Il 14 marzo avrà luogo presso il locale B-Folk la prima tappa di una rassegna che propone alcuni duetti inconsueti tra musicisti altrettanto inconsueti. In questo primo appuntamento si ritroveranno Fabrizio Spera e Massimiliano Furia.
Massimiliano Furia nasce nel 1973 ed inizia a suonare alla tenera età di 12 anni. La prima parte della sua formazione, lo vede approcciarsi allo strumento d’autodidatta. Solo successivamente studia con il maestro Enrico Botti a cui fa seguito la formazione con Walter Calloni con il quale approfondisce il linguaggio pop e rock.
Nel 2004 si avvicina al Jazz collaborando con il trombettista Luca Cosi. Insieme a lui incide i cd I Colori del Suono (Splasch) e I Suoni del castello(Jazz lighthous records). Questa collaborazione lo porta a suonare in diversi festival jazz italiani .
Inizia lo studio della batteria Jazz con Marco Volpe. In questo periodo frequenta numerosi seminari e masterclass perfezionandosi con Alfred Kramer, Ettore Fioravanti, Ellade Bandini, Bobby Durham, Luigi Bonafede,Pietro Leveratto,Dimitri Grechi Espinosa, Maurizio Gianmarco,Cris Culpo,Andrea Pozza,Larry Granadier,Jeff Ballard, e Fabrizio Sferra con il quale studia per due anni.
Vanta numerose collaborazioni che spaziano in più direzioni musicali. Tra i numerosi musicisti si possono citare : Mauro Avanzini, Pietro Leveratto, Achille Succi, Cris Culpo, Fabio Zeppetella, Pietro Tonolo, Stefano Calzolari, Renato Sellani, Nico Vernuccio e Luigi Bonafede. Con Federico Gerini nel 2013 collabora all’incisione del cd La Forma dei Ricordi (Dodicilune).
Dal 2010 segue il corso di Alto Perfezionamento a Siena Jazz tenuto da Stefano Battaglia con il quale ha inciso il cd “Bartleby the Scrivener“(Evil Rabbit records).
Intervista con Massimiliano Furia
L’imminente avvicinarsi del giorno dell’esibizione mi dà lo spunto di scambiare qualche chiacchiera con Massimiliano per capire meglio alcuni spunti del suo approccio non convenzionale allo strumento
Ciao Massimiliano, vuoi parlarci della tua carriera ?
Inizio a suonare all’età di 12 anni perché mio padre suonava nel gruppo della chiesa. Aveva il senso del tempo e si era proposto come batterista. Non mi ha potuto insegnare niente perché sapeva fare davvero poche cose ma fin da piccolino questo strumento mi attraeva. Suonavo da solo in soffitta e cercavo di imitare ciò che sentivo alla radio. Più’ avanti in paese abbiamo messo su un gruppo con altri due ragazzi ben più’ grandi di me ma non si riusciva ad andare in fondo ad un brano. Solo più’ avanti, dopo alcune esperienze con gruppi in cui si riuscì a metter sù un repertorio esibendosi dal vivo nelle sagre di paese, ho sentito la necessità di mettermi a studiare seriamente il mio strumento. L’alternativa era smettere, ero tecnicamente molto indietro e non riuscivo a produrre in suono ciò che volevo e sentivo. Da lì in poi ovviamente le cose sono migliorate anche dal punto di vista dei gruppi a cui partecipavo ed intorno ai 30 anni ho incontrato il jazz ed è stata una folgorazione. Nel 2011 c’e’ stato l’incontro con la musica improvvisata fuori dai linguaggi ed è stata un’altra folgorazione che dura tutt’oggi. Nel mio momento più jazz ho avuto la fortuna di suonare dal vivo e registrare con grandi musicisti con Pietro Leveratto, Pietro Tonolo, Cris Culpo, Dimitri Grechi Espinosa per fare alcuni esempi. Attualmente ho varie formazioni in duo o trio in cui proponiamo musica improvvisata e dove ho il piacere di suonare con Stefano Battaglia, Andrea Massaria, Silvia Bolognesi, Walter Prati, Giancarlo Schiaffini, Marco Colonna, Mirco Ballabene, Piero Bittolo Bon. Biagio Marino.
Puoi parlarmi della tua collaborazione con Stefano Battaglia ?
Tramite un mio amico ho saputo che a Siena jazz Stefano teneva laboratori di ricerca musicale. L’ho contattato e mi ha inserito in un trio a cui mancava la batteria. Ho scoperto il mio mondo. Da quel laboratorio ne e’ uscito una ottima registrazione uscita per l’etichetta Evil Rabbit dal titolo Bartleby the Scrivener. Di quel quartetto facevano parte anche Fiorenzo Bodrato al contrabbasso ed Andrea Massaria alla chitarra con cui il rapporto musicale non si e’ mai interrotto. Con Andrea attualmente ho un paio di progetti musicali, uno in duo e l’altro in trio con Walter Prati.
Ho seguito per alcuni anni i laboratori di Stefano da cui sono uscite altre registrazioni , Stefano Battaglia Theatrum ”The Book of song Vol.1” edito dalla Alessa records(solo in versione digitale).
Di prossima uscita il progetto di Mirco Ballabane, contrabbassista di Urbania molto bravo, ispirato alle poesie di Zanzotto al quale tutti e tre abbiamo lavorato agli arrangiamenti delle parti scritte. Un lavoro di cui tutti e tre andiamo molto fieri sul confine tra musica scritta e musica improvvisata. Suonare con Stefano e’ straordinario, ha una forza ed un’espressività che non trovi facilmente. Ha sempre tutto sotto controllo ed allo stesso tempo un peso sulle note non comune. Mi ha stimolato molto sulla polifunzionalità della batteria. Mi ha davvero dato tanto e di questo gli sarò sempre grato. Quello che sta facendo a Siena è molto importante e consiglio a tutti coloro che si affacciano all’ improvvisazione idiomatica e non idiomatica di partecipare ai suoi laboratori.
Hai fatto degli studi con eccelsi didatti quali Marco Volpe, Walter Calloni ed Enrico Botti. Come hai combinato questa formazione con un approccio del tutto non convenzionale con lo strumento ?
Oltre a Botti, Calloni e Volpe devo citare Fabrizio Sferra. Con lui ho fatto due anni per me importantissimi, poco prima del mio avvicinamento all’improvvisazione. Abbiamo lavorato non sulla musicalità ma sul movimento fisico sullo strumento. Avevo bisogno di muovermi meglio sullo strumento per esprimere ciò che volevo, e Fabrizio è stato fondamentale.
Il 14 marzo aprirai la rassegna “Duetto in Drums” e ti troverai a suonare insieme a Fabrizio Spera, già avete avuto modo d’incrociarvi ?
Fabrizio non l’ho mai conosciuto. Lo conosco e lo apprezzo artisticamente ma non ci siamo mai incontrati. Aprire questa rassegna insieme a lui mi fa molto piacere ed è un onore e sono molto curioso di capire come le nostre sensibilità riusciranno a creare musica.
Ti esibirai in un assolo a cui seguirà una jam batteristica. Che rapporto hai con la solitudine ?
Ci sono momenti in cui cerco la solitudine. Evadendo con il pensiero o andando a far camminate in solitudine o standomene in disparte quando ne ho bisogno. Mi piace stare con i miei pensieri, non mi fanno paura il silenzio o il buio, ti mettono in contatto con te stesso.
Ho sempre avuto un approccio istintivo alla musica ad alle batteria. Almeno finché l’ho fatto, nel jazz mi piace poco avere il ruolo del batterista. Mi piace suonare in situazioni dove i ruoli non sono predeterminati ma si creano sul momento, di momento in momento. Nell’improvvisazione questo e’ fondamentale.
Sperimentazione vuol dire secondo me non porsi limiti, lasciare andare, uscire dai linguaggi e farsi guidare dai timbri inusuali che si vengono a creare utilizzando oggetti o gli stessi tamburi utilizzati in maniera personale. Ma più di tutte le cose per me è proprio il lasciarsi andare, non mettere argini
Secondo te, c’è ancora fame di sperimentare nuove vie sonore ?
Penso che ci saranno sempre nuove vie sonore, come è sempre stato. Come non finisce la storia come qualcuno anni fa diceva, non finirà di certo la ricerca, sotto tutti i punti di vista. E ci sarà sempre qualcuno affamato di ricerca, di nuovi stimoli.
Cosa rappresenti per me la batteria lo scopro ogni volta che sono in sintonia con lei. Non sempre lo sono per vari motivi, ma quando accade ,e accade spesso, capisco quanto mi rappresenti in pieno. Quando sento un groove di qualsiasi genere fatto come dio comanda che ti spinge in avanti che ti fa muovere, quella è la rappresentazione più autentica della batteria. Oppure tutta la sua ricchezza di timbri. Suonare poi la batteria non soltanto da batterista ma utilizzarla pensandola come un produttore di suoni, allarga ancora di più la sua duttilità, ed è questa ultima caratteristica che in questo momento mi affascina di più.
Ad un certo punto ho sentito la necessità di misurarmi in solo. Gestire da solo le varie situazioni che si venivano a creare. La batteria e’ un’orchestra. Può essere melodica, ritmica e armonica, e lo scopo e’ quello di suonare diversi parametri nello stesso momento.
Quale musicista ti ha fatto scoprire questo tuo approccio allo strumento ? C’è un qualche musicista di rifermento a cui t’ispiri ?
Quando ho scoperto il jazz ho avuto una folgorazione da Elvin Jones. Lo trovavo e lo trovo tuttora un vulcano, che energia. Se devo fare altri nomi non posso non citare Paul Motian, Jack De Johnnette e Jon Christiensen. Per la mia ultima fase mi va di fare due nomi italiani che hanno fatto della ricerca la loro ragion d’essere: Roberto Dani e Michele Rabbia. Sono quelli che specialmente nelle fasi iniziali mi hanno molto incuriosito e ispirato, ma potrei fare anche altri nomi storici della sperimentazione europea, da cui prendo molta ispirazione. Al momento, non c’è un musicista in particolare a cui mi ispiro ma cerco di rubare ciò che più mi attrae da tutti, non soltanto da batteristi o percussionisti, ma anche da chitarristi, pianisti, sassofonisti e cosi via.
Nel dopoguerra il jazz rappresentava l’avanguardia e molti locali proponevano questa musica avanguardistica ad un pubblico non ancora preparato, ma molto affamato di voler scoprire. A distanza di molti anni, la situazione sembra essere totalmente cambiata. Il B-Folk rappresenta un’ottima location dove portare idee nuove di sviluppare nuove forme d’intendere la musica, ma pare almeno qua a Roma un oasi in mezzo al deserto. In Italia com’è la situazione in tal senso ? Il pubblico è ancora affamato di ricerca sonora ?
Devo dire che facciamo fatica. Sento anche altri colleghi e purtroppo la situazione è quella che è. Ci sono ottimi posti e persone che hanno voglia di mettersi in gioco e che organizzano concerti ed eventi ma il problema grosso sono i fondi che mancano. Muoversi è molto dispendioso e per i locali dare un cachet adeguato è impossibile. Il B-Folk fa cose grandiose e come lui altri in Italia, ma il problema vero è che senza dei fondi dedicati o sgravi fiscali per chi fa musica dal vivo per noi musicisti muoversi è molto dura. Grandi numeri l’avanguardia penso sia difficile che li possa fare. C’è indubbiamente una parte del pubblico che ha fame di ricerca sonora. Potrebbero essere più alti i numeri se fossimo più abituati ad ascoltare anche musica di ricerca, e questo difficilmente avviene. Anche qui c’è bisogno di investire.
Sta cambiando il modo di avvicinarsi alla musica. Ora molta informazione passa attraverso i social e Youtube. Com’è il tuo approccio a questi canali ?
Ci sono li uso. Carico mio materiale ed ascolto quello degli altri. Faccio un po fatica a rinunciare al cd fisico ma se le cose vanno in questa direzione ci adegueremo. L’importante è ascoltare con un buona qualità audio.
Hai mai trovato difficoltà o diffidenza a proporre il tuo modo particolare di suonare ?
Per fortuna quando suono non posso fare altro che suonare alla mia maniera, nel mio modo. In passato ho avuto qualche difficoltà sia con alcuni musicisti ma soprattutto con me stesso. Un po dovuti anche alla mia impreparazione un po perché alcuni volevano da me un determinato ruolo e come dicevamo prima per me è la condizione peggiore. Ma non perché non mi piaccia farlo, ma perché non può essere solo quello, poi dipende dal contesto; ho partecipato ultimamente ad una registrazione di un progetto di un cantautore e li faccio il batterista pop rock, era anni che non partecipavo ad un progetto del genere e mi sono divertito. Ma quando si parla di improvvisazione, che sia jazz o tabula rasa non si possono mettere paletti se non quelli per aiutare a dar forma all’improvvisazione ma i ruoli all’interno del gruppo si determinano di volta in volta all’interno del percorso creativo. Per me questa è una discriminante.
Oltre che performer, sei anche un didatta. Com’è il tuo approccio alla didattica e su quali valori basi la tua proposta didattica ?
Ai miei allievi cerco di trasmettere la musica, l’essere musicale, il cercare di esserlo. Ho prevalentemente allievi tra i 6 ed i 15 anni e cerco di tirare fuori loro la musicalità. Cantare e sentire ciò che si suona, anche attraverso alcuni esercizi. Spesse volte faccio cantare prima ciò che dovranno eseguire di seguito. Il tirare fuori la propria voce al di la dei generi che andranno a suonare. Anche il pensare alla batteria al di fuori del ritmo, il farsi guidare da un timbro per esempio, anche con l’aggiunta di altri oggetti casuali. Farsi attrarre dal suono, qualsiasi suono.
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