi che vogliono esibirsi ad un contest? Quali sono secondo te gli aspetti sui quali bisogna lavorare?
Il contest è anche uno sprono maggiore per poter studiare e raggiungere un risultato. Il mio consiglio è di fare tutti i sacrifici per studiare il materiale per preparare la performance, avere la costanza nel farlo, non farsi prendere dall’ansia e dall’emotività ma trasformarle in energia positiva da dare agli altri e a chi ti ascolta.
Sei di Roseto degli Abruzzi. Negli ultimi anni sono piacevolmente sorpreso dall’altissimo numero di giovani musicisti che vengono dall’Abruzzo. Questa regione come ti ha cresciuto musicalmente ed artisticamente ? Quali pensi che siano le principali difficoltà ?
Io sono entrato al conservatorio L. D’Annunzio di Pescara a studiare percussioni classiche del corso vecchio ordinamento all’età di 9 anni, proseguendo gli studi con Clara Perra che è stata una guida determinante per me, venuta a mancare due anni prima del mio Diploma. Pertanto ho cambiato conservatorio, trasferendomi come studente presso il G. Rossini di Pesaro, ove ho concluso i miei studi con la prof.ssa Cinzia Honnorat. Forse a causa di questo, ho perso i contatti con i musicisti che operano nella zona di Pescara.
Ho iniziato a suonare la batteria sin da quando ero piccolo e specialmente grazie a mio padre Gabriele, anche lui batterista che mi ha subito trasmesso questa passione. Dalle pentole che suonavo con gli spaghetti, sono poi passato al mio primo set giocattolo, fino alla mia prima batteria acustica che mi ha dato mio padre, avendo gestito per 35 anni un negozio di musica. La prima volta che ho suonato una batteria acustica presso il suo negozio, è stata proprio con una DS, e avevo 2 anni. Guardavo sempre le cassette del Modern Drummer Festival di Vinnie, Dave Weckl, e altri video di Steve Gadd, Jeff Porcaro e tanti altri. Quindi la mia passione da lì è cresciuta sempre di più, grazie sempre a mio padre che mi ha indirizzato agli ascolti della buona musica. Il primo album che abbia mai ascoltato è stato “The Nightfly” di Donald Fagen. I miei idoli ne sono molti: Tony Williams, Buddy Rich, Max Roach, Roy Haynes, Elvin Jones, Vinnie Colaiuta, Steve Gadd, Dave Weckl, Steve Smith, Gary Novak, Virgil Donati, Dennis Chambers e molti altri. Gergo Borlai ha dato una svolta decisiva al mio percorso, e mi ha aiutato a crescere moltissimo e a focalizzare il mio stile e il mio modo di suonare, avendomi aiutato anche in un periodo e in una crisi molto difficile con tutta la sua ispirazione. Per questo lui è veramente la mia più grande influenza. Nicolas Viccaro è un altro batterista stellare, un altro idolo che continua a darmi una grande ispirazione. Federico Paulovich mi ispira moltissimo, per questo lo seguo già da parecchi anni, e ogni volta che ho un dialogo con lui, mi fornisce sempre nuovi input e stimoli non solo inerenti al mondo della musica e della batteria.
La batteria secondo il mio parere è tutto il contrario, è proprio lo strumento più istintivo da suonare che ci sia, come quasi tutti gli altri strumenti a percussione.
Frank Zappa diceva che “senza deviazioni dalla norma non c’è progresso”. Batteristicamente e nella vita quotidiana quali scelte hai fatto per deviare dalla norma ? Quanto conta per te progredire ?
Sono pienamente d’accordo con questa affermazione di Frank Zappa, in quanto lui è uno dei miei più grandi riferimenti musicali. Conta molto progredire ed innovarsi nel proprio stile e modo di suonare secondo la mia opinione, in quanto tutti i più grandi artisti nelle varie epoche, sono riusciti in questo modo ad introdurre nuovi generi e filoni musicali che hanno innovato la musica stessa. Conoscere, come giusto che sia, la storia ed il passato prima di tutto, fornisce la possibilità di capire ciò che è accaduto prima, per poi poter essere appunto in grado di introdurre nuove idee, e quindi innovazione e modernità.
Hai qualcosa che ritieni essere la tua firma sonora per cui qualcuno ti può facilmente riconoscere ? Cosa rappresenta per te il suono ?
Il suono sullo strumento è fondamentale, senza dubbio uno degli elementi che più ti permettono di poter essere riconosciuto all’ascolto. Un elemento caratterizzante secondo me il mio playing, è la mia idea di fraseggio, ma ci sono anche tante altre cose devono essere prese in considerazione per conoscere musicalmente un batterista. Il suono è ovviamente alla base di tutto, in quanto ognuno di noi ha una frequenza sonora diversa sullo strumento.
Il mio percorso didattico è stato vario. Dallo studio dei grandi batteristi, agli ascolti dei grandi musicisti e della discografia dei gruppi di vari generi che hanno fatto la storia, sino allo studio delle percussioni sinfoniche in conservatorio, approcciandomi quindi alla musica classica e contemporanea. Ultimamente mi ispiro particolarmente alla continua ricerca del linear phrasing, e di vari modi per poter costruire dei drunken grooves.
Hai studiato al conservatorio. Pensi che questo percorso sia indicato per chi voglia studiare batteria e che formi adeguatamente, o è semplicemente un valido “pezzo di carta”?
Lo studio delle percussioni sinfoniche è stato determinante per me. Mi ha aiutato ad avere una visione sulla batteria più estesa rispetto ad una normale visione “batteristica”. Mi ha aiutato e tutt’ora mi aiuta moltissimo nel mio approccio di orchestrazione sullo strumento, cercando sempre di trovare una melodia arrangiando un goove, un fill o anche dei soli, pensando la batteria stessa come se fosse una marimba o un pianoforte.
Da qualche anno studi con Maxx Furian al Nam. Cosa ti affascina della sua didattica e su quali punti permea il tuo percorso di formazione con lui?
Con Maxx ho intrapreso il quarto anno del suo corso “Batteria Maxxima” presso il Nam Bovisa di Milano, che ho concluso lo scorso anno. E’ stato molto bello, in quanto al quarto anno Maxx non utilizza approcci a metodi ecc, ma fa lavorare su dei brani che sono molto complessi, e che richiedono una padronanza su diversi aspetti per poterli suonare, quindi di una buona capacità di improvvisazione, il timing che ovviamente deve essere apposto, l’interpretazione, l’utilizzo del fraseggio e molti altri punti di vista. Maxx mi ha insegnato ad utilizzare il giusto approccio nei confronti del brano, del genere e del contesto musicale in cui ti trovi a suonare.
Sei un maestro di batteria. Quali valori cerchi di dare ai tuoi allievi ? Quali metodi consigli e come i tuoi maestri ti hanno influenzato in questo tuo lavoro ?
Ai miei allievi cerco innanzitutto di trasmettere la passione nei confronti della musica e della batteria, che è la cosa più importante da fare per un insegnante a mio parere. Conseguentemente tutte le nozioni inerenti ad una buona tecnica, a una buona postura e impostazione, alla cura del suono e del tocco, allo sviluppo della musicalità sullo strumento, allo sviluppo del timing, alla conoscenza del groove e dell’accompagnamento nei vari stili, all’improvvisazione, al solfeggio e all’acquisizione di una buona capacità di lettura ecc. La cosa che mi piace molto insegnare a loro è quella appunto, e lo ripeto ancora, di essere aperti a tutta la musica, facendoli lavorare nei vari stili e generi musicali. A proposito di metodi che utilizzo e faccio studiare ce ne sono molti, tra i quali lo “Stick Control”, il “New Breed”, il “Syncopation”, “Beyound the rudiments” di A. Buonomo, i solfeggi ritmici dal D. Agostini ecc.
Nel dopoguerra il jazz rappresentava l’avanguardia e molti locali proponevano questa musica avanguardistica ad un pubblico non ancora preparato, ma molto affamato di voler scoprire. A distanza di molti anni, la situazione sembra essere ribaltata dove assistiamo ad un pubblico molto preparato ma poco propenso alla scoperta del nuovo. Secondo te è così o vedi qualche barlume di speranza ? Il pubblico è ancora affamato di ricerca sonora o novità ?
Secondo la mia opinione, in questi ultimi anni non abbiamo assistito ad un vero e proprio cambiamento. Forse è per questo che il pubblico è rimasto ancorato alla tradizione. E’ un vero peccato perchè nel panorama musicale italiano ci sono tanti artisti giovani, come me anche, che hanno voglia di portare avanti un discorso diverso, tra i quali il chitarrista Matteo Mancuso, il bassista Riccardo Oliva, il sassofonista Marco Scipione e molti altri. Sarebbe bello incontrarci, e spero che possa succedere al più presto possibile.
Negozi di strumenti musicali, scuole di musica, industria discografica. Entità in forte crisi che non hanno saputo adeguarsi ai cambiamenti del tempo e di una società in continua evoluzione. Per un artista, quanto è importante e vitale guardare quello che succede attorno a noi e sapersi reinventare ?
E’ molto importante per un musicista essere al passo con i tempi, e adeguarsi specialmente al cambiamento e anche alla direzione in cui converge il mercato musicale stesso. Come dicevo prima, secondo me è importante essere di larghe vedute e aperti musicalmente a tutto, quindi saper suonare di tutto, adattarsi ai vari contesti musicali e di lavoro, e l’insegnamento che senza dubbio è un altro aspetto molto importante oggi. E’ ovvio che ogni musicista ha il suo genere musicale che preferisce rispetto agli atri, ma essere comunque di mentalità aperta può darti anche la possibilità di poter lavorare bene.
Cosa rappresenta per te l’arte e come la ricerchi ? Questa ricerca influenza il tuo modo di suonare o d’intendere la vita ?
L’Arte a me aiuta moltissimo a concepire delle idee sullo strumento. Cerco di ispirarmi spesso a dei colori per esempio, che cerco poi di trasporre sullo strumento, o a dei quadri o ad altre opere pittoriche dalle quali prendo ispirazione per lavorare a nuove idee ecc. Mi aiuta parecchio anche nella maturazione dell’orchestrazione di groove e della mia idea di fraseggio, dandomi spunti per spostarmi in modo diverso con i miei arti sul set, e questo con un processo di totale improvvisazione mentre studio, pensando ad un’opera artistica che in quel momento mi ispira particolarmente.
Ci sono mai stati momenti in cui volevi lasciar perdere ?
Assolutamente si. E’ ovvio e normale che all’interno di un percorso ci siano dei ripensamenti al riguardo o dei periodi di crisi. Alla fine la cosa più importante è quella di credere fino in fondo nelle proprie capacità, avendo la costanza, la volontà e la determinazione per raggiungere degli obiettivi e dei traguardi. In questo modo, sempre e solo secondo la mia esperienza, si possono superare questi momenti e queste difficoltà.
Ora molta informazione passa attraverso i social e Youtube, mentre una volta si andavano a scoprire i musicisti guardandoli da vivo. Com’è il tuo approccio verso questa nuova tendenza ?
Come ho risposto ad una domanda in precedenza, oggi tutti possono avere ogni tipo di informazione. Tutti possono osservare i grandi e prendere ispirazione dal loro modo di suonare. Però vederli poi in un contesto live fa totalmente un altro effetto, poichè si ha la possibilità di vedere come loro veramente lavorano in quello stesso momento nei confronti della musica, e come si relazionano e come dialogano con i musicisti con i quali stanno suonando. Questo non deve essere un aspetto che deve far perdere l’abitudine alle persone di andare ad ascoltare la musica live, perchè è tutta un’altra situazione.
Ti vorrei chiedere qualcosa riguardante la parte più lavorativa di questo lavoro. Come elabori il tuo cachet rispetto al lavoro proposto ? C’è sempre trasparenza in questo mondo oppure talvolta ti sei sentito sfruttato ?
Nei lavori che ho fatto fino ad adesso sono stato sempre remunerato della cifra che ho pattuito. Non mi sono mai sentito sfruttato, in quanto stabilisco sempre all’inizio tutte le condizioni.
Ai giorni odierni si può vivere di sola musica ? Che consigli daresti a qualcuno che oggi vuole fare della musica la propria professione ?
Il mio consiglio è, come ho già ribadito in precedenza, di essere aperti a tutto, avere la conoscenza su più generi musicali e saper suonare tutto e nel modo giusto per poter riuscire a lavorare bene e a vivere di musica.
Sei te in prima persona che ricerchi nuove collaborazioni oppure aspetti che le occasioni si presentino da sole ?
Con il mondo social, oggi si hanno più possibilità sotto questo punto di vista. E’ più facile appunto instaurare rapporti con altri musicisti che vogliono svolgere un progetto o una collaborazione con te, quindi l’opportunità e la possibilità c’è sempre oggi sul mondo social e sul web, in quanto tutti possono vedere i tuoi contenuti in un qualsiasi momento. Ad esempio, proprio grazie a questo aspetto ho avuto la fortuna di conoscere, come ho già detto in precedenza, Marius Pop, un chitarrista eccezionale con il quale sto lavorando a diversi progetti già da qualche anno. Ovviamente il fatto di frequentare un ambiente giusto, dove si respira la musica 24 ore al giorno, quindi un luogo dove c’è un grande environment di musicisti, si ha la possibilità di suonare molto di più, di creare più contatti e quindi di avere molte più opportunità. Essere al posto giusto nel momento giusto è la cosa che fa la differenza.
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