Quella 2020 rimarrà un’edizione del Festival di Sanremo che difficilmente verrà dimenticata. Tra scandali e polemiche di rito, questa edizione ha rappresentato un deciso segno di discontinuità con gli ultimi anni.
L’orchestra è cambiata quasi del tutto. Ai volti storici del festival si è avvicendata con successo una nuova orchestra composta da grandi nomi della musica italiana. Tra i tanti novizi del festival vi era anche Tommaso Sansonetti.
Inizia a studiare batteria all’età di 14 anni. Negli anni studierà batteria con Walter Martino, Giorgio Di Tullio, Alessandro Marzi e Salvatore Scorrano.
Nel 2006 si trasferisce a New York per studiare al Drummer’s Collective e privatamente con Dom Fomularo. Più tardi, tornato a Roma, il suo interesse va verso le percussioni classiche. Nel 2018 si laurea con la votazione di 110 e lode in strumenti a percussioni presso il conservatorio di Santa Cecilia di Roma. Nel corso dei suoi studi classici ha avuto come insegnanti Domenico Fontana, Roberto Pangrazzi, Giordano Rebecchi, Gianluca Ruggeri e Andrea Santarsiere.
Nel corso degli anni partecipa a diverse trasmissioni televisive (“Miss Italia”, “Ora o mai più”, “Ti lascio una canzone”) e opere teatrali come percussionista classico. Alla sua attività di percussionista si aggiungono diversi impegni come batterista.
Attivo nella didattica, nel 2011 apre a Roma lo studio Cinque Quarti Music Studio: uno spazio professionale dove impartisce lezioni private o dove registra, ma è ben noto anche per essere sede di numerosi eventi di successo come seminari e masterclass con ospiti di grande prestigio.
Ciao Valerio, innanzitutto complimenti per il lavorone che fai su questo sito e sui social e grazie davvero per questo spazio che hai voluto darmi!
Per riassumere l’esperienza a Sanremo non mi viene null’altro che un gigantesco WOW !!! Mi ha veramente lasciato tantissimo, sia il fatto di aver imparato proprio qualcosa di nuovo, sia per aver imparato ancora più come essere un professionista e come essere una persona su cui si possa far affidamento.
Ho avuto altre esperienze in televisione, in orchestre sinfoniche e di vario genere. Ogni lavoro ha il suo rispettivo grado di stress. Sanremo però è un caso a parte, sia per mole di lavoro – abbiamo suonato forse più di cento brani in un mese -, sia proprio per lo stress dato dalla responsabilità di una manifestazione in mondovisione. Ti posso dire però che la cosa più bella che quei giorni mi ha lasciato è stata l’esperienza umana. Ho vissuto trentacinque giorni a strettissimo contatto con persone, alcuni già li conoscevo, mentre altri li ho conosciute in quei giorni, che ho scoperto essere veramente meravigliose. Parlo nello specifico di Cristiano Micalizzi e di Carlo Di Francesco, quelli con cui ho avuto più a che fare sia per ragioni di spazio – perché sul palco eravamo proprio molto vicini -, sia per il contesto musicale. Mi sono interfacciato tantissimo con loro per dividere le parti e i suoni.
Abbiamo vissuto tutti in una situazione molto molto molto molto molto stressante, ma allo stesso tempo molto gratificante.
Il primo giorno di prove riceviamo le parti dei brani in gara, i ventiquattro big e le otto nuove proposte. Come prima cosa si fa un ascolto del provino che hanno mandato gli artisti. Già dalla prima lettura cerco di scrivermi quante più informazioni possibili. Una volta ascoltato il provino si facevano un paio di esecuzioni con l’orchestra e si passava al brano successivo. I brani venivano poi ripresi quando arrivavano i cantanti. Oltre al cantante, veniva chiaramente anche il produttore e tutto l’entourage. Ci sono stati sia episodi in cui ci è stato chiesto di apportate al brano modifiche in base al nostro gusto, sia brani in cui invece abbiamo esclusivamente suonato tutto ciò che era scritto.
Te Cristiano e Carlo come avete lavorato sulle vostre parti ?
Al primo ascolto, mentre ovviamente scorrevo la mia parte, prestavo attenzione anche alla parte di percussioni di Carlo. Mi ero segnato ogni volta che entrava un suo piccolo strumento – shaker, tamburello ecc -, per far sì che è nel momento in cui non avessi avuto nulla da suonare, potevo proporre a Carlo di alleggerirgli il lavoro. Eravamo talmente vicini che durante i brani ci passavamo spesso gli strumenti. Questa esperienza ravvicinata con Carlo mi ha insegnato veramente tanto.
E’ successo anche che se avevamo un’idea, la proponevamo al maestro di riferimento. Forti anche delle possibilità dei nostri tre multipad, con Cristiano e Carlo abbiamo rivisto molte parti delle sequenze e devo dire che alla fine dei conti abbiamo lasciato sotto in sequenza pochissimi suoni.
Quali sono stati i momenti musicali che hanno richiesto maggiori attenzioni o che nascondevano maggiori insidie ?
Ti dico subito che i momenti musicali con più insidie erano sicuramente quando venivano gli ospiti. I brani in gara e le cover li abbiamo provati da subito e va da se che quindi ogni insidia possibile veniva poi risolta col tempo. Altra cosa è stata quando c’erano gli ospiti perché li vedevamo solamente il giorno stesso della diretta. E’ successo anche che il brano arrivasse molto tardi, che l’artista arrivasse tardi o che fosse messo per ultimo nella scaletta. Quindi provavamo per la prima volta il pezzo alle 17:30 e alle 20:30 doveva essere eseguito in diretta.
Se ti devo dire un brano particolarmente insidioso, specialmente per i timpani, è stato il brano che ha portato Gigi D’Alessio. Era una versione orchestrale di un brano suo famoso. Se calcoli che in ogni brano sono arrivato a un massimo di 20 cambi di note da eseguire sui timpani – che comunque non sono pochi se consideri che generalmente duravano 3-4 minuti – in quello di Gigi D’Alessio ne ho dovuti fare 48. Questa è una cosa che si fa tranquillamente quando hai 4 timpani, ma io ne avevo solamente 3. Non è neanche questa una grande preoccupazione, si fa tranquillamente. Il problema vero è stata la tempistica. Considera che ogni 2 ore di prove, avevamo 15 minuti di pausa ed io passavo quel tempo a sistemarmi gli strumenti o a rivedere le parti più difficili. Ecco, il problema è che questo brano è arrivato nella scaletta delle prove alle 18! Ho avuto soltanto due volte per provarlo con l’orchestra. La seconda volta che l’abbiamo provato è andata sicuramente meglio della prima, ma comunque non ero soddisfatto. Quindi io cosa ho fatto: mi sono sbrigato a mangiare, mi sono cambiato di corsa e sono corso giù in teatro prima della diretta e ho riprovato tutto il brano da solo con il metronomo, 3 volte.
Un altro episodio particolare è accaduto con una cover. Ho avuto lo spartito con la mia parte per timpani ma non so come è accaduto, non l’ho vista, era in mezzo ad altri. Vedendo che il brano era senza ritmica, ma solo con archi, ho quindi chiesto al maestro se avessi dovuto suonare. Mi rispose di no. Finite le prove generali ritrovo lo spartito e scopro che in quel brano c’era una parte di timpani! A quel punto il dubbio: lo suono o non lo suono? Ebbene ho deciso di suonarla in diretta senza aver provato. Non era difficilissima la parte, ma certamente mi sono preso una bella responsabilità!
Probabilmente sono stati i due momenti più stressanti, ma anche quelli più belli.
Nelle canzoni del festival le percussioni classiche non suonano continuamente. Come gestisci le lunghe pause ?
Sì, i miei strumenti hanno molte battute d’aspetto. Invece di contare e basta – in orchestra sinfonica si può arrivare anche a 200 minure! – adotto un sistema preciso: mi segno sulla parte via via quando entrano gli strumenti. Quindi le tante misure d’aspetto vengono divise in tanti piccoli gruppetti. Questa cosa la faccio sopratutto sia nella musica classica quando un movimento di una sinfonia o un atto d’opera può durare anche quarantacinque minuti, sia in televisione in un brano di tre minuti.
Nel corso della votazione da parte dell’orchestra, per chi hai votato e perché ?
Io, così come tanti altri miei colleghi, abbiamo votato il brano di Tosca. Lei è un’artista fenomenale e sia il brano che ha portato in gara che la cover di “Piazza grande” erano meravigliosi. Comunque era abbastanza scontato che vincesse lei perché erano giorni che tra di noi non facevamo altro che parlare della bellezza del suo brano, tra l’altro era anche molto diverso da tutti gli altri in gara.
Soprattutto attraverso i social traspariva una grande complicità con Di Francesco e Micalizzi. Puoi raccontare qualche episodio a testimonianza di questa complicità ?
Lavorare con loro due è stato davvero speciale. Sicuramente è stata una sorpresa soprattutto con Carlo perché non ci conoscevamo bene, conoscevo meglio Cristiano perché avevamo fatto l’ultima edizione di Ti Lascio Una Canzone insieme. La complicità c’è stata da subito. Cristiano e Carlo suonano insieme da molti anni e di conseguenza è stato piuttosto facile inserirmi in un duo così affiatato.
Tommaso Sansonetti insieme a Cristiano Micalizzi (al centro) e Carlo Di Francesco (destra)
Nei primi giorni mi proponevo per suonare alcune cose per aiutarli e rendere loro il lavoro più semplice o alleggerirlo dato che spesso non suonavo. Da questi episodi sono nati bellissime situazioni. Quando ascoltavamo il brano e c’erano delle sequenze elettroniche facevamo una divisione di chi avrebbe suonato cosa. E’ stato bellissimo perché in 3-4 brani dove la ritmica era prettamente elettronica, c’era Cristiano che portava il groove ed io e Carlo facevamo interventi su quanto suonava Cristiano. Tutto bello finché in un brano abbiamo deciso di osare: Cristiano suonava charleston e cassa, Carlo faceva un charleston aggiunto ed io suonavo il rullante. Pensa alla difficoltà di andare tutti e tre insieme perfettamente senza alcun flam !!! Questo esperimento l’abbiamo riproposto in altri brani. È stato molto emozionante se ci ripenso mi viene ancorare la pelle d’oca.
Allora, ogni musicista aveva un mixer digitale dentro cui arrivavano tutti gli strumenti dell’orchestra. Gli archi, i fiati, le chitarre, le tastiere erano raggruppati ognuno in un canale separato. Poi negli altri canali c’erano basso, batteria, percussioni di Carlo, click e la voce del maestro. Anche i miei strumenti avevano ingressi separati: avevo un volume per timpani e batteria elettronica, un altro ingresso per il glockenspiel e un altro per lo shaker. Oltre alla comodità data dal poter gestire in autonomia i propri ascolti, una grande mano ci veniva dal fonico di palco (il mitico Alessandro Amendolara!) che aveva delle scene per ogni brano. Ovviamente avevamo tutti degli in-ear. La parte degli ascolti è un aspetto da non sottovalutare. Devi considerare che avevamo le cuffie per circa 12 ore al giorno e per questo in prova tenevo il volume del master abbastanza basso. In diretta invece mi piaceva alzarlo un pò per darmi una bella carica!
Ci sono stati momenti di panico durante la diretta ? Puoi raccontarci qualche retroscena in particolare ?
Sì, c’e stato un momento di panico durante il medley dei Ricchi e Poveri. Appena partito il brano, il click ha cominciato ad impazzire! Sembrava un percussionista ubriaco che suonava una clave a caso, che paura! Qua voglio fare ancora un encomio a Cristiano, che non ha battuto ciglio. E’ stato molto tranquillo, è andato dritto. Senza nessuna agitazione ha continuato ed ha permesso al programmatore di risolvere il problema. Diciamo che però è stato un lunghissimo minuto e mezzo!
All’interno del tuo set hai unito elementi “classici”, percussioni latin e strumenti elettronici. Come hai elaborato il tuo set ?
Nei giorni precedenti all’inizio ho mandato una scheda tecnica alla produzione elencando gli strumenti che mi servivano.
Per questo tipo di situazioni il mio set standard è composto da timpani, glockenspiel, rullante, piatti sospesi e piccole percussioni posizionate su un tavolino. In genere richiedo quattro timpani, ma non sempre per ragioni di spazio della scenografia mi è possibile averli. Il glockenspiel molto spesso lo posiziono sopra i due timpani a sinistra. Presto sempre molta attenzione nel posizionamento del set proprio per avere tutto il più possibile a portata di mano. Poi da quest’anno ho inserito anche la batteria elettronica. E’ stata una bella new entry perché non avendo la possibilità di portarmi tutti gli strumenti più ingombranti come il gong, il rullante da marching band, campane tubolari o la grancassa, li ho programmati li dentro. Una cosa particolare mi è capitata con il brano di Rancore “Eden”: mi è stato richiesto di fare il cymbal scrape, ossia il raschiamento del piatto. Lo provammo a Roma, ma purtroppo veniva troppo basso di volume e non usciva in registrazione, e a complicare ulteriormente la situazione dovevo fare un rullo di timpano che terminava sul battere del cymbal scrape. Per fare lo scrape serve un qualcosa di metallico ed ovviamente i battenti dei timpani non sono assolutamente adatti. Così mi sono chiesto come poter fare. Ho registrato nel mio studio un suono di scrape, l’ho campionato e messo nel multipad. In questa maniera potevo gestire al meglio il volume ma sopratutto potevo suonarlo in maniera agevole a completamento del rullo sui timpani. Una piccola curiosità: non avevo pensato a dove cascasse il battere di questo mio campionamento. Alla prima prova mi sono chiaramente accorto che non cascava perfettamente in battere, così ho fatto un calcolo che per farlo cascare nel momento preciso, dovevo far partire il campionamento 1/16 prima del battere. Generalmente i suoni campionati li ricevevo direttamente dai produttori per rendere il tutto più fedele al disco, ma è capitato anche che gli proponessi anche dei suoni miei personali.
Ho usato anche i woodblock, i piatti sospesi, un rullante 13”x4” oltre a shaker, tamburello basco, tamburello, cabasa, vibraslap, triangolo, oneshot e altri piccoli strumenti.
Lavorare in Rai
Come è arrivata la chiamata per essere parte dell’orchestra ?
La chiamata è arrivata da Maria Cristina che è la sorella e collaboratrice di Leonardo De Amicis. Era fine ottobre, inizio novembre. Mi ha chiamato dicendo “Ciao Tommaso, Leonardo è stato coinvolto quest’anno nell’orchestra di Sanremo come direttore musicale e direttore d’orchestra, vorrebbe che ci fossi anche tu”. Ho risposto immediatamente di sì.
Collabori con Leonardo De Amicis da molto tempo. Com’è nata e sviluppata la vostra collaborazione ?
La prima volta è stata nel 2013. Studiavo al conservatorio a Roma e venni chiamato dal mio maestro Gianluca Ruggeri, che ancora oggi ringrazio e saluto affettuosamente. Era in allestimento a Roma lo spettacolo di Gianni Morandi all’Arena di Verona. Oltre alla ritmica di Leonardo, dove c’erano molti dei musicisti che poi avrei ritrovato nel festival, c’era l’Orchestra Sinfonica dei Conservatori composta da circa 100 ragazzi. A Leonardo serviva un percussionista in più e chiamò il mio maestro chiedendogli se conosceva qualche suo allievo che potesse consigliargli e Gianluca fece il mio nome. Quella chiamata arrivò la mattina ed il pomeriggio dovevo stare là. Ho disdetto tutti i miei impegni e mi sono precipitato allo studio! Ho fatto la mia incursione a prove iniziate proprio perché mi chiamarono all’ultimo momento. Facciamo le prove e lo spettacolo di Gianni Morandi va molto molto bene.
Dopo qualche mese mi arriva una chiamata per suonare i timpani nella settima edizione di ”Ti lascio una canzone” che sarebbe cominciata di lì a pochi giorni. Oltre alla settima edizione, sempre con De Amicis feci anche l’ottava edizione. L’anno dopo feci altri lavori fuori dalla televisione sempre con Leonardo. Dopodiché mi chiamarono per “Ora o mai più“: in quell’occasione oltre ai timpani suonavo tutte le percussioni latine: avevo un set enorme.
Lavori da diverso tempo in varie trasmissioni Rai. Qual è la principale differenza tra le altre trasmissioni e Sanremo ?
A Sanremo il numero dei brani è sicuramente inferiore rispetto a programmi come Ti Lascio Una Canzone o Ora O Mai Più ma la pressione, l’importanza che si ha sia da punto vista mediatico, sia da un punto di vista di responsabilità è veramente un grande peso che senti addosso. Se pensi solo al fatto di essere in mondovisione e che suoni nella trasmissione musicale più seguita ed importante d’Italia, senza dimenticare la storia di questa manifestazione o di quello ha rappresentato nella società, per poi ricordare anche il luogo, il mitico teatro Ariston … insomma tante cose fanno pensare che Sanremo sia diverso dalle altre trasmissioni.
Dovendo suonare per un contesto televisivo di grande seguito, hai cercato anche di collaborare all’impatto scenografico oppure hai preferito concentrarti unicamente sul suonare ?
Io non riesco a stare fermo. Questo è dato anche dagli strumenti che suono. Per suonare molti strumenti come il rullante, il glockenspiel, il tamburello o lo sheaker, dovevo alzarmi. Spesso mi pare quasi di ballare mentre suono e probabilmente questo dà quasi un senso coreografico alla mia esibizione.
Ma non pensare che quando avevo delle battute d’aspetto stavo fermo! Mi muovevo anche in quel caso, molto spesso ballavo proprio!!!
Le polemiche sulle paghe degli orchestrali del Festival
Impossibile non fare qualche menzione sulla polemica scoppiata riguardo i compensi degli orchestrali. Come è stata affrontata la questione all’interno dell’orchestra dopo che è scoppiato il caso ? Ne avete parlato tra di voi ?
Sono sincero nel dire che nell’orchestra non c’è stato il tempo di parlarne talmente i tempi erano serrati. Quello che ti dico io è che trovo assurda questa storia. Non è accettabile che prendano così poco. D’altra parte però io non so bene cosa dirti perché non l’ho vissuta in prima persona, ma ti dico che in quei giorni non c’è stato neanche il tempo di approfondire quanto arrivava da fuori.
Da “orchestrale aggiunto” come hai elaborato le tue richieste di cachet?
Banalizzando la cosa, la Rai funziona come le classi delle assicurazioni. Questo è stato il mio primo contratto Rai e quindi sono partito dall’ultima classe, diciamo. Inizialmente ho fatto una mia richiesta, mi è stata proposta un’altra cifra e alla fine ci siamo trovati a metà strada. Comunque un buon cachet.
Ovviamente poi ad ogni contratto Rai si spera che si possa “salire di classe” ma anche questo aspetto negli anni è andato sempre peggiorando. Confrontandomi con altri musicisti più navigati mi raccontano che una volta si dava maggior valore ai musicisti.
I pochi finanziamenti alla musica classica è sempre oggetto di grande dibattito.Che sensazione si provava a leggere i cachet stratosferici dei vari ospiti e poi scontrarsi con quanto viene pagato un componente dell’orchestra, il quale dovrebbe essere fulcro dello spettacolo ?
Cercherò di rispondere brevemente, anche se l’argomento è assai ostico. A mio dire il problema è prima di tutto di tipo culturale. Purtroppo la gente non conosce più, non è più abituata a sentire musica un certo tipo. Negli anni man mano chiudevano le orchestre, man mano purtroppo andavano a sgretolarsi queste realtà musicali. Sopratutto se pensiamo a quante ce ne sono negli altri paesi europei. A questo punto viene da chiedersi “perché in Olanda ci sono molte moltissime orchestre stabili?”. Semplicemente perché quando fanno i concerti la gente ci va, è culturalmente abituata a sentire musica classica, a voler riscoprire questo patrimonio storico pazzesco.
La cosa grave è che in italia purtroppo queste cose non si fanno. Siamo molto indietro da questo punto di vista. Ho moltissimi amici che hanno avuto un’esperienza all’estero -anche solo di studio – e non sono mai più tornati. Questo perché hanno riscontrato lì una situazione lavorativa, una situazione culturale e musicale che non ha niente a che vedere con l’Italia. L’Italia non riconosce la propria storia.
I vari governi, ministri dell’istruzione e della cultura non si sono mossi per risollevare la situazione artistica di questo paese. E questo discorso non è da applicare alla sola musica, ma potrebbe allargarsi anche al nostro patrimonio storico.
L’Italia è il paese dove è nata l’arte, dove è nata la musica, dove la pittura ha dato il meglio di se, dove c’è concentrata la più la più grande e numerosa rappresentanza artistica. La musica è nata nelle abbazie, nei monasteri, nei teatri d’opera. Ogni città ha un suo teatro d’opera. Bisognerebbe riprendere la nostra storia, il nostro valore musicale che è stato perso negli anni.
Noi giovani dobbiamo fare qualcosa. L’arte va spronata, va alimentata, vanno valorizzate le persone che si occupano di questo. Mi chiedo perché in altri paesi non tanto lontani da noi, gli artisti vengono aiutati ? Nelle scuole di musica francesi viene predisposto un asilo nido per le mamme o i papà con figli piccoli per poter permette loro di andare a lavorare. Perché negli altri stati vengono costruiti nuovi musei mentre qui vengono chiusi? Perché le orchestre stabili chiudono? Qui purtroppo si va sempre più verso l’intrattenimento di massa, come è la televisione. Si punta tutto su questo e sui fenomeni che essa costruisce. Quindi per avere un artista che fa audience, lo si paga una marea di soldi e con questo mi riallaccio alla tua domanda. Dobbiamo insegnare i nostri figli che l’arte va amata e va rispettata così che magari in un futuro qualcosa possa cambiare.
Ho cominciato suonando la batteria molto prima delle percussioni classiche. Alle percussioni classiche ci sono arrivato grazie ad un amico che saluto, Rodolfo Demontis di Drumstart. Pensa che con Rodolfo ho fatto la scuola materna !!! Ero appena tornato da New York ed ero felice. Però mi mancava lo studio di uno strumento armonico. Era primavera 2007, e parlando un pò con lui mi fece scoprire tutti questi strumenti incredibili. MI invitò a casa suo dove aveva tutto: timpani, vibrafono, marimba… Ero impazzito !!! Mi sembrava di essere tornato alla prima volta che avevo visto una batteria.
Potevo unire la mia passione per la percussione con quello dell’armonia e della melodia.
Che consigli ti senti di dare a chi vuole lavorare come percussionista sinfonico ?
Lavorare in un contesto sinfonico vuol dire tante cose. In primis, vuol dire entrare in un’orchestra stabile. Quello che posso dire nel mio caso è che non bisogna snobbare altri campi al di fuori del proprio o fossilizzarsi sulla propria confort zone. Il consiglio che io do è quello di prestare un orecchio a quella che viene chiamata “l’altra musica” : quella moderna per la classica e quella classica per la musica “pop”. In particolar maniera sono convinto e consiglio a tutti i batteristi e musicisti classici di confrontarsi.
Personalmente io ho trovato solo benefici dal vivere i contesti sia di musica moderna, sia di musica sinfonica.
Ho iniziato a suonare la batteria per la prima volta a 12 anni. Ero in Puglia in vacanza e una sera andammo a cena da amici. Michele, il figlio di questi amici, aveva una batteria al piano di sotto e me la fece provare. Mi ricordo che tanta era l’emozione che non volli più salire e saltai la cena. In quei giorni tornai più volte da lui. Prima di allora la batteria non l’avevo proprio considerata. Negli anni precedenti studiai pianoforte e presi qualche lezione di chitarra, ma niente di serio. Visto il mio entusiasmo, a settembre i miei genitori mi fecero trovare una batteria in camera, era di un nostro amico che non la suonava più, grazie Izio! Dopo qualche mese un mio zio mi disse “Se suoni la batteria non puoi non conoscere i Police” e me li fece ascoltare. Li conoscevo vagamente ed iniziai a studiarli suonando sui loro dischi. Andai avanti così per un paio d’anni.
Senza dubbio Stewart Copeland, insieme anche a Chad Smith, agli inizi rappresentarono molto per me. Ancora oggi la loro musica è sempre presente tra gli ascolti che faccio.
Come cerchi di portare il tuo bagaglio classico sul drumset ?
Allora devo dirti che da orchestrale sinfonico, sono stato sempre molto fortunato a trovare batteristi incredibili accanto a me. Ho suonato con Alfredo Golino, Marco Rovinelli, Cristiano Micalizzi e Luca Trolli.
Tornando alla domanda, mi è successo che appena ho iniziato a suonare i timpani ho notato che la tecnica timpanistica, come trattare il rimbalzo, come rispettare la vibrazione della pelle, ho subito capito che poteva giovare moltissimo al mio suono sulla batteria. Se riportavo i movimenti sui timpani con attenzione anche sul drumset, mi accorgevo che il suono cambiava totalmente. Il suono era molto più profondo, molto più corposo, i movimenti andavano a favorire la “respirazione” del suono.
Devi credermi, quando ho iniziato a lavorare su questo aspetto, tante persone con le quali suonavo mi dicevano che la batteria suonava in maniera differente!
In quel momento stavo studiando tantissimo i timpani e per niente la batteria. In pratica, fa ridere se ci pensi, ma sono migliorato come batterista avendo smesso si studiarla!
A 14 anni andai ad Officine Musicali del Borgo a Roma. Lì cominciai a studiare con Alessandro Marzi, grandissimo batterista e successivamente ottimo amico. Feci solo un anno con lui perché purtroppo poi andò via.
Scelsi di studiare privatamente con Salvatore Scorrano, altro immenso didatta e grande musicista, ora uno dei miei più cari amici. Con lui studiai 4/5 anni fino a quando sono partito per gli States. Con Salvatore non studiai solo la tecnica dello strumento, ma anche tutto quello che ci gira attorno. E’ stata una persona ed un insegnate davvero unico. Pensa, mi portava con se ai concerti, lo seguivo nei sound-check – mi faceva suonare al posto suo – e già a17 anni scambiavo opinioni e consigli con i professionisti che suonavano con lui.
Tra i tanti saluto e ringrazio tanto anche Primiano Di Biase, anche lui mi ha davvero aiutato molto in quegli anni.
Nel 2006 sono partito per gli States. Ho fatto 3 mesi intensissimi al Drummer’s Collective di New York, molto belli, impegnativi e complessi.
Al rientro dal Collective ho studiato, purtroppo per pochissimi mesi, con Walter Martino.
Successivamente mi presi una pausa dallo studio della batteria perché per studiare in conservatorio. Era il 2007. Mi ero reso conto che avevo bisogno d’imparare l’armonia, volevo sapere come funzionasse bene la musica. Come ti dicevo prima, dopo l’incontro con Rodolfo Demontis scoprii le percussioni classiche. Successe un qualcosa molto simile a quando vidi la batteria per la prima volta.
Nel 2016 conobbi Giorgio Di Tullio grazie a una sua masterclass che organizzai nel mio studio. Iniziai a prendere qualche lezione con lui a Milano. Purtroppo però dopo qualche tempo dovetti interrompere perché dovevo mettermi sotto per la laurea in Conservatorio che arrivò nel marzo 2018.
Hai studiato al conservatorio. Che tipo di esperienza è stata ? E’ stata una strada che realmente ambivi oppure era solo per il pezzo di carta?
Come dicevo prima, il conservatorio non è stata una cosa che inizialmente programmavo di fare, anche perché fino a poco prima che m’iscrivessi non conoscevo affatto gli strumenti a percussione. No, non ambivo affatto unicamente al pezzo di carta. Ero interessato proprio ad apprendere tecniche che mi servivano per lavorare. Allora già lavoravo, ciononostante mi sentivo ancora incompleto di tutto un bagaglio tecnico che solo il conservatorio poteva darmi in quel momento.
L’esperienza è stata durissima.
Ero grande: avevo 22 anni e avevo i miei gruppi, davo lezioni e suonavo spesso in giro. Mi sono ritrovato in classe con ragazzi di 14/15 anni che stavano in casa con i genitori, senza pensare ad altro se non a studiare, mentre io già abitavo per conto mio e dovevo stare appresso a tante altre cose esterne alla musica. Il risultato era che io mi potevo dedicare allo studio per un massimo di 2 ore, mentre loro ovviamente potevano applicarsi molto di più. Ogni tanto era molto lo sconforto a lezione, loro andavano bene avanti e io no.
Un’altra difficoltà è che proprio a 22 anni ho iniziato a leggere la musica. Avevo qualche nozione data dai miei trascorsi al pianoforte, ma erano ricordi assai sbiaditi. A quell’età è difficile avere lo stesso apprendimento che può avere un ragazzo molto più piccolo.
Durante questo percorso durato 10 anni tantissime volte ho pensato di lasciare. Pensavo “Per me non va bene. Non ce la faccio” e altri pensieri similari. La mia fortuna è avere Giada al mio fianco, una donna fantastica. Ad ogni mio lamento lei mi rispondeva che se avessi avuto la cattiva idea di lasciare il conservatorio, lei avrebbe lasciato me. La sua forza mi ha permesso di non arrendermi.
Sicuramente il percorso che sto portando avanti non sarebbe stato possibile senza il conservatorio. Grazie a chi ho incontrato lungo il mio percorso didattico al conservatorio, ma grazie ancora a Giada per avermi sempre supportato nei momenti di crisi.
Hai studiato con Dom Fomularo. Che esperienza è stata e cosa ti ha trasmesso ?
La prima volta che vidi Dom fu a Roma in un’incontro organizzato da Musicarte e la cosa che mi colpì era l’innegabile amore e entusiasmo per la batteria, ma anche verso la storia di questo strumento. Mi colpiva come desse importanza ai personaggi che hanno determinato l’evoluzione della batteria.
Non voleva apparire solo lui o vendere tutti costi il suo libro, voleva parlare dello strumento. Era una sorta di ambasciatore di alcuni personaggi che hanno rivoluzionato il nostro strumento.
Dopo qualche anno lo riincontrai nuovamente a Roma per una lezione privata all’Ottava. Parlammo a quattrocchi e alla fine mi disse “Vieni a trovarmi nel mio studio di Long Island“.
Ci volle qualche anno, ma alla fine riuscii ad andare a trovarlo. La cosa che mi colpì era che si ricordava benissimo di me !!! Si ricordava di come suonavo, com’ero fatto, come mi chiamavo. La cosa divertente è che arrivato alla stazione di Long Island, forse ero un po sovrappensiero, forse l’emozione, fatto sta che io non lo riconobbi. Lui invece, con il suo solito sorriso ed entusiasmo, mi venne incontro gridandomi “Hey, Tommy !!!”.
La cosa che mi colpisce della sua didattica è la grande attenzione alla storia. Da molto valore alle tecniche del passato.
Per me è stato un grandissimo piacere ritrovarlo a Roma lo scorso maggio per due eventi. Il primo fu nel mio studio. Una lezione per soli 30 insegnanti di batteria. Fu veramente molto molto interessante.
Il secondo giorno invece organizzammo un evento più grande con persone arrivate da tutta Italia. In quei giorni si è consolidata e fortificata la stima che avevo per lui, oltre a ricevere un grandissimo apprezzamento sia per la mia didattica, sia per il mio studio, il Cinque Quarti Music Studio. Mi ha esortato a proporre altri incontri formativi e lezioni via Skype proprio perché meravigliato dalla bellezza e dall’acustica del posto. Detto da uno che gira il mondo come lui è stato un grandissimo orgoglio !!!
Foto del 2006 con Tommaso presso lo studio di Dom Fomularo a Long Island
A tuo dire, qual è la differenza tra la didattica musicale d’oltreoceano e di casa nostra ?
Non credo che ci sia una reale differenza. Ho vissuto appieno il contesto della sola città di New York, ma sull’argomento mi sono confrontato con altre persone che hanno studiato in altre realtà degli States. Penso che noi in Italia non abbiamo nulla da invidiare.
La differenza vera sta nelle possibilità che il territorio permette. La realtà lavorativa di New York è impossibile da raccontare. L’esperienza sul campo che puoi fare dal vivo è un reale valore aggiunto alla didattica e al percorso di formazione di un musicista. Altro aspetto importantissimo è legato agli incontri che puoi fare. Nei corridoi del Drummer’s Collective puoi ritrovarti a parlare come niente fosse, con personaggi quali Steve Smith, Chad Smith o Vinnie Colaiuta, ed ovviamente è altrettanto facile ritrovare questi monumenti nei tanti club sparsi nella città. Sopratutto per il jazz, penso che New York sia il massimo, ma ribadisco che tolti questi aspetti difficilmente colmabili, la realtà didattica italiana non ha nulla da invidiare a quanto accade a New York.
Il mio rapporto con la tradizione e la storia è iniziato di pari passo al mio ingresso in Conservatorio. In precedenza avevo studiato con Dom Fomularo la storia dello strumento, però la spinta decisiva l’ho avuta negli anni al Santa Cecilia.
La mi sono incuriosito della storia della musica in generale, scandagliarla in ogni minimo particolare, autore per autore, opera per opera. Mi appassionava vedere anno per anno come determinati autori s’influenzassero o maturassero delle proprie derivazioni musicali. Era divertente vedere come nella stessa città, nello stesso periodo si facessero cose completamente diverse o molto simili tra loro.
Una cosa che mi ha colpito particolarmente è stato proprio il ‘900. Mi sono appassionato in particolar maniera di musica contemporanea e del minimalismo. Autori come Edgar Varese, Steve Reich o altri. Nel ‘900 le percussioni classiche e la batteria hanno avuto un evoluzione pazzesca.
È la carta d’identità. È la naturale prosecuzione di noi. Io sono quel suono. Il suono è nel musicista, nel suo corpo. E’ il suo cuore, le sue mani, le sue spalle, le sue gambe, il suo cervello. Chiaramente ogni strumento ha un suo determinato suono, ma noi siamo quel suono che produciamo con quello strumento.
Il sogno di tutti è quello di essere riconosciuti mentre si suona. È una cosa difficile da raggiungere. Mi sono accorto che queste sono cose che vengono con l’età, con l’esperienza. Senza dubbio un batterista di quarant’anni ha maturato la giusta esperienza di vita e di palco per avere la confidenza con lo strumento e su di esso ha plasmato anche una personalità sonora. Con questo non voglio assolutamente dire che noi trentenni, trentacinquenni o più giovani siamo da meno, ma secondo me è indubbio che l’esperienza giochi un ruolo importantissimo nella maturazione sonora.
Dopo questa mia ultima esperienza lavorativa a Sanremo sono sicuro di aver fortificato anche il mio suono. Sono convinto che il suono non lo dia uno strumento, ma il musicista che lo suona. Anche se si suona un set disastrato e non tuo, bisogna sempre dare il meglio. Ecco perché mi piace andare nei locali e suonare con quello che è a disposizione, magari mi porto qualche pelle di scorta, ma non sono uno di quelli che suona solo ed esclusivamente con il proprio strumento.
Qual è il tuo concetto di personalità ? Secondo te è un requisito fondamentale per i nuovi professionisti ?
Ho sempre avuto la curiosità di sapere. Ho sempre voluto guardare oltre il mio strumento.
Per esempio, alle medie avevo il mio gruppetto. Allora ero il batterista. In questo gruppo c’era un problema con il chitarrista a cui non andava di tirarsi giù i soli.
Avevo talmente il desiderio che tutto venisse bene, che tirai giù al pianoforte tutto il solo di chitarra. Mi ci dedicai molto. Erano brani molto semplici, niente di complicato. Ovviamente non considerai che il chitarrista non sapeva leggere il pentagramma che con tanta devozione avevo tirato giù, fu un lavoro inutile!
Però questo episodio è per dirti di quanto meticoloso sia sempre stato e di come l’attitudine professionale era già insita in me.
Bisogna essere sempre curiosi tutto ciò che ci circonda.
Per farti un ulteriore esempio, mi piace molto smanettare anche con le registrazioni audio e video. Penso che questo oggi sia un requisito fondamentale dal momento che attraverso i social ci si può promuovere da soli.
Il musicista di oggi deve avere una personalità aperta, senza alcune preclusioni. Se oggi sono arrivato al festival di Sanremo è perché non mi sono accontentato di quello che sapevo, ma ho sempre ricercato cose che non conoscevo affatto.
Cosa rappresenta per te l’arte e come la ricerchi ? Questa ricerca influenza la tua musica o il modo d’intendere la vita?
L’arte è parte della mia vita, della mia giornata.
Amo passare il tempo a fare ricerche su internet di cose che mi interessano. Mi piace molto sia condividere cose che so con altre persone, che chiedere ad altri di cose che non so. Mi confronto molto e vedo che ogni volta vado un pezzettino avanti.
Mi piace anche l’arte in generale, vedere dal vivo o nei libri cose belle, immagini belle, che suscitino in me qualcosa. Tutte queste ricerche si ripercuotono sulla musica, condiscono e danno un ulteriore valore agli studi che poi vado a fare sullo strumento o delle esperienze musicali che sono chiamato a fare.
Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni
Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.