Al solismo, preferisce il groove. Al mettersi in mostra, predilige cosa lo circonda. Al parlare di batteria, preferisce parlare di musica. Nella semplicità, Alessandro “Duccio” Luccioli rappresenta un ragazzo che ha molto da dire ed il cui sguardo spazia verso argomenti ben lontani dai suoi tamburi. Curioso del mondo, indagatore della cultura proveniente da tutto il mondo, che si tratti di musica, libri o di altre forme espressive.
Importanti riconoscimenti batteristici gli vengono conferiti nel 2012 quando arriva terzo classificato nel “Concorso Nazionale di Batteria 2012-Drummer Percussion Center” e nel luglio 2014 quando è vincitore della borsa di studio offerta dal “The Collective” di New York presso il Fara Music Summer School. Ma ai suoi riconoscimenti “batteristici”, preferisce parlare di musica, delle collaborazioni e sopratutto di tutto il mondo che c’è al di fuori dei suoi tamburi
Ciao Valerio, il mio avvicinamento alla batteria è avvenuto in età adolescenziale. A quel tempo passavo giornate intere a suonare un piccolo djembè regalatomi da mia sorella. Successivamente i miei amici più stretti di scuola, mi regalarono un mese di lezioni di batteria in una piccola scuola di quartiere. Tra questi carissimi amici, c’era un pianista, un bassista ,un chitarrista e un cantante… insomma tutto tranne il batterista. Notando questa mia attitudine per il ritmo, decisero di farmi questo bellissimo regalo che cambiò tutta la mia vita. Non ho mai più spesso di suonare e sognare dietro i tamburi.
Mettemmo su una band in pochi giorni che, credimi, avresti adorato. Eravamo in fissa per gli Area, i Capolinea e i Weather Report. Dopo un periodo di “warm up” in cui suonavamo cover, iniziammo a scrivere musica originale, di cui ci sono ancora testimonianze in qualche hard-disk. Un periodo che ricorderò per sempre per la purezza delle nostre intenzioni musicali e le ambizioni creative limitate esclusivamente dalla nostra inesperienza sui singoli strumenti. Tre di noi sono diventati musicisti professionisti.
La tua attività musicale ti porta a suonare in contesti molto differenti tra loro. Per avere piena padronanza di stili differenti penso che alla base ci sia tanta curiosità e stimoli provenienti da più parti. Che rapporto hai con la curiosità e la ricerca ?
La mia generazione batteristica è stata cresciuta con un’impronta multistilistica. Questo ha portato un’estesa omologazione di linguaggio che, in ambito artistico, e’ la migliore via per la rovina. Nonostante io sia un fortissimo sostenitore del “ Knowledge is Power”, credo che si perda il senso del tutto se non c’e’ curiosità. Le nozioni servono a ben poco se non hai curiosità e sete analitica. Il che per me significa che l’apprendimento e’ solo la prima fase, poi viene la parte più difficile e personale che e’ il “ e mo che ce faccio co sta cosa?”. Qui si sviluppa quella tu chiami padronanza, cioè consapevolezza e rispetto di ciò che si sta studiando. Penso alle nozioni come ad un canovaccio di riferimento, dal quale tirare fuori la mia personale “voce” (come dicono quelli forti). A parte le battute, sono certo di avere qualcosa da dire con il mio strumento, quando avrò capito cosa, facciamo un’altra intervista 🙂
Era un sogno e una forma di ribellione prima. Ora è un sogno, il mio lavoro e la mia terza lingua con la quale mi esprimo insieme all’italiano e l’inglese.
Come ascolti, sei una persone che ama molto esplorare suoni e culture provenienti da tutto il mondo. Eppure raramente ti ho visto implementare nel tuo set percussioni etniche o richiami troppo evidenti a quelli che sono i tuoi ascolti provenienti dalla musica di tutto mondo. Scelta stilistica o semplicemente non c’è stata occasione ?
E’ vero i miei ascolti mi portano spesso in giro per il mondo. Tuttavia il rispetto di cui parlavo sopra mi porta invece a non espormi fino a che non sento di essere pronto. Quando sono solo nel mio studio faccio esperimenti e implementazioni al classico set batteristico. E’ un aspetto a cui tengo molto ed ho ancora molto da imparare, ma spero di trovare al più presto l’occasione di farvi sentire qualcosa.
Come pensi che l’ascolto di molta “world music” abbia influenzato il tuo drumming ?
Penso che come per l’apprendimento di un qualsiasi linguaggio, ciò che ascolti quotidianamente diventa parte di te e del tuo modo di esprimerti, andando a creare il tuo personalissimo “dialetto musicale“. Oltretutto ho passato anni e anni ad esercitarmi in una scuola di percussioni romana che si chiama Timba. Nei corridoi di quella scuola eri letteralmente violentato da percussionisti di ogni estrazione. C’erano laboratori di musica tradizionale italiana, folklore cubano, brasiliano, africano, arabo e le porte delle varie aule erano troppo sottili per arginare questa invasione ritmica…era il mio paradiso. La cosa divertente è che ora in quella scuola ci insegno. Dentro le mie orecchie c’e’ questo pentolone di culture che e’ un prezioso bagaglio che mi porto volentieri sulle spalle e che amo riempire ogni giorno… c’è così tanta musica li fuori.
In qualche occasione hai suonato in piedi con una cocktail drum e varie sonorità “non convenzionali”. Com’è nata questa idea ? Immagino che in quei casi hai dovuto mutare anche il tuo modo di suonare e d’intendere lo strumento. Qual’è stata la maggior differenza stilistica o difficoltà che hai riscontrato nell’approcciarsi in uno strumento ridotto come numero di elementi e dalla postura differente dai kit che sei solito usare ?
La cocktail e’ uno strumento pazzesco a mio avviso. Come tutte le cose belle, l’idea è nata casualmente in un piccolissimo negozio di Roma (che purtroppo ha chiuso) che si chiamava “Sonora”. Il proprietario aveva questo strumento buttato in un angolo e non sapeva bene cosa fosse. Qualche giorno prima era incappato in un video di Steve Jordan che suonava “Cissy Strutt” con una cocktail drum nel trio di John Mayer. Sono corso al bancomat e l’ho portata a casa ad un prezzo stracciato. Tecnicamente non ci si può approcciare alla stessa maniera di una comune batteria. Il balance del corpo è completamente spostato sulla gamba sinistra, non essendoci il pedale del charleston che, rimane costantemente chiuso. Per quanto riguarda il pedale destro, la grossa differenza e’ che il battente si muove dal basso verso l’alto, non in avanti come siamo abituati con una comune gran cassa. Ovviamente questo particolare balance influisce anche gli arti superiori, per cui la disposizione del set, per quanto mi riguarda, deve essere tale da non appesantire eccessivamente il lato sinistro del mio corpo.
La cassa e’ anche timpano in questo set. La microfonazione non e’ banale e deve tener conto di questo aspetto. Ovviamente e’ anche un importante fattore che non si può ignorare mentre si suona.
Prediligendo la traditional grip, cerco di inclinare tutto il set di un angolo tale che i miei movimenti possano rimanere gli stessi della batteria classica. A livello sonoro, la resa e’ ovviamente in mano al musicista. A volte mi e’ capitato di utilizzarla con un approccio più da percussionista. Scenicamente trovo che sia stupenda, e la sensazione di stare in piedi su un palco, devo dire che aggiunge un pizzico di novità e una prospettiva quantomeno nuova.
Credo che ad un certo punto sia tutto. E’ una bellissima avventura che ti permette di conoscere la tua personalissima e inimitabile voce. E’ un processo naturale per chi vive il proprio strumento come un mezzo per esprimersi liberamente ed in maniera autentica. Il suono che io produco identifica me come batterista e musicista, per cui direi che e’ la mia carta d’identità.
In quali occasioni hai avuto la possibilità di passare dalle retrovie a cui è destinato ogni batterista, e passare fronte palco. Inizialmente, questo aspetto ha rappresentato per te un trauma ? Il dover stare in prima fila, a diretto contatto con il pubblico, ha mutato qualche aspetto emozionale della tua performance ?
Il palco e’ il mio habitat naturale sul quale mi trovo sempre a mio agio, che sia nelle retrovie o fronte palco. Il contatto diretto con il pubblico è una cosa meravigliosa, ma non sono affamato di riflettori, sono affamato di musica dal vivo. Nei contesti in cui mi sono trovato fronte palco, c’era sempre un motivo tecnico di spettacolo. Con un’artista in particolare, ho avuto spesso modo di esibirmi fronte palco, in concerti quasi completamente improvvisati di batteria/cocktaildrum e pianoforte. La posizione fronte palco, era qui giustificata dal fatto che dovevo costantemente osservarla mentre suonavo, perchè non potevo sapere cosa sarebbe successo di li a 1 misura. Lei e’ Mimosa Campironi, un’artista pazzesca alla quale ne approfitto per fare un grande in bocca al lupo e che ringrazio per avermi dato libero modo di esprimermi tutte le volte che abbiamo suonato insieme.
Frank Zappa diceva che “senza deviazioni dalla norma non c’è progresso”. Batteristicamente e nella vita quotidiana quali scelte hai fatto per deviare dalla norma ? Quanto conta per te progredire ?
Non sono certo di poter rispondere a questa domanda senza cadere nell’autoreferenzialità, per cui ti dirò semplicemente che non ho un bel rapporto con ciò che è trendy sia nel quotidiano che nella musica. Questo non vuol dire che io possa essere considerato nè innovativo nè fuori dalla norma, ma credo che sia un qualcosa che giudicheranno i posteri. La normalità credo che sia oltremodo sottovalutata oggi, come diceva Lucio Dalla, forse e’ lei la vera “impresa eccezionale”. Progredire e’ il mio focus quotidiano come essere umano , come cittadino del mondo e quindi come artista.
L’anno scorso hai portato avanti i progetto 29, ossia una serie di brani che originariamente nascevano senza batteria, a cui te hai arrangiato ed eseguito le tue parti dietro ai tamburi. Com’è nato questo progetto ? Come hai approcciato la stesura delle tue parti ? Che reazioni e riscontri hai avuto ?
Venivo da un periodo in cui non avevo grande spazi per esprimermi liberamente e stavo per varcare la soglia dei 30 anni. Suonavo molto, ma non sempre in progetti poco creativi. Avevo una grande voglia di lasciare a me e chissà, magari ai miei futuri figli un ricordo di come suonavo a 20 anni. C’erano più idee in mente ma poi, mi orientai su un format a puntate che mi permettesse di ritagliarmi le mie ore di sfogo creativo nel marasma della mia attività batteristica, durante quell’intera stagione. Per cui ho investito tempo e denaro in una sfida che, consisteva nel trovare un arrangiamento di batteria in brani o composizioni di artisti celebri che, nascevano senza il nostro strumento. Ho trovato nell’ “Officina Musicale” un laboratorio ideale e in Stefano Cresti (proprietario dello studio e co-produttore di #29), un amico e primo ( dopo mamma) tra le persone che ha creduto nelle mie capacità. Per un periodo ho ascoltato tonnellate di musica alla ricerca della scaletta del progetto, ho tirato giù una lista e poi mi sono chiuso in sala prove con registratori e action cameras. Arrivavo al giorno delle riprese con l’esatto arrangiamento in testa e fra le mani, frutto di scremature e di riascolti del materiale delle prove.
In nessuna delle tracce ho suonato a click. Questa in alcuni casi fu una scelta forzata, perchè nella scaletta ci sono brani originariamente registrati non a click. In generale è stata anche una scelta artistica per lasciare un’impronta di autenticità di esecuzione, con l’onestà di qualche imperfezione. Ho avuto dei bellissimi riscontri, tra cui l’apprezzamento di Noa in risposta a una email in cui le chiedevo il permesso di lavorare ai suoi due brani “Eye Opener” e “Wild Flower”…ho stampato l’email e la conservo gelosamente a casa.
Negli ultimi anni stanno aumentando i progetti di batteristi solisti. Da cosa pensi che possa dipendere ? Più avanti pensi d’intraprendere anche un’attività live da solista ?
Credo che sia nel naturale percorso di un’artista. Sto studiando altri strumenti e mi confronto spesso con colleghi e artisti che incontro, perché mi piacerebbe moltissimo arrivare ad avere un progetto mio al 100% . Staremo a vedere.
Vedo spesso video pubblicati in rete da molti batteristi che fanno assoli incredili dal punto di vista della tecnica, mentre i tuoi sono più focalizzati sul groove e l’estrosità nella ricerca dei colori del ritmo. Mi vengono in mente altri batteristi che fanno esperimenti simili sui vari colori del groove come Dan Mayo e Scott Pellegrom, o per rimanere in Italia, Danilo Menna e Phil Mer. Come hai sviluppato questa sensibilità ?
Innanzitutto non sono capace a fare assoli tecnicamente incredibili. In generale non mi piacciono molto gli assoli di batteria, mi annoiano. Amo il ritmo e la ciclicità ipnotica del groove. Quando faccio un solo di batteria chiedo sempre ai musicisti con i quali condivido il palco di accompagnarmi. Amo i soli di sax e batteria alla Maceo Parker ed anche i soli di percussioni e batteria. Insomma preferisco che intorno a me ci sia sempre della musica. Ho già detto che non sò fare assoli tecnicamente incredibili?
Se prima le collaborazioni avvenivano solo a livello locale, ora si ha la possibilità di registrare e collaborare anche a distanza. A te è mai capitato ? Allargandosi le possibilità, si allarga anche la concorrenza. Perché qualcuno dovrebbe scegliere te come batterista di un progetto ? Cosa pensi che ti possa rendere unico ?
Capita spesso di collaborare e scambiare idee con artisti in tutto il mondo ormai grazie alla rete. E’ una cosa meravigliosa e spero di riuscire ad allargare il mio raggio di interazione il più possibile. Non sò dirti perchè qualcuno dovrebbe scegliere me rispetto ad altri batteristi presenti sul mercato. Posso dirti però che succede spesso ed è la più grande soddisfazione essere scelto per quello che sei.
Suoni con Mirkoeilcane dai suoi esordi. Puoi parlarci di questa esperienza e qualche aneddoto che vi lega ?
Suono con Mirko da più di 10 anni credo. Ci siamo conosciuti al Saint Louis College Of Music, ed insieme abbiamo suonato tanto e in diverse situazioni musicali. Ci vogliamo bene e ci stimiamo a vicenda. Lui è un artista completo a 360 gradi e sono felice per il suo percorso. Abbiamo passato insieme dei bellissimi momenti, viaggi in autostrada, discussioni, momenti di fomento e momenti di difficoltà, sia nella vita quotidiana che nel lavoro. La stessa cosa vale per Domenico e Francesco, rispettivamente tastierista e bassista di Mirko. Chiunque ci vede sul palco si accorge di questo grande affetto che ci lega. Di aneddoti ne avrei abbastanza per un libro. Sicuramente il momento a cui sono più affezionato è quando mi fece ascoltare in macchina i provini di alcuni brani, tra cui il singolo di Sanremo. Tornavamo da un concerto in Campania. Ricordo molto bene la morsa allo stomaco nel sentire il testo di quel brano. Credo che sia un vero talento lui, e spero di meritarmi il posto dietro la sua batteria nei prossimi anni.
La musica di Mirko ha un acuito richiamo al suo amore per il cantautorato romano. Hai preso spunto da qualche batterista rappresentativo di questo genere o hai preferito esprimere il tuo estro ?
Credo che lui di romano abbia principalmente il dialetto, ma non lo limiterei alla capitale. Nelle sue orecchie c’è di tutto, dai Beatles ai Queen of The Stone Age passando per Stefano Rosso e De Gregori. Abbiamo molti ascolti in comune e ci piacciono batteristi come Ringo Starr, Abe Laboriel Jr. , Dave Grohl per dirne alcuni. Non ho fatto ascolti specifici o studi particolari sul cantautorato romano. Sicuramente l’ho fatto sul cantautorato italiano in generale.
Ma con Mirko la fantasia è di casa, non amiamo molto gli stereotipi. Quando ci riferiamo a qualcuno, lo facciamo come trampolino per arrivare a qualcosa di autentico e personale.
Se devo dire chi sono i miei preferiti in Italia al momento, sono i grandissimi Fabio Rondanini e Piero Monterisi. Inoltre ammiro tantissimo Pier Foschi e Adriano Molinari.
Tutti batteristi fuori dal comune sia per approccio allo strumento che come autenticità.
Ritengo Mirko un cantautore molto valido ed ho sinceramente esultato quando ebbe un grandissimo riscontro nazionale durante il festival di Sanremo. Che effetto ti ha fatto vederlo sul palco e che emozione ti ha dato sentire un tuo arrangiamento di batteria suonato da Maurizio Dei Lazzaretti in diretta nazionale ?
E’ stata una gioia immensa, perchè frutto di un lavoro nel quale abbiamo messo tutto noi stessi. E’ successo tutto in pochissimo tempo, inizialmente dovevamo andare tutti all’Ariston, ma per fortuna non è successo. Quel pezzo doveva cantarlo da solo, la band sarebbe stata un elemento di distrazione sul palco. Con i ragazzi della band abbiamo passato quella settimana insieme come fratelli a fare il tifo per Mirko e “Stiamo Tutti Bene” , canzone nella quale abbiamo messo un bel pezzo di cuore.
Ho scritto al Maestro Dei Lazzaretti per comunicargli la mia grande emozione nel sentirlo suonare un mio arrangiamento di batteria, purtroppo non mi ha mai risposto. Magari ci incontreremo un giorno e avremo modo di parlarne insieme, me lo auguro.
Mirko arrivò a Sanremo dopo che avevate vinto il concorso Musicultura. Che importanza deve rivestire la cultura nella musica ? Oltre alla musica, come alleni il tuo cervello all’arte ? Cosa rappresenta per te l’arte e come la ricerchi ? Questa ricerca influenza il tuo modo di suonare o d’intendere la vita ?
La musica e’ cultura. Sono una persona molto curiosa, leggo molto e sono molto attento a ciò che succede nel mondo. Per quanto riguarda la mia cultura musicale, cerco di oltrepassare la mia zona di comfort di ascolti ogni volta che ne ho occasione. Andando alla ricerca di band o artisti provenienti da tutto il mondo. Nutro il mio cervello con i viaggi, quando posso permettermi di farli.
In generale trovo grandi ispirazione nei viaggi in solitaria, credo che la natura sia la più maestosa forma d’arte, forse la forma d’Arte per eccellenza. Immergermi in essa e’ per me molto importante come musicista. Non ho uno stile di vita da artista, nel senso romantico del termine. Mi alzo molto presto la mattina e se non studio, allora ascolto musica, se non succede una di questa due cose, significa che sto insegnando o facendo delle prove. Contrariamente a quello che si direbbe su un’artista romano, amo lavorare e dò sempre il mio 100% in ciò che faccio. Detto ciò evviva Musicultura. Da 4 anni prendo parte a questo Festival con vari artisti. E’ una realtà culturale preziosa da preservare.
La pelle del timpano di Alessandro “Duccio” prima di un concerto con Mirko e il cane
Ho visto una foto particolare di una tua pelle della batteria con impresso il primo articolo della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Come mai avete fatto questa scritta sulla pelle e come rientra il tuo interesse sociale nella tua tua musica ?
È successo qualche giorno prima dall’ultima data del Tour di Mirkoeilcane dello scorso anno. Da giorni stavo seguendo la situazione politica nostrana con particolare accoramento, perché cercavo di darmi una spiegazione a questo disastro socio culturale che sta devastando l’Italia e l’Occidente. Una volta realizzata la mia l’impotenza su grande scala, ho preso una bottiglia di vino ed ho cominciato a pensare a cosa un “performer” potesse fare per dare un contributo alla società, mentre montavo le pelli nuove alla mia Ludwig.
Non essendo un cantante e non avendo un microfono decisi che quelle pelli bianche avrebbero potuto essere il manifesto dei valori che reputo importante. Per cui da li al giorno della data all’Auditorium Parco Della Musica di Roma, raccolsi citazioni, poesie, testi di canzoni e documenti importanti per me e per l’umanità tutta, che rispecchiassero i valori di pace libertà uguaglianza e democrazia, per i quali a quanto pare dovremmo batterci presto.
Credo che l’arte debba essere militante e che chi ha la possibilità di salire su un palco, debba anche assumersi la responsabilità di diffondere questo tipo di valori, indispensabili per il genere umano.
Ci tengo a precisare che è stata una mia iniziativa personale che non ha nulla a che vedere con Mirkoeilcane e la sua produzione.
Un’esperienza che ti ha formato molto, è stato l’ingaggio in giovane età con il gruppo “Nidi D’Arac”. Con questo gruppo hai avuto maniera di viaggiare e suonare in giovanissima età. Puoi raccontarci di questa esperienza ? Cosa ti ha lasciato questo progetto e come ti ha evoluto (se ti senti evoluto) ?
E’ stata un’esperienza importantissima per me. Successe tutto in un attimo dopo una telefonata di Dodo Targa, storico bassista della band.
Feci un’audizione a Fiano Romano e a cena mi chiesero di prendere parte al progetto. Ero il più piccolo del gruppo e il progetto era al suo apice nell’ambito della World Music e Underground Europeo. Avevo da poco subito un intervento chirurgico d’urgenza in cui rischiai la pelle e poco tempo prima dell’audizione pensavo che non avrei mai più suonato la batteria. Inutile dire che fu una bellissima notizia entrare in un progetto di quel calibro e un’occasione ottima per rimettermi in carreggiata. Girammo tantissimo in tutta Europa in Festival di grande prestigio internazionale. Grazie ai Nidi sono stato in contatto con realtà interculturali meravigliose alle quali non avrei mai avuto accesso altrimenti. Nel 2013 suonammo addirittura al Womad in 3 delle sue tappe (Australia, Nuova Zelanda e Spagna). Non avrò mai abbastanza parole per esprimere la mia gratitudine per quelle occasioni.
Il Womad forse e’ stata l’evento più importante della mia carriera. Ho letteralmente passato giornate a suonare e parlare con gente di tutto il mondo, a volte ancora sogno quei giorni indimenticabili. Per farvi capire cos’è il Womad….è un festival di World Music il cui direttore artistico e fondatore è Peter Gabriel ed ogni anno viene scelta una band in rappresentanza di ogni paese del Globo Terrestre. Lo spettacolo dei Nidi era tutto a click e suonavo con un set con cassa, rullo, timpano, hi-hat, 2 crash e un tamburo a cornice. A quel tempo odiavo quel set senza tom e ride, ma ero giovane e con il senno di poi ammetto che era semplicemente perfetto.
Il progetto mi ha lasciato un grande senso di responsabilità e rispetto per il lavoro che faccio. Viaggiare con la musica e’ ancora il mio sogno li devo dire che é cominciato a diventare realtà.
Altro importante momento della tua carriera è stato esibirti al Primo Maggio di Roma. Puoi raccontare quella giornata ?
E’ successo per due volte consecutive, nel 2017 con Artù e nel 2018 con Mirkoeilcane.
Due giornate molto diverse ma delle quali vado molto orgoglioso. Con Artù ci fu un approccio quasi da finale di Coppa Del Mondo, eravamo carichi come cavalli prima di una gara, e infatti dal video si vedono espressioni facciali che giustificano queste mie parole. Con Mirkoeilcane è stato il coronamento di un altro sogno dopo Sanremo , dato l’amore viscerale per il progetto. Potremmo suonare insieme ovunque in relax estremo.
Quando quel palco gira e ti ritrovi Roma davanti a te, manca il fiato. E’ un palco magico.
Da molti anni sei uno dei batteristi più attivi del panorama musicale romano. Com’è cambiato il lavoro ed in che direzione si muoverà il lavoro del musicista in futuro ?
Il lavoro in generale sta cambiando, quindi anche il nostro. La tecnologia è parte del nostro mestiere e il web sta diventando sempre più protagonista nel bene e nel male.
Credo che la musica dal vivo non morirà mai, ma sicuramente ha bisogno di più supporto ed incentivi.
Tempo fa parlavamo del fatto che probabilmente nel mondo del lavoro del futuro, la figura del turnista andrà scomparendo. Puoi spiegare secondo te perchè ?
Non ho vissuto l’era del turnismo, quindi non posso darti un feedback di un’esperienza diretta. Posso sicuramente dirti che ringraziando il cielo siamo tanti a suonare. Il livello e’ alto e gli artisti hanno possibilità di scegliere in un bacino ampio di musicisti.
Roma per te rappresenta una sorta di “amore/odio”. Questa città come ti ha cresciuto musicalmente e artisticamente ? Quali sono le maggiori difficoltà dell’ambiente musicale romano ?
Amo Roma, odio il traffico di Roma. Non esiste al mondo una città come Roma. E’ piena d’arte e di musica. Devo tutto a questa città. Ma ogni tanto mi allontano volentieri perchè la vita qui e’ molto stressante.
Ci sono mai stati momenti in cui volevi lasciar perdere ?
Sì, certamente, ho avuto momenti di difficoltà. Credo sia normale. Non è sempre Primo Maggio,Womad o Sanremo. E’ un mestiere molto difficile, come per qualsiasi libero professionista.
Lavorando molto, cambi spesso formazioni in cui suoni. Ti si trovare a suonare in duo, trio, formazioni di più persone ed anche orchestre. Stilisticamente, preferisci lavorare in un’orchestra o in una band di pochi elementi ? Il tuo drumming come muta a differenza di queste situazioni ?
Non ho una formazione preferita in testa. Ragiono a progetti, se il progetto mi prende sono felice di farne parte. Il mio drumming e’ al servizio della musica, nel rispetto del linguaggio richiesto.
La scorsa volta parlando con Nicolò Di Caro, parlavamo della vostra/nostra generazione che ha visto cambiare il modo di avvicinarsi alla musica. Ora molta informazione passa attraverso i social e Youtube, mentre una volta si andavano a scoprire i musicisti guardandoli da vivo. Com’è il tuo approccio verso questa nuova tendenza ?
La vivo come la pornografia. Non ha niente a che vedere con l’esperienza sul campo. Tuttavia faccio anche io uso smodato del web per apprendere, ma sono consapevole che non basta, e se una cosa mi interessa ho bisogno di verificarla sul campo. Internet oggi è impazzito e fuori controllo, i giovani andrebbero educati all’utilizzo della rete affinchè possano trarne tutti gli indiscutibili vantaggi, evitando di incappare in cialtronerie.
Lavori spesso anche in spettacoli teatrali. Puoi parlarci di questo aspetto del tuo lavoro ?
Non mi reputo ancora un esperto del settore, ma adoro suonare live in background, fuori dai riflettori, mischiando la mia arte alla recitazione degli attori in scena. L’incontro tra forme d’arte differenti e’ un’esperienza che amo vivere.
Cambiando molti ambienti lavorativi, come gestisci il tuo suono e la scelta degli strumenti da usare ? Utilizzi particolari trucchi per l’accordatura ?
Non conosco trucchi che non derivino dall’esperienza diretta di prove e concerti.
Sei un ragazzo che lavora molto a più livelli. Ti vorrei chiedere qualcosa riguardante la parte più lavorativa di questo lavoro. Come elabori il tuo cachet rispetto al lavoro proposto ? C’è sempre trasparenza in questo mondo oppure talvolta ti sei sentito sfruttato ?
Grazie per il ragazzo innanzitutto. Il cachet non sempre hai la possibilità di elaborarlo, e’ molto più frequente che ti venga proposta una cifra che poi liberamente accetti o rifiuti. Agli inizi certamente ho vissuto situazioni di sfruttamento, poi mi sono iscritto a Judo…no scherzo. Le fregature si prendono in tutti i mestieri.
Sei te in prima persona che ricerchi nuove collaborazioni oppure aspetti che le occasioni si presentino da sole ?
Credo che come nelle relazioni umane, certe situazioni si creano perchè da entrambi i lati si crea un interesse. Non ho mai forzato la cosa, non ne sarei nemmeno capace credo.
Premetto che sono un “odiatore seriale” delle tribute band e dei locali e festival che propongono queste formazioni. Pur essendo un batterista molto istrionico, ti trovi spesso a suonare in diverse formazioni tribute. Pensi che questo aspetto del tuo lavoro sia una sorta di “castrazione artistica” oppure fa semplicemente parte del lavoro ? Come ti approcci a replicare delle parti di batteria concepite da altri batteristi ?
In realtà non capita tanto spesso. L’unica di cui ancora faccio parte è la Part Time Wonder Band di cui sono stato il fondatore 10 anni fa. Non credo che questa tribute band sia una castrazione artistica. Per me e’ un’occasione di studio di un linguaggio diverso dal mio…soprattutto perchè Stevie Wonder ha sempre avuto batteristi pazzeschi. Lui stesso suona la batteria da Dio.
Non mi identifico nelle tribute bands, ma ho rispetto per il lavoro per cui se capita e l’ambiente è serio e professionale non ho problemi. Prediligo i progetti originali.
Ho studiato al Saint Louis di Roma (insieme a Daniele Pomo e Davide Piscopo) e sono laureato in Ingegneria Ambientale alla Sapienza di Roma. Ho avuto molti insegnanti privati ed ho partecipato a molte clinics, ma non ci dilunghiamo in dettagli noiosi.
Sei un maestro di batteria. Quali valori cerchi di dare ai tuoi allievi ? Quali metodi consigli e come i tuoi maestri ti hanno influenzato in questo tuo lavoro ?
Sono un batterista che ama condividere con i suoi allievi la sua esperienza diretta con lo strumento. I metodi sono quelli che noi tutti conosciamo. Mi piace stimolare la creatività, per me i rudimenti o i metodi sono solo un espediente e tradizione.
Insegni anche a bambini. Cosa noti nelle nuove generazioni e nel loro approccio alla musica ? Che mondo musicale pensi che si troveranno ad affrontare quando inizieranno a suonare in giro ?
Sono generazioni di bambini tristi, violentate da fiumi di nozioni. E’ raro incontrare un bambino spensierato, le famiglie sono fondamentali oggi più che mai.
Non hanno tempo per la fantasia, prerequisito fondamentale per lo sviluppo di un lato artistico. Ciò che troveranno dipende da noi, quindi al momento tatuaggi e rolex.
“Duccio” insieme a Stefano Cresti, Pier Paolo Ferroni e Giuseppe D’Ortona
Personalmente ho una grandissima stima per la figura artistica ed umana di Pier Paolo Ferroni. So che anche tu lo conosci molto bene ed hai avuto maniera più volte di potertici confrontare. Come ti ha influenzato il suo pensiero ed il suo approccio che va ben oltre il semplice discorso batteristico ?
Ho avuto il piacere di confrontarmi con lui, e mi piacerebbe poterlo fare più spesso. E’ un personaggio unico nel suo genere. Ha una consapevolezza della batteria e una cultura musicale mostruosa. Ho fatto lezione con lui per un periodo, e ogni volta uscivo dalla sua stanza con la testa che esplodeva di nozioni da assimilare, per cui correvo a casa a rimettere in ordine le idee. Ammiro la sua dedizione e la sua costanza. Di Pier Paolo ne nasce uno ogni 100 anni.
Quali sono le caratteristiche principali che deve avere un ragazzo adesso per lavorare ?
Tanta preparazione, molto professionalita , uno zaino di pazienza e tanto culo.
Negli ultimi anni l’elettronica sta avendo sempre più voce in capitolo nel mondo batteristico. Eppure tu sei uno dei pochi che sembra non interessarsene, come mai ?
Al contrario sono molto interessato, ma come al solito non mi espongo fino a che non sono certo di saper gestire gli strumenti che utilizzo. Diciamo che ci sto lavorando parecchio, dammi qualche mese.
Quali sono i batteristi che maggiormente segui e quali pensi che siano i migliori prospetti nel panorama italiano ?
Non sono un nerd della batteria, ma certamente ho i miei idoli che sono: Manu Katche, Keith Carlock, Art Blackey, Ringo Starr e John Bonham. Noi abbiamo grandissimi batteristi che hanno fatto la storia. E sono felice di avere colleghi della mia generazione ed anche più giovani dal grandissimo talento e mi auguro vivamente che ognuno di noi possa avere lo spazio che merita.
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