Solare e costantemente allegro. Riccardo Adamo (15 febbraio 1993) è un batterista che rispecchia in musica la sua personalità. Se l’indie è la nuova forma di cantautorato dei giorni odierni, lui ne è sicuramente uno dei batteristi di riferimento.
Impegnato in diversi progetti, è tra i batteristi più registrati nel circuito romano. Lo si trova impegnato in diversi progetti tutti dal grande richiamo mediatico e di pubblico. A breve il cantautore Folcast prenderà la scena del palco di Sanremo, così come in passato un altro artista con cui collabora da diversi anni, Matteo Costanzo, ha trovato il prestigioso palco dell’edizione 2018 di X Factor. Oltre a loro riscontri importanti stanno ottenendo anche progetti quali Mox e Laago, ma purtroppo le ben note vicende del 2020 ne hanno impedito lo svolgersi dei rispettivi tour promozionale.
Underground romano
Ciao Riccardo, sei uno dei batteristi più attivi all’interno dell’underground romano. Attualmente collabori con Matteo Costanzo, Mox, Laago e Folcast. Che fotografia ci dai dell’attuale situazione musicale a Roma?
Ciao Valerio, ti ringrazio per quest’occasione, non capita tutti i giorni di fare un’intervista. Prima di rispondere alle tue domande ho preferito aspettare di ritrovare dentro di me un po’ di forza e serenità ricominciando a svolgere le attività che facevo prima del lockdown. Tornando alla domanda ti direi che siamo in un periodo molto florido, quasi saturo, dove fare musica è diventata una necessità viscerale di molti ma dove pochi riescono veramente a trovare il proprio spazio. Per rispondere come si deve a questa domanda sicuramente ci sarebbero da prendere in considerazione molti aspetti e meccanismi: generi musicali più in voga, i pochi locali grandi che sono rimasti a proporre musica live, i piccoli locali che resistono, i coraggiosi collettivi che organizzano eventi, la pigrizia o poca curiosità di una buona fetta di pubblico e tante piccole grandi dinamiche che stanno dietro tutto quello che muove la famosa scena romana.
Sicuramente per il genere indie (o ItPop) la situazione è stata rosea per un buon periodo di tempo.
Sono certo che avremo modo di approfondire più avanti questi aspetti.
Pensi che sia il principale fermento della musica odierna oppure lo vedi come un fenomeno che si sta spegnendo?
Penso sia un fenomeno che sta iniziando pian piano a virare verso nuove direzioni. Se ne sente la necessità, sia a livello sonoro che di idee. Io personalmente ne sento la necessità, come musicista e come batterista. Soprattutto dopo questo periodo così strano dove ognuno di noi ha perso qualcosa, chi più e chi meno, spero in generale che la situazione cambi e che i cantanti, musicisti, fonici, produttori (discografici/artistici) abbiano nuovi stimoli per cimentarsi nello sperimentare qualcosa di nuovo portando con loro una boccata di aria fresca.
Sono certo che questo periodo darà nuovi input.
A tuo dire, Roma è una città che offre molto oppure pensi che sia difficile emergere in questa città ? Quali pensi che siano le principali difficoltà ?
Come dicevo il fermento c’è, i musicisti anche, i cantautori forse anche troppi (Ma questo è un altro discorso). Mi verrebbe da dire che il principale problema è soprattutto a livello di spazi. Non voglio essere generalista ma spazi dove potersi esprimere, confrontare e avere la giusta attenzione, sono alla base di una città che brulica di arte. Ne servirebbero almeno il triplo. Ma siamo tutti consapevoli delle difficoltà di questa città e quindi non mi dilungherò.
A livello di pubblico molti big della musica italiana iniziano a soffrire numeri sempre più bassi ai loro concerti, mentre diversi nuovi artisti della nuova ondata iniziano a farsi prepotentemente largo. Secondo te siamo di fronte ad un cambio generazionale del pubblico musicale?
Credo sia anche naturale, se ciò avviene in maniera graduale. Cambia il pubblico, cambiano le abitudini; siamo in un’epoca mutevole.
A livello musicale il lento declino delle etichette discografiche ha favorito lo sbocciare di molti progetti indipendenti e autoprodotti. L’autoproduzione è secondo te il futuro di ogni musicista e progetto musicale ? In quale maniera hai investito su di te ?
Ogni artista/band può scegliere se autoprodursi o affidarsi ad un’etichetta indipendente, tutto sta appunto nello scegliere quale sia la soluzione migliore in base al percorso che si è fatto e dal periodo in cui ci si trova. La prima scelta comporta sicuramente più libertà su tutti i fronti mentre la seconda scelta affida il tutto a delle mani sapienti nell’intrigato mondo delle produzioni musicali. L’avvento delle etichette indipendenti ha sempre portato novità interessanti con se e finche c’è fermento, voglia di dare spazi a progetti interessanti, impegno nello “spingere” un nuovo cantautore o una nuova band e varietà nella proposta musicale nazionale tutto è buono. Vuol dire che la ruota gira. Per quanto riguarda l’investimento su noi stessi, i musicisti hanno un’arma fondamentale in questa battaglia: i social. Qui si ha veramente carta bianca. Sotto questo punto di vista forse non ho mai investito veramente su di me; o meglio, mai come avrei voluto. Ho sempre preferito prestarmi alla causa di tantissimi musicisti in progetti che mi hanno dato modo di lavorare e crescere tantissimo sia a livello umano che professionale. Nel percorso poi sono stato notato da altri musicisti, i quali mi hanno chiesto di far parte del loro progetto proprio per aver dato il massimo dal vivo e in studio di registrazione
La collaborazione con Matteo Costanzo
Come ti ho spesso detto, apprezzo molto il tuo lavoro con Matteo Costanzo. Tra l’altro la prima volta che ti vidi suonare fu proprio ad una serata dove aprivi ad un gruppo di Matteo. Com’è nata la vostra collaborazione?
Ti ringrazio tantissimo! Conosco Matteo da anni ma ancora non lo conosco (ride). Avevo 19 anni, lo vidi per la prima volta durante un festival qui a Roma. Io partecipavo con la mia band e lui da solista; pensai che era un tipo particolare perché era su un palco enorme tutto solo con dei cerotti messi a X sulla bocca, dietro ad una tastiera ed un pc a suonare la sua musica elettronica. Direi che fu sicuramente un incontro che rimane impresso. Da lì in poi cominciai a seguire tutti i suoi progetti e le sue band fino a che diventammo amici. Dopo qualche anno ci siamo ritrovati a fare una jam session notturna (finita alle 6 di mattina) e da lì è nata l’idea di collaborare. Ora sono passati più di 4 anni e finalmente posso dire che c’è un disco in arrivo.
Matteo è un produttore di altissimo livello e i suoi pezzi li ho sempre trovati arrangiati in maniera egregia. Come vengono scritte le parti di batteria?
Da sempre stimo Matteo per la sua poliedricità e la sua immensa musicalità. É l’unica persona che conosco che vive davvero circondata dalla musica e nella musica. Prima ancora di aprire gli occhi la mattina è subito davanti al suo computer a suonare e produrre. Dal punto di vista delle parti di batteria molto spesso con lui delle semplici improvvisazioni notturne si evolvono in brani con il tempo. Tra di noi c’è sempre stata una certa sinergia per quanto riguarda la scrittura. A volte invece arriva in sala proponendo brani che suonano talmente bene in cui non saprei davvero cosa aggiungere. Ha un gusto incredibile anche per le parti di batteria oltre che per la scrittura, la ricerca del sound e gli arrangiamenti.
La sua musica è ricca di sequenze. Che rapporto hai con le sequenze? Ti piacciono oppure dal vivo ti limitano un pochino?
Sicuramente all’inizio è stato difficile abituarsi. Per fortuna venivo da un progetto dove avevo già sperimentato con le sequenze quindi non è stato troppo traumatico. Sicuramente la difficoltà maggiore che si riscontra è il sentirsi “liberi anche quando si è incatenati” alle strutture, mantenendo un playing fluido senza perdere l’intenzione giusta e soprattutto non farsi distrarre da click e altri suoni in base. Tutto parte da un buon ascolto in cuffia.
Scelte sonore alla batteria
Come accordi i tamburi e come scegli i piatti da usare dal vivo ed in studio ?
Non ho mai dato la giusta importanza a questo aspetto fino a che non ho avuto tra le mani degli strumenti che mi permettessero di percepire le differenze di accordatura e le varie sfumature del suono. Con l’esperienza e tanti (ma tanti) esperimenti falliti sono riuscito a trovare la mia dimensione e il mio metodo di accordatura arrivando al suono che avevo in mente. Questo per quanto riguarda i tamburi. Per i piatti ho sempre seguito solo il mio orecchio facendo prove e ascoltando cosa stava meglio su quello o su quell’altro brano. Secondo me l’unico modo per arrivare al tuo suono è arrivarci sbagliando.
I vari progetti nei quali collabori hanno sonorità e approcci musicali molto differenti tra loro. Come lavori sui suoni e nella scrittura delle tue parti di batteria ? Preferisci scriverle con qualche software oppure sperimenti in sala di registrazione ?
Preferisco sicuramente lavorare più sul drumset ma devo dire che nell’ultimo periodo mi sono addentrato un pochino nel mondo dei software (nel mio caso Logic) per creare batterie e arrangiamenti. La cosa interessante che ho notato è che al pc/drum pad, a volte, nascono idee che sul set non verrebbero mai fuori, neanche a pensarle. Parlando di scrittura, nella maggior parte dei brani che ho registrato c’è quasi sempre stato un lavoro di arrangiamento in sala insieme alla band prima di andare in studio. Stesso discorso per i suoni. Capita spesso ultimamente anche di dover lavorare su arrangiamenti di brani già fatti, dove spesso si richiede di suonare lo stesso identico groove con gli stessi suoni; in quei casi sono sempre riuscito a dare il mio apporto al brano mantenendo intatta l’idea originale del provino. Succede invece raramente (ma se succede è sempre molto bello) di arrivare in studio e non conoscere il brano che si andrà a registrare, proprio per scelta del produttore. Ed è qui secondo me che succede la magia, dove nascono idee date dalla pura esperienza, dal gusto personale e dall’istinto.
Di solito mi suono tutto il brano registrandomi dall’inizio alla fine, scoprendolo quasi a sorpresa secondo per secondo per poi riascoltare cosa c’era di interessante. Dopo aver trovato la quadra si procede lavorando a piccoli pezzi ricostruendo il tutto solo prima di registrare la take intera. Il mondo della registrazione è bellissimo.
Ho particolarmente apprezzata una tua live session con Folcast. Particolarità di questa live session è il fatto di aver usato delle registrazioni a nastro per avere un suono più vintage. A livello di batteria cos’è cambiato nel suono rispetto ad altre registrazioni?
Devo dire che ascoltandolo più e più volte non ho riscontrato moltissime differenze se non un leggero calore in più su cassa e rullante. Sarà che poi è passato tutto in macchine digitali. Sicuramente è stata un’esperienza bellissima e all’idea di registrare a nastro e “avere i minuti contati” per sapere quante take potevamo fare, mi ha dato delle emozioni completamente nuove, sensazioni che prima erano all’ordine del giorno per qualsiasi musicista che andava a incidere i suoi brani.
In questo progetto, ma più in generale nelle produzioni odierne, i batteristi stanno sperimentando sempre più con l’elettronica. Tu che rapporto hai con i vari moduli sonori e pad?
Ho comprato qualche anno fa il mio primo pad e da allora non l’ho mai più lasciato (ride). Scherzi a parte, ormai per noi batteristi è diventato quasi obbligatorio adeguarsi ai nuovi standard sonori, riprodurre esattamente gli stessi suoni di alcuni brani, lanciare sequenze ed altro. Secondo me, usati con moderazione aprono una finestra all’inesplorato dando anche una chiave diversa per suonare la batteria. Io personalmente lo utilizzo molto come sequencer per lanciare basi e con i trigger per miscelare i suoni di cassa e rullante acustici insieme ai suoni elettronici in alcuni brani dove è richiesto.
Questa implementazione dell’elettronica nel kit come ha influito nel tuo modo di arrangiare e pensare le tue parti?
Molto spesso mi ha portato a suonare la batteria in maniere “inusuali”, sia per la disposizione dei pad elettronici, sia per la comodità. Nel 90% dei brani che suono con pad elettronici è perché devo riprodurre suoni che una batteria acustica non potrebbe ricreare facilmente. É fantastico mixare i due mondi. Vorrei riuscire ad allargare ancora di più le possibilità sonore e la mia conoscenza a tal proposito. C’è tantissimo da studiare!
Nonostante l’uso dell’elettronica, usi anche molti accessori per creare diverse sonorità sul set acustico. Non sarebbe più semplice implementare quei suoni nel modulo oppure sei troppo legato al lato acustico dello strumento?
Esatto, sono troppo legato al lato acustico dello strumento, ma è sempre una bella sfida cercare di riprodurre un suono elettronico con una batteria acustica. A volte ci vengono in soccorso anche marchi di strumenti “non convenzionali” per aiutarci ma l’ingegno è sempre al primo posto. Come per la domanda precedente anche qui mi piacerebbe sperimentare ancora di più.
Usi kit molto compatti. Come mai questa scelta? Questa scelta che sfide ti comporta o quali vantaggi hai riscontrato?
Sicuramente sulla comodità e sul trasporto ma stranamente all’inizio presi questa scelta più per un discorso puramente estetico; volevo essere più visibile e avere un contatto visivo con il pubblico. A livello di playing trovo sia stimolante trovare delle soluzioni senza avere un set “standard”. Ultimamente comunque sto sperimentando con un numero maggiore di pezzi.
Come gestisci il tuo suono e la scelta degli strumenti da usare ? Utilizzi particolari trucchi per l’accordatura ? Ti ho visto suonare con set molto compatti come numero di pezzi. Scelta voluta o più dettata da fattori esterni ?
Avendo a disposizione una sola batteria cerco di gestirmi sempre portando solo il necessario, a seconda della situazione, e poi ci lavoro di accordatura. A tal proposito non utilizzo nessun trucco o metodo particolare. Con l’esperienza sono arrivato ad essere abbastanza veloce nel farlo, tutto qui. Parlando del set si ti confermo che è stata quasi sempre una scelta voluta.
Cantante e batterista
Un tuo grande punto di forza è anche la tua capacità di cantare mentre suoni. Come hai sviluppato questa dote?
Per puro e semplice caso. Ho iniziato ad armonizzare dei ritornelli di alcuni brani del mio primo gruppo e mi sono ritrovato a fare anche il corista(ride). Stranamente la trovavo una cosa naturale ma poi col tempo ho capito che tutto dipendeva da quello che suonavo. Riscontrando delle difficoltà su alcuni ritmi/velocità ho iniziato ad allenarmi quasi per gioco a suonare e cantare dei brani che mi piacevano. Mi è capitato poi in passato di venire cercato anche per questa mia peculiarità.
In alcune esibizioni hai usato la voce anche per modulare e replicare alcuni effetti sonori. Com’è nata questa particolare scelta sonora? Pensi di svilupparla e evolverla in qualche forma?
Mentirei dicendoti che questa scelta sonora è nata come un qualcosa di voluto. Mi ricordo che provando per la prima volta il brano “Hope” di Matteo Costanzo mi sono trovato a scherzare sul come riprodurre un “reverse snare” senza usare i pad elettronici, così ho incominciato a farlo con la bocca al microfono visto che lo avevo a disposizione per i cori e agli altri la scelta è piaciuta. Ti ringrazio per aver apprezzato questa particolarità. Sicuramente in futuro mi piacerebbe approfondirla e svilupparla. Chissà, magari un giorno ci farò un video completamente dedicato.
Quali sono le principali difficoltà che si hanno a cantare mentre suoni? Come le hai superate?
All’inizio la prima difficoltà è stata sicuramente la postura. Ho dovuto alzare di molto lo sgabello per avere una buona respirazione e soprattutto per avere una posizione più comoda per l’asta, senza che mi impedisse di suonare liberamente il kit. Successivamente per un mio problema ho dovuto studiare un po’ di respirazione per gestire al meglio la voce, che spesso andava via dopo mezzo concerto. Ringrazio tantissimo gli/le insegnanti che tra una lezione e un’altra nelle varie scuole di musica mi davano dritte e nozioni sull’argomento.
In alcuni gruppi sei stato anche voce principale. Il nostro strumento impone quasi sempre un ruolo da comprimari, mentre invece il ruolo di cantante ti ha imposto al centro della scena. In tal senso questo ti condizionava dal vivo?
Preferisci avere l’asta del microfono piuttosto che usare i più maneggevoli microfoni ad archetto. Come mai questa scelta?
Essere il cantante di un gruppo ed essere allo stesso tempo un batterista mi condizionava tantissimo: avevo una doppia porzione di stress! Sicuramente farlo da dietro una batteria mi ha aiutato, era come la mia barriera sicura, che mi proteggeva e mi sosteneva. Il mio mito è sempre stato Phil Collins ed avere un archetto come lui sarebbe stato un sogno, solo che economicamente parlando e praticamente parlando in sala prova e dal vivo mi sono sempre adattato. Poi in quel progetto le parti cantate erano quasi un abbellimento, un “colore in più” che fuoriusciva ogni tanto. Per il resto era principalmente suonato, quindi molto spesso spostavo l’asta dopo aver cantato e mi davo alla pazza gioia!
Suonando anche uno strumento molto sonoro come la batteria, uno dei principali problemi è il rientro nel microfono. Come hai lavorato su questo aspetto?
Usando microfoni dinamici. Spesso nei locali lo Shure SM57 ma mi sono trovato benissimo con il Sennheiser MD 441.
Oltre alla possibilità data dal canto, ulteriore tuo punto di forza è la presenza scenica. Guardandoti dal vivo, non riesci mai a stare fermo e sembra quasi che balli mentre suoni. Secondo te quant’è importante la presenza scenica per un batterista?
La batteria è uno strumento fisico e la maggior parte del suono che esce dal nostro strumento è dato dal modo in cui ci muoviamo. Ho sempre trovato molto importante entrare nel brano oltre che con il sound anche con l’intenzione. Tutto ciò senza i movimenti adatti e il feeling giusto non sarebbe possibile; questo l’ho capito solo dopo anni passati a suonare musica reggae e black music in generale. In quel caso bisognava ballare per far ballare.
Tempo fa parlando con altri batteristi, si diceva che uno dei motivi per cui molti cantanti italiani preferiscono batteristi stranieri sta nel fatto che molti musicisti nostrani non hanno la concezione dello spettacolo e della scenicità. Condividi questa opinione? Come cerchi di curare questo aspetto?
Io non credo che i batteristi italiani non abbiano la concezione dello spettacolo; credo piuttosto che sia un discorso molto collegato al progetto e al tipo di musica che si propone. Se lo spettacolo lo richiede il batterista si presterà ad avere anche una sua scenicità trovando il suo spazio. Per quanto riguarda il curare questo aspetto nel mio caso non credo di averlo mai fatto, viene tutto abbastanza naturale.
Percorso didattico e rapporto con la batteria
Come hai iniziato a suonare la batteria ? Quali sono stati i tuoi idoli e punti di riferimento ?
Fin da piccolo sono stato abituato da mio padre ad avere nelle orecchie tanto rock e rock progressive tra cui Genesis, Pink Floyd, Jehtro Tull, Queen, PFM e tanti altri. Uno dei primi ricordi che ho della musica sono i viaggi in macchina da piccolissimo con la musicassetta del disco “The Wall” dei Pink Floyd. Ho ancora un ricordo vividissimo del suono di elicottero del brano “The Happiest Days Of Our Lives” e dei crash stoppati sull’intro di batteria. Ma veniamo a noi. L’innamoramento con la batteria avvenne nel 2007: mio padre mi portò al concerto dei Genesis al Circo Massimo qui a Roma. Lì rimasi letteralmente folgorato dal drum solo di Phil Collins e Chester Thompson. Fu un qualcosa di totalmente meraviglioso per un bambino della mia età. Solo anni dopo compresi quello a cui avevo assistito. Sempre nello stesso anno ebbi la fortuna di incontrare un mio amico che suonava la batteria e che mi ha dato le prime dritte. Da lì non mi sono mai più staccato da questo strumento. I miei primi idoli sono stati proprio Phill Collins, Chad Smith dei Red Hot Chili Peppers (credo di aver preso molto da lui e dal suo modo di suonare), Dave Grohl e Dominic Howard dei Muse. Era anche l’epoca in cui gli MP3 portatili spopolavano. Ascoltavo talmente tanta musica che mi isolavo spesso dal mondo.
Qual’è stato il tuo percorso didattico e cosa t’ispira maggiormente ora ?
Ho avuto la fortuna di iniziare a suonare la batteria suonando fin da subito insieme agli altri, tutto questo ancora prima di studiare. Ciò in qualche modo mi ha responsabilizzato e fatto capire l’importanza che abbiamo come elemento di una band, nonostante la giovane età. Poco dopo ho iniziato un percorso in una scuola di musica di quartiere con il maestro Pasquale Angelini, batterista pugliese e persona meravigliosa, capace fin da subito di guidarmi attraverso le nozioni facendomi appassionare sempre di più allo strumento. Gli devo tantissimo perché oltre agli anni passati insieme a studiare è stato anche il primo a darmi fiducia come insegnante chiedendomi di sostituirlo qualche volta. Nonostante la distanza e gli anni passati siamo ancora in contatto per raccontarci le novità e aggiornarci. Dopo le scuole superiori ho intrapreso la scelta di frequentare per qualche anno il Saint Louis qui a Roma con gli insegnanti
Daniele Pomo e
Davide Piscopo. Fondamentali anche loro per il mio percorso di maturità sullo strumento e li ringrazio di cuore. Poi, per un brevissimo periodo, qualche anno fa ho avuto la fortuna e l’onore di studiare con
Pier Paolo Ferroni. In poco tempo è riuscito a passarmi un’energia pazzesca con la sua dedizione, la sua cura maniacale per il dettaglio e la sua esperienza incredibile. Conserverò per sempre con me tutte le sue perle e non dimenticherò mai la sua disponibilità. Grazie Pier!
Se mi chiedessero perché studio risponderei come lui rispose a me una volta: “Studio perché sennò quello che suono farebbe schifo.”
Cosa m’ispira maggiormente ora? Sono in un periodo molto particolare in cui sto mettendo in dubbio anche le poche certezze che ho. Sento come di voler ripartire dalle basi per consolidarmi ancora di più. Sicuramente vorrei essere un batterista ancora più solido e vorrei sempre farmi trovare pronto in ogni situazione.
Cosa rappresenta per te la batteria ?
La via di fuga (o la fune di fuga per i più nerd) da una vita monotona: come fuggire dalla caverna. Nella mia vita ho preso tante scelte sbagliate, ho lasciato cose a metà e ho perso tanti pezzi per strada ma guardando indietro, l’unica mia sicurezza è sempre stata la batteria. Paradossalmente fin dai primi colpi sapevo che avrei voluto fare questo nel mio futuro. Nonostante il percorso inusuale sono sempre stato coerente con questa mia scelta. Fa strano ripensarci dopo anni. Per me la batteria è un cocktail di emozioni indescrivibili. É guardarsi con la band durante la chiusura di un brano durante un concerto, subito dopo guardare il cielo e pensare che non vorresti essere in nessun altro posto. Si lo so, sono un romanticone.
Frank Zappa diceva che “senza deviazioni dalla norma non c’è progresso”. Batteristicamente e nella vita quotidiana quali scelte hai fatto per deviare dalla norma ? Quanto conta per te progredire ?
Non credo di aver mai pensato a delle deviazioni dalla norma in senso batteristico ma piuttosto a delle deviazioni in senso musicale. Progredire per me è sempre stato circondarmi di nuovi stimoli e nuove cose da fare, creare nuovi contatti con altri musicisti e condividere la musica. Tutto questo ha sempre influito molto sul mio modo di suonare e di approcciarmi allo strumento. Il progresso e la condivisione sono alla base dell’essere umano oltre che del musicista.
Cosa rappresenta per te il suono e la sua ricerca ? So che suoni anche altri strumenti, questo come influenza la tua concezione della batteria ?
Il suono e la ricerca devono essere alla base di un musicista desideroso di imparare e sperimentare per creare sempre qualcosa di diverso e stimolante. Per quanto mi riguarda ogni volta che cambia qualcosa nel mio set in correlazione cambia anche il mio modo di approcciare allo strumento; è tutto collegato. Il fatto di saper “suonicchiare” altri strumenti mi ha dato modo di essere più consapevole del lavoro degli altri musicisti e soprattutto di ascoltare ancora di più cosa succede intorno a me.
Nel dopoguerra il jazz rappresentava l’avanguardia e molti locali proponevano questa musica avanguardistica ad un pubblico non ancora preparato, ma molto affamato di voler scoprire. A distanza di molti anni, la situazione sembra essere ribaltata dove assistiamo ad un pubblico molto preparato ma poco propenso alla scoperta del nuovo. Secondo te è così o vedi qualche barlume di speranza ? Il pubblico è ancora affamato di ricerca sonora o novità ?
Si, sicuramente una buona parte lo è, ma è più difficile che venga catturato da qualcosa se questa “novità” non gli viene proposta nel modo giusto. Sul web siamo letteralmente bombardati dalla musica, il che è sia un bene che un male, perché molto spesso ci perdiamo cose che potrebbero interessarci. Gli algoritmi dei vari servizi ci propongono sempre musica affine ai nostri gusti in base a quello che ascoltiamo di più ma se non andiamo a cercare qualcosa di nuovo è difficile che questo avvenga. Questo “stordimento musicale” viene riversato nella vita reale e molto spesso si trasforma in pigrizia; almeno una volta ci siamo cascati un po’ tutti. Da musicista sognatore ti rispondo che la speranza c’è, ed è quella di trovare sempre più pubblico interessato alla scoperta del nuovo e che vada ai concerti; allo stesso tempo spero che sui palchi si proponga sempre più musica senza paura di non trovare i propri spazi.
Cosa rappresenta per te l’arte e come la ricerchi ? Questa ricerca influenza il tuo modo di suonare o d’intendere la vita ?
Riallacciandomi alla domanda del progresso ti rispondo che il mio modo di suonare è sempre stato molto condizionato dagli stimoli che mi circondano nella vita. Le due cose sono sempre state molto connesse. Ogni volta che mi sentivo “stagnante” sullo strumento, ogni volta che ero a corto di idee o magari fuori forma, ho sempre cercato di dirottare verso nuove strade traendo linfa vitale da esperienze nuove nella vita di tutti i giorni, magari staccandomi anche qualche giorno dal set. Cosa rappresenta per me l’arte? Arte è tutto ciò che mi riempie, tutto ciò che mi fa sentire sazio e allo stesso tempo affamato. Nel mio campo saper veicolare le emozioni sulla batteria è la massima espressione d’arte.
Ci sono mai stati momenti in cui volevi lasciar perdere ?
Mentirei rispondendo di no. Agli inizi ci sono stati sicuramente momenti frustranti in cui ho pensato di essere inadatto, ma ho sempre trovato la forza di scacciare queste paturnie e andare avanti. Se suono, ora lo faccio solo per un motivo: devo portare avanti un sogno che condividevo con una persona che non c’è più.
Ora molta informazione passa attraverso i social e Youtube, mentre una volta si andavano a scoprire i musicisti guardandoli da vivo. Com’è il tuo approccio verso questa nuova tendenza ?
Ho scoperto un sacco di gruppi nuovi e batteristi incredibili su internet. Quindi non vedo il problema di questa nuova tendenza, se ci si avvicina a della nuova musica in questo modo e poi la si riesce a seguire anche dal vivo, è una cosa fantastica. Certo, anche scoprire un gruppo per caso perché si è in quel locale, o perché qualcuno ce ne ha parlato è sempre una grandissima emozione se il gruppo ci colpisce.
Essere un batterista oggi
C’è stato un momento in cui hai pensato “Ok, ora sono un professionista” oppure pensi che sia ancora lontano quel giorno ?
Domanda difficile. Non è neanche una cosa di cui ti accorgi, così da un giorno all’altro. Posso dirti con certezza che è una strada lunga. Sicuramente mi sono affacciato su questo mondo da qualche anno con tour, registrazioni e tante altre cose che mi hanno fatto crescere moltissimo. Quello che certamente aiuta in questo tipo di percorso è la mentalità e l’attitudine e, sotto questo punto di vista, si affronta ogni impegno con rispetto, puntualità, passione e dedizione possiamo star certi che stiamo facendo la cosa giusta. Io ci sto provando con tutto me stesso.
A tuo dire la nuova leva di musicisti quali punti di forza ha e quali sono le principali mancanze ?
Il punto di forza più grande è sicuramente il coraggio di prendere questa scelta. Non è mai facile avventurarsi in qualcosa di così vasto e meraviglioso, ma allo stesso tempo pieno di insidie e misteri. Il difetto che mi è sembrato di riscontrare più spesso è una prematura voglia di arrivare, di sfondare per arrivare al grande pubblico saltando le tappe. Mi rendo anche conto che siamo nell’era del tutto e subito a causa del web e dei talent. Se tutto ciò non viene affrontato nel modo giusto si rischia di rimanere “feriti” da questo mondo. Un percorso consapevole, razionale, camminando con i propri tempi e i propri modi è sempre la scelta migliore secondo me. Non reputo sia sbagliato utilizzare queste “vetrine”, dico solo che bisogna arrivarci preparati e consapevoli.
Com’è cambiato il lavoro ed in che direzione si muoverà il lavoro del musicista in futuro ?
I primi anni ignoravo completamente tutte le dinamiche lavorative e pensavo solo a suonare in tutti i locali di Roma con la mia band. Volevamo solo spaccare il mondo. Poi crescendo, facendo qualche data fuori e conoscendo piano piano i meccanismi ho capito che qualcosa stava cambiando. Diciamo che se prima percepivo i cambiamenti, al giorno d’oggi ho una visione più chiara di cosa è successo. Pensando a qualche anno fa ti direi che sicuramente si poteva suonare di più; si rischiava anche di più; o almeno questo è quello che ho percepito. Con l’avvento dell’era indie negli ultimi anni si sono create tante nuove situazioni e possibilità ma allo stesso tempo anche il numero di musicisti e cantautori è aumentato; tutto questo a livello nazionale. Per descrivere questo fenomeno mi verrebbe quasi da utilizzare il termine “inflazione musicale”. Niente di male apparentemente, se solo ci fosse il numero giusto di spazi per permettere tutta questa nuova musica. Tornando al discorso lavorativo se si ha la fortuna di essere seguiti da un’etichetta e un booking i rapporti sono sempre abbastanza lineari. Per chi invece si autoproduce la situazione è un po’ diversa perché ci si deve occupare in prima persona di tutti questi aspetti, a volte senza neanche un briciolo di tutele e sicurezza. Non mi concentrerò sull’analisi di tutto questo ma più su quello che mi aspetto in futuro. Proprio in questi giorni si stanno delineando delle nuove prospettive per quanto riguarda i nostri diritti e spero che da qui a breve la figura del musicista abbia sempre più valore e rispetto, rappresentanza e senso di comunità tra tutti noi e, soprattutto, trasparenza nei rapporti che si creano con la “macchina economica” che muove tutto.
Negozi di strumenti musicali, scuole di musica, industria discografica. Entità in forte crisi che non hanno saputo adeguarsi ai cambiamenti del tempo e di una società in continua evoluzione. Per un artista, quanto è importante e vitale guardare quello che succede attorno a noi e sapersi reinventare ?
La risposta è già nella domanda: VITALE. C’è chi naturalmente non ci riesce e mantiene il suo stile e la sua coerenza. Stimo tantissimo chi sceglie una strada e decide di percorrerla senza deviazioni, perfezionandosi sempre di più. Ma allo stesso modo stimo chi riesce ad essere mutevole mantenendo comunque la sua personalità essendo riconoscibile.
Con lo sviluppo della tecnologia unita all’attuale richiesta di mercato, tempi più frenetici riguardanti la produzione e budget sempre più ridotti, in molti scommettono che la figura del turnista andrà via via scomparendo. Tu che idea ti sei fatto in materia ?
Non credo che sparirà mai la figura del turnista in studio. Finché ci saranno produttori che apprezzano davvero i suoni di una batteria reale e batteristi che sanno donare sfumature irriproducibili, “umanità” ma soprattutto emozione, saremo salvi. È inutile negare che tutto questo ultimamente avvenga con una frequenza sempre più alta, che i suoni di batteria “finti” siano arrivati ad un livello incredibile e che alla produzione convenga usare appunto batterie software sia a livello economico che di tempo più conveniente. L’importante è trovare un equilibrio.
Se prima le collaborazioni avvenivano solo a livello locale, ora si ha la possibilità di registrare e collaborare anche a distanza. A te è mai capitato ? Allargandosi le possibilità, si allarga anche la concorrenza. Perché qualcuno dovrebbe scegliere te come batterista di un progetto ? Cosa pensi che ti possa rendere unico ?
Nell’ultimo anno e soprattutto nel periodo di lockdown mi è successo di collaborare e registrare a distanza con contatti a me vicini per mantenere alto il morale. In uno studio dove lavoro mi è anche capitato qualche volta di registrare brani per artisti che venivano da fuori Roma. É sempre bello quando qualcuno si affida a te creando questi rapporti professionali basati sulla fiducia. Rispondendo alla domanda su cosa possa rendermi unico non saprei risponderti sinceramente; posso solo dirti che ho sempre cercato di avere una solidità nelle mie performance in studio, dando il 100% in tutto quello che registravo, anche a costo di passare molto tempo a cercare la soluzione giusta e il suono giusto.
Come curi la tua comunicazione ? Il cellulare è secondo te un elemento fondamentale del professionista moderno?
Ultimamente mi sento come la luce di una bici che va a dinamo: se la ruota non gira la luce non funziona. Ho sempre trovato utilissimi i social per comunicare tutto quello che mi succedeva a livello lavorativo, gli impegni, le soddisfazioni, le sfide e anche una buona dose di cazzeggio che non guasta mai. Da quando si sono fermati i live (almeno per me) ho perso un po’ lo stimolo nel farlo. Niente di preoccupante. Solo un periodo di pausa. A proposito di questo ho letto un libro che consiglio a tutti i lettori del blog e non solo che si chiama “La società della performance”.
La società della performance è quella in cui viviamo, quella in cui tutti noi siamo immersi. É un’epoca in cui il senso del sacro ha lasciato lo spazio all’immediatezza, l’autenticità all’imitazione, la cura per l’altro alla vanità dei nostri profili social. Il cellulare è la nostra piccola “caverna” personale, dove tutto quello che ci appare attraverso i social è l’idealizzazione di un mondo perfetto (o quasi) costruito su misura per noi dagli algoritmi. Vedere vite bellissime e solo cose che ci interessano dopo un po’ potrebbe portarci all’invidia e automaticamente al sentirci inadatti e mai abbastanza bravi in quello che facciamo. Secondo me conoscere queste dinamiche ci può rendere più consapevoli di quello che sappiamo e dobbiamo fare. L’unica soluzione è portare in questa nuova società un po’ di arte, di amore e di senso di condivisione. Tutto ciò che il mondo ha di bello da offrire.
Ti vorrei chiedere qualcosa riguardante la parte più lavorativa di questo lavoro. Come elabori il tuo cachet rispetto al lavoro proposto ? C’è sempre trasparenza in questo mondo oppure talvolta ti sei sentito sfruttato ?
Ci sono stati sicuramente momenti in cui mi sono sentito leggermente sfruttato o sottopagato oppure progetti dove ho dedicato molto più tempo, risorse ed energie rispetto a quanto ho guadagnato. Il mio approccio lavorativo è sempre stato dedito all’investimento del mio potenziale: tutto ciò che può farmi crescere, migliorare o scoprire cose nuove è stimolante per me. Sicuramente dopo anni e con l’esperienza accumulata, non accetto qualsiasi cosa mi venga proposta. Sono diventato molto più selettivo, cercando di valorizzarmi il giusto in base al lavoro.
Ai giorni odierni si può vivere di sola musica ? Che consigli daresti a qualcuno che oggi vuole fare della musica la propria professione ?
Secondo me si! Ho avuto sempre insegnanti che mi hanno spronato e dato modo di verificare che con la musica ci si può vivere. É difficile, tanto, ma il mio consiglio è quello di fare più cose possibili valutando sempre con coscienza. La vita sicuramente sarà un Tetris ma se i tasselli si allineeranno per bene non saranno sforzi invani.
Sei tu in prima persona che ricerchi nuove collaborazioni oppure aspetti che le occasioni si presentino da sole ?
Devo dire che mi è successo molto più spesso di essere richiesto per entrare a far parte di un progetto.
Sei un maestro di batteria. Quali valori cerchi di dare ai tuoi allievi ? Quali metodi consigli e come i tuoi maestri ti hanno influenzato in questo tuo lavoro ?
Da maestro ho sempre cercato di trasmettere la felicità e la passione nel suonare questo strumento. I valori reali e la condivisione sono alla base della batteria: suoniamo per suonare insieme agli altri. Per quanto riguarda il metodo ho sempre cercato di indicare le molteplici strade possibili in base alla mia esperienza e in base all’allievo che avevo davanti. Ogni studente rappresenta per me una nuova sfida sul come arrivare a lui cercando di passargli le informazioni giuste facendolo appassionare il più possibile. Vorrei riportare le parole di un libro molto bello che ho letto l’anno scorso intitolato “Le Nuvole”: “Il vero maestro non è quello che vuole essere imitato e obbedito, ma quello che è capace di affidare al discepolo il compito giusto di cui il discepolo ha bisogno e che fino a quel momento ignorava.” Certamente sono stato influenzato dai miei insegnanti in tutto questo, sono stati fondamentali.
Insegni anche a ragazzi giovani. Cosa noti nelle nuove generazioni e nel loro approccio alla musica ? Che mondo musicale pensi che si troveranno ad affrontare quando inizieranno a suonare in giro ?
Bella domanda. Spero che la situazione sia il più possibile “vivibile” a livello di serate dal vivo. A proposito delle nuove generazioni invece, ho notato sempre più bambini/ragazzi vogliosi di imparare. Molti arrivano alla scelta di suonare la batteria grazie a video su internet o canzoni di videogiochi a cui giocano o sigle di anime giapponesi che seguono. Dopo anni che faccio questo mestiere ho notato che nei più piccoli si possono riscontrare vari approcci: alcuni sono molto svegli e altri invece quasi “anestetizzati” da tutta questa nuova tecnologia, tutti però accomunati da un ingegno, un intuito e una musicalità non indifferente. É stimolante per me “iniziare” questi bambini e portarli avanti nel corso degli anni vedendo gli immensi progressi che fanno. È un mio piccolo motivo di vanto ed orgoglio.
Hai qualcosa che ritieni essere la tua firma sonora per cui qualcuno ti può facilmente riconoscere ? Cosa rappresenta per te il suono ?
Non ci ho mai pensato in effetti ad una firma sonora, però riflettendoci mi renderebbe onorato un domani essere riconosciuto nei dischi per il mio modo di suonare.
Quali sono le caratteristiche principali che deve avere un ragazzo adesso per lavorare ?
Umanità, affidabilità, puntualità e tanta tanta voglia. Sembra una lista della spesa, si.
Quali sono i batteristi che maggiormente segui e quali pensi che siano i migliori prospetti nel panorama italiano ?
A livello internazionale ho scoperto solo negli ultimi anni dei batteristi incredibili che consiglio a tutti di cercare sul web:
Dan Mayo, Carter McLean e
Scott Pellegrom. Tra quelli che seguo di più ci sono:
Mark Guiliana, Dave Grohl, Yussef Dayes, Nate Smith, Steve Jordan, Chad Smith e il già stra citato
Phil Collins. A livello Italiano la lista è abbastanza lunga ma ti dirò quelli con cui ho avuto la fortuna di entrare in contatto e che mi sorprendono costantemente:
Alessandro Inolti, seppur giovane è già nella “champions league della batteria italiana”;
Danilo Menna per la sua ecletticità e per la sua continua ricerca sonora;
Francesco Aprili per il suo incredibile gusto sul set, la cura del tocco e le soluzioni sempre originali;
Dimitri Nicastri per la sua poliedricità e la sua energia incredibile;
Davide Savarese per essere un vero e proprio alieno (può suonare davvero qualsiasi cosa) e infine
Antonio Cicci, per la sua testa a 360 gradi, il suo orecchio attento e soprattutto per essere uno dei batteristi più solidi che conosca.