Sembrava che nulla potesse fermare la loro ascesa. Il loro tour era uno dei più attesi in assoluto con diverse date già sold out, era impossibile non imbattersi nei loro brani mentre si ascoltava la radio, così come altrettanto impossibile era non fischiettare un loro ritornello, tanto semplice e spensierato quanto profondo nel significato.
La band lombarda porta un brano dedicato ad un batterista. Un fatto decisamente insolito. Ad essere omaggiato è una delle icone assolute del drumming: Ringo Starr, simbolo di una vita lontana dai flash riservati ai leader dei Beatles.
Ringo Starr : i Pinguini tattici nucleari al Festival di Sanremo
Ciao Matteo, solo 4 mesi fa si è concluso il Festival di Sanremo, un’edizione che vi ha visto grandi protagonisti. Com’è andata questa esperienza?
É stata surreale. Sono anni che io e i ragazzi della band seguiamo il Festival ma non ero mai arrivato a chiedermi “chissà come sarebbe andarci”. Quando è arrivata la conferma della nostra partecipazione, non riuscivamo a crederci.
Hai suonato al festival insieme ad un’orchestra nella cui ritmica comparivano grandi nomi quali Micalizzi, Di Francesco e Sansonetti. Hai interagito con loro? Vi siete scambiati qualche consiglio sull’arrangiamento o sui suoni?
Assolutamente,
abbiamo interagito sin dalle prime prove. In generale, tendo sempre a cercare feedback e creare sintonia, a maggior ragione in una situazione di band “allargata” come quella di Sanremo. Di quelli che hai citato,
ho avuto modo di parlare più con Micalizzi, anche perchè
Di Francesco e
Sansonetti erano circondati da cosi tante percussioni da sembrare rinchiusi in una fortezza. Si sono sempre posti col sorriso, sono stati disponibili nonostante i tempi stretti tra una prova e l’altra nonché un esempio di grande professionalità.
In passato hai suonato per una marching band. Questa tua esperienza ha influito nell’arrangiamento del pezzo?
Il mondo della marching band (nello specifico, del drum&bugle corp. nel mio caso) ha influito sempre nel mio modo di suonare. In questo brano ha trovato grande espressione e ne vado molto fiero.
Per l’esibizione hai dovuto usare il kit del service. Ti sei comunque portato qualche strumento a cui tieni particolarmente?
Una delle prime cose che ho imparato da quando suono è “adattamento”. Da ragazzino, mi è capitato di suonare in tanti contesti in cui arrivavo con il mio personal e trovavo un kit ogni volta diverso. A Sanremo ho, sì, dovuto usare il kit del service ma nei giorni precedenti alle prove mi hanno dato la possibilità di scegliere tra alcune alternative (il tipo di pelli, il numero di tom e piatti, il tipo di rullante ecc). Di conseguenza, una volta dopo aver appurato che quello che era stato messo a disposizione andava bene, di mio ho portato semplicemente un pad per scaldarmi e le bacchette.
Nel corso della votazione da parte dell’orchestra, siete arrivati terzi. Ve lo aspettavate ? Secondo te qual è la cosa che ha maggiormente colpito della vostra canzone?
Siamo arrivati a Sanremo senza darci un vero obiettivo. Dopo la nostra prima esibizione, vedere dove ci eravamo classificati era stato pazzesco. La sera della finale, nel momento in cui eravamo rimasti solo noi, Gabbani e Diodato, stavamo sudando freddo. È stata una cosa in divenire, che abbiamo vissuto giorno per giorno dando tutti noi stessi indipendentemente dal risultato.
Con il nostro brano volevamo lanciare un messaggio di complicità e solidarietà verso tutti coloro che vengono lasciati in secondo piano, come del resto è capitato anche a noi, per dire che si può essere importanti pur non essendo necessariamente le stelle più luminose.
Essere il batterista dei Pinguini tattici nucleari
Come arrangi le tue parti di batteria nelle canzoni del gruppo? Preferisci comporre scrivendo con programmi oppure suonando il pezzo tutti insieme?
È un lavoro mediato. I pezzi ci arrivano da Riccardo, il cantante, ma poi una volta in saletta le riarrangiamo e ognuno mette del suo.
Sulla composizione, mi sto muovendo per sfruttare al meglio Logic, anche se al momento preferisco ancora un approccio diretto con lo strumento.
Sei un fan di Travis Barker, eppure rispetto a tanti altri batteristi della tua età cresciuti con il suo mito, hai scelto uno stile molto più minimalista e più votato all’accompagnare la melodia, piuttosto che ad emergere. E’ una scelta voluta oppure dettata dal genere? Quali sono gli aspetti del drumming di Barker che più ti colpiscono?
Vero. Per anni non ho avuto altro per la testa: mi piaceva questo suo modo di suonare molto scenico, la velocità del suo drumming e l’influenza delle marching band, da cui è passato anche lui. Poi col tempo mi è capitato di suonare generi e brani in cui non sempre queste scelte erano adatte. Bisogna saper contestualizzare. E così ho fatto per i Pinguini. Nei nostri brani ciò che conta in primo luogo è il testo: la musica è chiamata a sostenerlo e a dare il giusto mood al pezzo. Poi noi distinguiamo spesso la versione studio da quella live e nella seconda pensiamo a nuovi arrangiamenti e a parti più strumentali dove ci lasciamo andare un po’ di più.
Tieni un’accordatura del rullante molto bassa, con il caratteristico suono “a panettone”. Come mai questa scelta?
È per una questione di suono. Volevamo una soluzione che non avesse troppi armonici e che fosse abbastanza secco.
Da qualche tempo hai iniziato ad implementare anche l’elettronica all’interno del tuo set. Come la gestisci? Questa implementazione ha cambiato qualcosa nel tuo modo di suonare?
Nel tour del 2019, ho introdotto due trigger (su cassa e secondo rullante) e un pad per snap e clap collegati alla Roland TM 2. Da quest’anno invece sono passato al pad Roland SPD – SX, tenendo comunque i due trigger. Volevamo riutilizzare dei suoni usati in fase di produzione in studio e mi piaceva l’idea di riprodurli in prima persona. Usiamo i trigger per una questione di regolazione del suono a seconda di alcuni momenti del live. Non mi piace che vada a snaturare il tocco, motivo per il quale tengo al minimo la dinamica, affinché certi dettagli non passino inosservati.
Il vostro percorso è stata una lunga gavetta. Esiste ancora la gavetta nell’attuale situazione musicale?
Una cosa che abbiamo sempre pensato nel gruppo è che se si vuole qualcosa, bisogna guadagnarsela. La gavetta c’è. Nel nostro percorso, anche precedentemente ai Pinguini, abbiamo condiviso il palco con tanti gruppi: qualcuno di questi è andato avanti, qualcuno è rimasto dov’è, altri hanno smesso.
Cosa fa la differenza? La pazienza, la forza di volontà e i sacrifici.
C’è chi non è dovuto passare da tutto questo, ma non li prenderei come esempio per un percorso musicale.
Soprattutto nel mercato discografico si sta perdendo il concetto di band a favore dei solisti. Secondo te qual è il valore aggiunto di un lavoro di gruppo?
Il gruppo rappresenta tanti problemi, lo sappiamo bene noi che siamo in sei. Capisci se ne vale o meno la pena nel tempo. Bisogna avere tanta pazienza, capacità di sapersi confrontare e di accettare critiche. È una sorta di preparazione a quello che ti aspetta una volta che ti presenterai in pubblico. La prova del nove arriva nei momenti peggiori, per assurdo, perchè è li che capisci quanto si è compatti e pronti ad aiutarsi. La nostra band ha subito variazioni, ma ad oggi questa formazione si è dimostrata la più solida di tutte le precedenti e ciò che abbiamo ora è merito del lavoro di ognuno di noi.
La musica e Bergamo: come il coronavirus ha stravolto tutto
La città di Bergamo come sta vivendo questo terribile momento?
Bergamo ha vissuto giorni migliori, decisamente. Però, per quanto certe notizie siano lontane dall’essere positive, ogni persona sta cercando di fare la differenza. C’è una bella rete di volontariato che si è attivata per venire incontro ai bisogni di chi è in difficoltà, tante persone si sono mosse per promuovere campagne di crowdfunding da devolvere agli ospedali. Insomma, pur restando a casa, non si sta con le mani in mano ma si punta a fare il possibile per uscire al più presto da questo periodo.
Quando tornerete dal vivo?
Si parla di ottobre, quando recupereremo il tour nei palazzetti che avremmo dovuto svolgere dalla fine di febbraio. Per altre date avviseremo tempestivamente sui nostri canali social.
Percorso didattico
Qual’è stato il tuo percorso didattico?
Ho iniziato a 9 anni con il clarinetto nel corpo musicale del mio paese. A 15 anni mi sono avvicinato alle percussioni per poi spostarmi sulla batteria. A 20 sono entrato nella Millennium Drum&Bugle Corp, con la quale ho partecipato a campionati del mondo di marching band in Giappone, Danimarca e Olanda. Nel 2016 mi sono rimesso a studiare batteria con le Scuderie Capitani e l’anno dopo sono entrato alla Nam Bovisa con Maxx Furian, con cui studio attualmente.
Essere un batterista oggi
Qual’è il tuo concetto di personalità ? Secondo te è un requisito fondamentale per i nuovi professionisti ?
Assolutamente. Penso che sia l’aspetto che quando iniziamo a suonare ci porti ad ammirare un musicista rispetto ad un altro, a prenderlo come un esempio. Come in ogni cosa, la teoria è fondamentale per sapere da che punto partire a svolgere il proprio lavoro, ma la svolta arriva quando assimili ed inizi a metterci del tuo. Da un punto di vista personale e rispetto all’ambito musicale, in un batterista la personalità la ritroviamo nel suono, nel groove, nella scelta dei fill ma anche nel modo di impostare il proprio set (a volte mi è capitato di sedermi dietro un set di altri e chiedermi “ma come fa questa persona a suonare sistemato cosi?”. È tutto molto soggettivo). Inutile dire che tutto deve poi essere sostenuto dalla presenza scenica, fondamentale per sviluppare empatia col pubblico.
Mi piace molto anche vedere che persona c’è dietro al musicista, una volta che scende dal palco, perchè del resto puoi essere il talento che vuoi, ma se sei solo a gioire di questa cosa per via di un brutto carattere, non so quanto ne valga la pena.
Frank Zappa diceva che “senza deviazioni dalla norma non c’è progresso”. Batteristicamente e nella vita quotidiana quali scelte hai fatto per deviare dalla norma? Quanto conta per te progredire?
Per tanti anni ho portato avanti la musica in contemporanea a scuola, università e lavoro. Questo perchè in passato mi ero fatto condizionare tanto da chi mi aveva detto “bello suonare, ma è dura, non ci puoi campare”. Della serie “vivi la musica come hobby e trovati un lavoro vero”. Queste parole hanno rimbombato per tanto nella mia testa, ma mi scocciavano, perchè non vedevo la musica solo come un modo per ammazzare il tempo. Ho iniziato batteria da autodidatta: volevo che ciò che riproducevo fosse il più fedele possibile alla parte originale e ci riuscivo anche solo andando ad orecchio. Tuttavia, col passare degli anni mi sono scontrato col fatto che questo ‘modus operandi’ mi stava un po’ fregando. Per quanto la batteria sia uno strumento fisico, selvaggio per qualcuno, ha bisogno comunque di una fase didattica: una componente razionale, che da una parte consenta di capire quello che stiamo ascoltando, dall’altra di “domare” le nostre mani e piedi. Una volta assimilati i concetti, il flusso nel quale ci si ritrova a suonare diventa un incredibile mondo parallelo in cui a volte non ci spiega come siamo arrivati a fare certe cose. Quindi, dopo una buona dose di fallimenti ed errori, ho notato quanto lo studio mi abbia permesso di andare oltre il concetto di hobby, di uscire dalla famosa comfort zone e di scoprire cose che tutto sommato un po’ mi stanno permettendo di campare grazie alla musica.
Ora molta informazione passa attraverso i social e Youtube, mentre una volta si andavano a scoprire i musicisti guardandoli da vivo. Com’è il tuo approccio verso questa nuova tendenza ?
Vedo dei giganteschi cambiamenti e invidio chi ha potuto sfruttare da subito queste piattaforme. Tutto è alla portata di tutti e per chi suona la cosa può fornire tantissimi spunti a livello di reference. Detto ciò, la parte live resta imprescindibile. Amo le performance dal vivo, sia in prima persona che da spettatore, che siano di artisti famosi o degli ultimi arrivati di cui nessuno sa niente. E poi il live è il banco di prova, dove scopri quanto un musicista valga davvero e in cui hai la possibilità di vivere un’esperienza che un semplice video non può riservarti.
Foto di Davide Carrer
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