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Durante la quarantena, ho avuto modo di jammare virtualmente con tanti altri illustri batteristi. Michele Santoleri è senza dubbio quello che più mi ha stupito per precisione sul timing (oltre che per la grande padronanza tecnica e creativa), abilità riconosciuta anche in altri contesti.
Appunto il senso molto fluido del groove, unita ad un linguaggio molto musicale e a supporto costante della canzone, lo rendono uno tra i batteristi emergenti più interessanti del panorama italiano. Classe 1994 è protagonista in formazioni interessanti figlie di un nuovo modo d’intendere il jazz e la musica soul. Ma è anche batterista con una delle massime istituzione del funk in Italia: Gegè Telesforo.

Intervista a Michele Santoleri
Essere un batterista ai tempi del coronavirus
Ciao Michele, durante la pausa forzata per il coronavirus è uscito un bellissimo video che ti vede dietro ai tamburi per una live session con il tuo progetto SensAction. Com’è nato questo progetto?
Ciao Valerio, sono contento che ti sia piaciuto. Il progetto è nato da una spontanea esigenza di condividere musica con amici. Ricordo ancora un selfie divertente fatto davanti le mura del Conservatorio di Pescara, che immortalava me, il chitarrista Christian Mascetta e il bassista Francesco D’Alessandro in un momento di totale euforia. In quel momento (forse) decidemmo di iniziare ad incontrarci per sperimentare qualcosa. Poco dopo completammo la line-up con il pianista/tastierista Pierfrancesco Speziale.
In linea generale, come lavori sui suoni e nella scrittura delle tue parti di batteria ? Preferisci scriverle con qualche software oppure sperimenti in sala di registrazione?
Dipende dal tipo di linguaggio che sto affrontando.
Se i territori sono molto architettati tendo ad analizzare e ad organizzare la mia esecuzione (facendo a volte anche uso della scrittura). Se invece vanno verso una direzione più libera cerco di organizzare degli schemi lasciando però spazio a eventuali scelte estemporanee.
Uso in rarissimi casi i software, sperimento nel 99% dei casi sullo strumento, utilizzando quasi sempre il metodo della registrazione.
Tra i vari video, hai partecipato anche alla mia challenge creativa “COVID 19/8”. Come hai lavorato sulla tua esibizione?
La prima cosa che ho fatto è analizzare la metrica della tua melodia, poi ho analizzato la forma per capire come strutturare l’esecuzione. Considerando che hai fatto uso (saggiamente) per lo più di suoni acuti ho pensato che sarebbe stato utile inserire un suono grave per compensare lo spettro timbrico, perciò ho preso il Floor Tom da 16” della mia batteria. Subito dopo ho ripensato a quando studiai, tanti anni fa, l’Histoire du Soldat di Igor Stravinsky e di lì a poco ho deciso di prendere un Tamburo da 13” ed un tamburello per riportare alla luce, almeno in parte, quel meraviglioso kit. Infine ho deciso di usare un Mallet e 2 tipi di spazzole sulla mano destro, per motivi puramente espressivi.
Le reazioni dei musicisti alla pausa forzata data dal coronavirus sono state di due tipologie: chi si è disperato e chi ha provato a rimboccarsi le maniche. Tu come hai reagito e lavorato durante questa pausa?
Ovviamente è stato difficile accettare il fatto di non poter più suonare al Blue Note di Milano, Torino Jazz Festival con Gegè Telesforo, in Germania con i Koinaim e in tante altre importanti occasioni. Ho cercato di farmi forza abbracciando appieno il mio amore verso lo studio dello strumento.
Koinaim: tra jazz e neo-soul
Oltre ai SensAction, altro tuo importante progetto sono sicuramente i Koinaim. Qua dimostri oltre all’indubbio gusto e padronanza dello strumento, anche un grande passione verso le sonorità electro e soul. Come nascono i vostri brani? A tuo dire cosa cambia nel tuo approccio tra questa situazione e i SensAction?
Le idee principali vengono composte per lo più dal chitarrista Christian Mascetta, lo stesso dei SensAction, e il bassista Pietro Pancella. Successivamente vengono sviluppate in sala prove tutti insieme, mediante un grande lavoro di squadra, con me e la cantante Miriana Faieta, addetta principalmente alle melodie, lyrics e in generale a tutta la parte concettuale. Il mio approccio con i Koinaim è sicuramente molto sperimentale. Spesso mescolo elementi tipici della nuova scuola jazzistica (se così si può definire), con quella del Rock e del Neo Soul.
Cosa ti affascina del mondo soul? I detrattori del genere dicono che sia semplicemente un moda del momento. Tu che idea hai sul fenomeno dei numerosi batteristi che si cimentano nel genere?
Indubbiamente è il Neo Soul il virus (si può dire?) che ha colpito moltissimi musicisti, in parte anche me. La caratteristica che mi affascina di più è la connessione tra un pensiero ritmico basato su una certa interpretazione delle suddivisioni e un’indubbia complessità armonica tipica del linguaggio del Jazz. Io credo che esistano alcuni validissimi rappresentanti, anche in Italia, di questa scuola di pensiero.
Sei tu in prima persona che ricerchi nuove collaborazioni oppure aspetti che le occasioni si presentino da sole ?
Tendenzialmente aspetto che si presentino da sole. Io credo che chi fa del bene viene prima o poi ripagato. So che è una visione molto ottimistica e magari poco realistica ma io la penso così. Cerco di rimanere attivo un po’ sui social, ma senza neanche investirci più di tanto.
La collaborazione con Gegè Telesforo
Proprio i Koinaim sono stati scelta come band di supporto per un grande della musica italiana come Gegè Telesforo. Com’è nata la vostra collaborazione?
La nostra collaborazione si è evoluta in vari step. Il primo step è stato il mio ingresso nel quintetto storico di Gegè. Concluso il tour, è partito un altro progetto durato per circa un anno con la partecipazione speciale di Dario Deidda. Infine sono stati coinvolti tutti i membri dei Koinaim per formare un sestetto, insieme a Pasquale Strizzi e, successivamente, Domenico Sanna con cui abbiamo affrontato gli ultimi concerti dall’estate del 2019.
Oltre che grandissimo cantante, Gegè suona anche la batteria oltre ad essere uno degli “scatman” più famosi in Italia. Cosa significa essere il batterista della sua band? Dal batterista richiede molto oppure lascia carta bianca?
Essere batteristi di Gegè è una responsabilità immensa. Non esagero nel dire che lui è una delle persone più esigenti che io abbia mai conosciuto. Ha un’idea molto precisa di quello che vuole, dal tipo di drumming all’accordatura della batteria. Sono contento perché spesso e volentieri le nostre idee vanno nella stessa direzione. Andiamo molto d’accordo e lui fortunatamente si fida di me. Sono orgoglioso di essere stato scelto come suo batterista, in studio e live.
Gegè è soprannominato “groove master”. Secondo te cos’è il groove e quanto è importante per un musicista?
Per me il groove è il sesto senso dell’uomo, il più profondo, il più radicato nella propria natura. È un’esplosione interiore che fa parte della nostra primitività e che trova la sua più grande espressione nel movimento. A mio parere noi musicisti abbiamo il compito di tenere a mente quanto esso regoli la percezione della nostra realtà e quella degli altri. Esattamente come avviene per l’udito, il groove ha bisogno di vivere e di essere alimentato. Inoltre, per parafrasare una frase di un personaggio celebre a noi molto caro, Piero Angela, posso altrettanto affermare che il groove è molto difficile da definire, mentre è più facile definire il suo contrario.
Percorso didattico
Al conservatorio hai studiato anche percussioni classiche. Questo studio ti ha successivamente influenzato nel tuo atteggiamento alla batteria?
Indubbiamente la scelta di studiare percussioni si è dimostrata efficace da un punto di vista tecnico e metodico. Ma ancor più importante è stata l’esperienza nell’orchestra sinfonica a fare la differenza. Imparare ad essere una piccola perla all’interno di un’unica grande collana è davvero molto difficile, soprattutto se sei un batterista rock adolescente. Fu molto utile da un punto di vista musicale, professionale ed umano.
Sei un maestro di batteria. Quali valori cerchi di dare ai tuoi allievi ? Quali metodi consigli e come i tuoi maestri ti hanno influenzato in questo tuo lavoro ?
A me piace definirmi con il termine “Drum Coach”. I maestri sono altri, come per me lo è Fabrizio Sferra. Cerco semplicemente di comunicare la mia passione verso lo strumento, impegnandomi a costruire per loro metodi che possano essere efficaci e soprattutto mostrando quanto può essere divertente ed utile imparare.
I metodi sono tanti, la cosa importante per me è tenere a mente che bisogna vivere in modo completo l’esperienza musicale, dallo studio della tecnica a la condivisione di quest’arte con altri musicisti. I miei maestri, attraverso le loro opinioni, mi hanno mostrato le diversità di questo vastissimo mondo e il valore più profondo che ho potuto apprendere da loro è che non esistono verità assolute ma esistono solamente scelte dipese dai propri punti di vista, perciò è essenziale tenere la mente e il cuore aperto.
Rapporto con la batteria
“La batteria è uno strumento noioso”. Convincimi del contrario
La batteria non è noiosa, a volte i batteristi sono noiosi. È senza dubbio uno degli strumenti più completi ma anche più complessi. La batteria, quando è presente, è il riferimento dove si poggia tutto. È uno strumento unificatore, e può abbracciare in modo del tutto personale tutti i parametri della musica (ritmo, armonia, melodia ecc.).
Inoltre, essendo uno strumento suonato con i 4 arti, ti congiunge in modo profondo con il tuo corpo. Per me la batteria ha sempre avuto una funzione terapeutica.
Frank Zappa diceva che “senza deviazioni dalla norma non c’è progresso”. Batteristicamente e nella vita quotidiana quali scelte hai fatto per deviare dalla norma ? Quanto conta per te progredire ?
Credo che le deviazioni che io abbia fatto siano legate più ad un aspetto compositivo ed improvvisativo. Quando scrivo le architetture di batteria di un brano o improvviso un Drum Solo cerco di trovare una strada personale che possa far conciliare la mia identità con la funzionalità del momento. Nello studio invece ho un atteggiamento diverso, molto più attento alle regole. Progredire è il mio scopo principale nella musica.
Cosa rappresenta per te il suono e la sua ricerca ? So che suoni anche altri strumenti, questo come influenza la tua concezione della batteria ?
La ricerca del suono è fondamentale, ed è un viaggio costante che cerco di percorrere quotidianamente. Il suono è legato sia alla tecnica che alle scelte timbriche degli strumenti, perciò bisogna investire molto tempo per cambiare, sperimentare ed evolvere la propria concezione. Io penso da un bel po’ di anni che, se non avessi scelto la batteria, sarei diventato un pianista. Indubbiamente suonando altri strumenti, in particolar modo il pianoforte e, ogni tanto, il basso, oltre alla famiglia delle percussioni, sono riuscito ad entrare un po’ di più nell’ottica di quegli strumenti, ragion per cui riesco a definire più facilmente il mio ruolo e quello degli altri all’interno dello spazio musicale.
Ci sono mai stati momenti in cui volevi lasciar perdere ?
Sì, quando iniziai a studiare Jazz. Fu un colpo terribile. Ero completamente fuori dal linguaggio ed era la prima volta che mi capitava e sapevo di non poter sopportare il peso del fallimento. Fortunatamente, dopo un piccolo momento di forte crisi, ho avuto la forza e il coraggio per affrontare il problema.
Batteristi seguiti
Quali sono i batteristi che maggiormente segui e quali pensi che siano i migliori prospetti nel panorama italiano ?
Ce ne sono veramente troppi. Parto da
Davide Savarese, un amico, un musicista incredibile che per me ha un posto speciale nella comunità dei giovani batteristi italiani.
Dario Panza, un altro amico e musicista a cui devo moltissimo e che, insieme a Davide, evolve ed arricchisce di sapere il nostro strumento. Tra i tanti big non posso fare a meno di menzionare
Phil Mer, un artista autentico, fonte di continua ispirazione e arricchimento. Ci sono poi tanti altri batteristi giovani in ascesa, molti abruzzesi, che voglio elencare:
Nicolò Di Caro, Alberto Paone, Alessandro Inolti, Andrea Ciaccio, Andrea Giovannoli, Antonio Marianella, Cesare Mangiocavallo, Danilo Menna, Davide Cancelli, Dalila Murano, Edoardo D’Ambrosio, Francesco Merenda, i miei cari colleghi e amici di Conservatorio Davide Di Giuseppe e Niccolò Pellizzari, Giacomo Pasutto, Luca Di Battista, Leo Cornacchia, Roberto Porta, Simone D’Alessandro e tanti altri.
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