C’è stato un momento preciso nella storia del jazz, ormai oltre 50 anni fa, dove si ripensò a ruoli, strutture, strumenti e tecniche. La storia la conosciamo tutti: Ornette Coleman riunì un doppio quartetto e registrò un lavoro. Uscì un vinile dal titolo Free Jazz, fu l’inizio. Alle batterie Ed Blackwell e Billy Higgins. Fu questo un segnale importante che da subito portò diversi musicisti a ripensare il proprio ruolo e quindi scegliere di allargare idee, concetti e strumentazione. Tutto il periodo è documentato molto bene su testi e dischi. Credo che per “entrare” meglio in ciò che accadde in quegli anni sia importante pensare anche alla situazione sociale e politica di ciò che succedeva in USA in quel periodo.
Molti musicisti neri rivendicavano la loro origine africana, allargando i loro interessi e utilizzando strumenti africani ma anche orientali, centro e sud americani, (con questi ultimi in realtà ciò avvenne già col be bop con Dizzy Gillespie o anche Art Blakey tra gli altri) divenendo in questo modo polistrumentisti, adottando nuove tecniche strumentali.
La respirazione circolare tra i suonatori di strumenti a fiato, i cordofoni, provenienti da diversi continenti, strumenti ad ad arco , a pizzico e percossi entrarono a far parte dello strumentario cosi come strumenti a fiato etnici e piccole percussioni come kalimbe, gong, sonagli vari, fischietti, arricchendo in questo modo il suono e le possibilità timbriche dei musicisti. Un grande esempio in questo senso è stato Art Ensemble of Chigaco, non solo loro naturalmente, la lista è lunga e invita sicuramente ad una ricerca in rete, al recupero di testi, articoli, interviste e musica.
Un nuovo ruolo per batteristi e percussionisti
Lo stesso successe tra batteristi e percussionisti. Svincolarsi dal ruolo di timekeeper e quindi portare la batteria, in qualche caso allargando il proprio set con percussioni, ad un ruolo paritario con gli altri strumenti, furono le scelte fatte da alcuni batteristi.
Segnali importanti arrivarono da musicisti come Milford Graves che nel luglio 1965 registra in duo con Sunny Morgan il vinile “ Percusssion Ensemble” per la ESP utilizzando oltre a batteria anche gong, campane, shaker. Collabora in quegli anni, tra i tanti, con musicisti del calibro di Albert Ayler e Giuseppi Logan, Paul Bley. Suona e registra col New York Art Quartet, ospitando Amiri Baraka nel disco ESP uscito nel 1965.
Incontra nel 1969 Andrew Cyrille che intanto a New York fonda il suo “Institute of Percussive Studies”. I due maestri collaborano insieme e portarono in giro in centri culturali e università il loro concerti, sfornando nel 1974 un vinile –Dialogue of the Drums- dove un’impressionante quantità di percussioni venne utilizzata dai due. Oltre a batterie troviamo gong di vari tipi, campane, bongos, tamburi africani, balaphon, timpani e una quantità enorme di fischietti e piccole percussioni.
Molto tempo dopo, nel 2009 in una intervista Cyrille chiarisce alcuni punti e aspetti del suo approccio dicendo che
“ puoi pensare al ritmo in molte maniere differenti, puoi guardare alle nuvole che si muovono nel cielo e vedere il ritmo; puoi guardare all’acqua che scorre e non mostra alcuna divisione, ma è ritmo. Il ritmo non è altro che movimento”.
Concetti , questi, cari anche ad un percussionista come Bob Moses che ne parla nel suo Drums Wisdom, uscito nel 1984, quando espone le sue idee sul concetto di Organic Drumming . Continua Cyrille nella stessa intervista, parlando del primo periodo free e aggiungendo che “ … loro del free non erano degli iconoclasti, ma sviluppavano il linguaggio del jazz”. A questo proposito voglio citare una frase di Max Roach che trovo interessante:
“ Io vedo il jazz come un grande fiume sempre in movimento, dunque ogni generazione può apportare qualcosa di nuovo, un progresso. Tuttavia ogni generazione è obbligata a guardarsi alle spalle; per questo quello che conta è la continuità col passato piuttosto che la rottura”.
Andrew Cyrille si trovò a collaborare, tra gli altri, con Cecil Taylor e successivamente portò avanti i sui progetti, anche in solo. The Loop, uscito per la ICTUS nel 1978 è la chiara dimostrazione di dove allora andassero le sue ricerche. Ancora oggi i due musicisti, Graves e Cyrille, continuano a ricercare e portare avanti le proprie idee, producendo i propri lavori e continuando a stupire.
Altro batterista che lavorò in quegli stessi anni stravolgendo e ripensando il ruolo della batteria fu Sunny Murray. A mio parere Murray fu sempre sottovalutato, e solo qualche anno fa, nel 2008, il film di Antoine Prum, uscito in 2 dvd, ha reso giustizia al musicista. Ricco di documenti importanti, il film, vede Murray nel secondo dvd, in un prezioso video del filmmaker francese Théo Robichet, al primo festival Panafricano come batterista della band di Archie Shepp, suonare per le strade di Algeri in compagnia oltre che di Shepp anche di Alan Silva, Clifford Thornton e Grachan Moncur III. Un pubblico quasi esterrefatto assiste alla performance del quintetto. Nello stesso dvd una lunga intervista di Dan Warburton di circa 80’ da la parola a Murray, dove lo stesso parla diffusamente del periodo di New York e del movimento free. Anche Murray collaborò con Cecil Taylor e con Ayler. Da segnalare una sua intervista, nella ristampa in cd uscita sempre per ESP, come l’originale in vinile, del suo lavoro “ Sunny Murray” in compagnia di Jacques Coursil: Tromba – Jack Graham: alto sax- Byard Lancaster: alto sax- Alan Silva: bass. A lavorare nello stesso periodo in direzione libera, aperta, non furono solo i tre sopra citati, molti altri batteristi abbracciarono idee ed estetica del free.
Dopo la collaborazione in Free Jazz di Coleman, porta le sue idee le sue percussioni in lavori e collaborazioni di sicuro interesse. I dischi in duo con Don Cherry sono altri possibili ascolti se si vuole inquadrare al meglio un periodo che si è sviluppato e ha aperto altre strade, portando dentro al jazz nuove idee, nuovi strumenti e nuovi elementi che hanno in questo modo alimentato la creatività e la curiosità di molti musicisti non solo statunitensi.
è ricordato per aver suonato nell’ultimo periodo di John Coltrane e nello storico disco Impulse!Interellar Space. In realtà il suo impegno in area free è stato costante. Le collaborazioni con Henry Grimes, tra gli ultimi lavori usciti, lo vedono presente dietro i suoi tamburi. Successivamente molti altri batteristi / percussionisti abbracciarono le idee del free, ricercando e sviluppando idee.
Tra i tanti, in rigoroso disordine e in base al mio gusto personale, mi piace ricordare Beaver Harris, Jerome Cooper, Steve McCall, Paul Motian, dopo il periodo Evans naturalmente, Philip Wilson, Steve Reid, Don Moye… mi fermo qui, ma il mio invito a ricercare, essere curiosi e riuscire a stupirci ogni volta è rinnovato. In Europa intanto tra i batteristi e percussionisti che ruotavano nel jazz c’è un grande fermento. Filtrando il free jazz, capendone la lezione e facendo propri meccanismi ed elementi, i musicisti europei riescono a creare una musica con una propria identità.[/showhide]
Per i batteristi inglesi come John Stevens, primo musicista a fare dei laboratori di improvvisazione libera, e Tony Oxley, la ricerca sul set personalizzato e preparato era la norma. Oxley all’inizio farà anche uso di elettronica.
Nel libro di Derek Bailey “Improvvisazione – Sua natura e pratica in musica” , fondamentale testo sull’improvvisazione, si racconta di Oxley che dopo aver ascoltato First Construction in Metal di John Cage, restò talmente colpito dagli effetti di glissato del gong che studiò e trovò il modo di imitarli legando un pezzo di stoffa ad un piatto per poterlo piegare dopo averlo percosso. Solo dopo tempo scoprì che l’effetto era ottenuto immergendo in acqua un gong. Questo piccolo aneddoto dimostra, a mio parere, elementi importanti: l’input avuto da Oxley nell’ascoltare Cage ( lo stesso Oxley in qualche intervista ha dichiarato il suo interesse verso la musica contemporanea classica) lo ha spinto a trovare una soluzione creativa, però molto diversa dall’idea di Cage, allo stesso tempo dimostra che non fu solo il free jazz a influenzare i primi musicisti europei che praticavano libera improvvisazione.
Tony Oxley parlando dello sviluppo delle idee e della musica suonata nel progetto Joseph Holbrooke ci regala una frase che ci fa capire bene in quale direzione fosse interessato a portare il suo suono :
“Ritmicamente fu molto utile per me. Fu un modo di liberarmi dal dogma della pulsazione”.
Nel 1970 Bailey con Oxley e Evan Parker fondano la INCUS records documentando la scena di libera improvvisazione europea.
Lo Spontaneus Music Ensemble di John Stevens è di importanza fondamentale per capire i fermenti del primo periodo in area creativa, cosi come i suoi laboratori che coinvolgevano parecchi musicisti. Il testo di Stevens “Search & Reflect”, con esercizi e partiture grafiche, resta un testo ancora oggi importante e molto usato. Il nucleo SME si forma nel 1965, tre musicisti coinvolti: Paul Rutherford, trombone, il saxofonista Trevor Watts e naturalmente lo stesso John Stevens, si allargherà di volta in volta in più larghi ensemble diventando Spontaneus Music Orchestra.
Altrettanto importante fu il progetto e collettivo AMM, formato nel 1965, ha mantenuto la propria presenza nel tempo e continua a portare avanti le proprie idee ancora oggi. Il quartetto originale fu: Eddie Prevost a batteria e percussioni, Keth Rowe alla chitarra, Lou Gare sax e Lawrence Sheaff al basso, ma l’avvicendamento di diversi musicisti come John Tilbury e altri liberi improvvisatori della prima generazione hanno continuamente alimentato con idee e creatività AMM. Il duo Evan Parker / Paul Lyton è un altro progetto del periodo, si forma nel 1969. Parker fu qualche volta anche membro di SME, SMO e del Music Improvisation Company. Iskra 1903 si è formato nel 1970, con Paul Rutherford, Barry Guy e Derek Bailey. Joseph Holbrooke,altro progetto del primo periodo, dal 1963 al 1966 vede riuniti Bailey, Gavin Bryars al contrabbasso e Oxley. The MIC, come altri progetti del primo periodo vede avvicendarsi all’interno i maggiori improvvisatori, da Bailey a Brayars, Tilbury, futuro pianista in AMM, il percussionista Jamie Muir… sì lui, quello dei King Crimson, e successivamente Hug Davies a elettronica e organo facendo diventare in questo modo il progetto un ensemble elettroacustico.
Spostandoci in centro Europa troviamo l’olandese Han Bennink e il tedesco Paul Lovens. I due musicisti sono tra le figure di spicco che hanno sviluppato un discorso personale assemblando all’inizio della loro carriera dei set che comprendevano svariate percussioni provenienti da Africa e Asia, piatti di foggia particolare, tamburi cinesi e crotali sinfonici.
Dai caratteri musicali quasi opposti, Bennink quasi irruento in certi casi, ironico e pronto alla provocazione, con una conoscenza tecnica sul rullante enorme, Lovens sofisticato e attento agli equilibri come pochi, con un ascolto di ciò che succede intorno a lui portato ai massimi livelli. In ultima analisi i due hanno optato per dei jazz drumset standard, continuando ad avere un approccio libero e creativo. Hanno una lista infinita di collaborazioni che va da collettivi a ensemble più ridoti.
Assolutamente da ricordare, per quanto riguarda Bennink, ICP Orchestra e le collaborazioni, tra le tante, con Misha Mengelberg, Willem Breuker, Petr Brotzman oltre alle sue pubblicazioni in solo. Lovens fonda con Paul Lyton la label Po Torch Records documentando oltre la Globe Unity Orchestra dove suona, anche il Lovens / Lyton duo in tre LP, il duo Schlippenbach / Lovens oltre a diversi trio e quartetti che lo vedono partecipe.
Lyton pubblica in solo il vinile The Inclined Stick, dove suona oltre a percussioni anche live electronics. Sven-Ake Johansson, altro percussionista, esce per la stessa etichetta con un collettivo che vede Schlippenbach al piano, drahtklavier, celesta, Maarten Altena al contrabbasso e violoncello, Derek Bailey chitarra e voce, Gunter Christmann al trombone, Wolfgang Fuchs sopranino sax e clarinetto basso, Paul Lovens percussioni, singing saw e zither, Candance Natvig a violino e voce, a dimostrazione ancora una volta del fermento e della voglia di scambi continui tra musicisti in quel periodo.
Altra figura fondamentale è Gunter Baby Sommer. Anche in questo caso ci troviamo davanti ad un percussionista che oltre a essere interessato a suonare in solo ha collaborato con una grande varietà di musicisti, da Alexander von Schlippenbach, Wadada Leo Smith, Peter Kowald, Evan Parker, vado a memoria.
Il britannico Roger Turner, pur essendo successivo alla prima scena, ha portato in area sperimentale notevoli lavori in solo e un numero infinito di collaborazioni varie. Particolarmente interessato alla ricerca timbrica e alle tecniche estese “prepara” il suo set in tempo reale durante la performance con piccole percussioni di tutti i tipi ma anche con vari oggetti che piega con estrema creatività alle proprie esigenze. Facile oggi recuperare in rete notizie, discografia e foto di tutti i primi percussionisti che hanno aperto, da metà anni 60 circa in poi, strade possibili da percorrere.
A questi primi “pionieri” che sperimentavano lentamente col tempo si sono affiancati tanti percussionisti in tutta Europa, che hanno portato avanti e sviluppato il proprio lavoro in direzioni diverse, contribuendo in questo modo a creare quella che oggi viene chiamata “musica improvvisata europea”, sicuramente debitrice nei confronti del free jazz “storico” ma, come si è visto, anche verso la musica classica contemporanea sperimentale.
Oggi è praticamente impossibile fare ordine tra i tanti percussionisti europei che praticano la libera improvvisazione non idiomatica, che sperimentano in solo e in ensemble in area estrema con set preparati molto personali, utilizzando anche oggetti vari che entrano ormai sempre più spesso a far parte dei set percussivi, dove anche l’elettronica ha in molti casi un ruolo importante. Spesso l’autoproduzione dei propri lavori venduti nei concerti è la norma. Per questo motivo non sempre diventa facile documentare e raccogliere registrazioni prodotte in quantità minima.
Free drumming in Italia
In Italia due percussionisti in quegli anni hanno iniziato a lavorare in ambito sperimentale lasciando testimonianze importanti: Andrea Centazzo e Tony Rusconi.
Andrea Centazzo pubblica i suoi primi lavori per la cooperativa L’orchestra e per la PDU per poi fondare la sua etichetta Ictus Records con la quale farà uscire i suoi lavori sia in solo che con diversi musicisti della scena sperimentale. È tra i fondatori con altri percussionisti l’Associazione Percussionisti PULSUS nel 1981, realizzando all’interno della rassegna di musica e strumenti a percussione “ In Battere” , svoltasi dal 20 Novembre al 8 Dicembre 1981 a Reggio Emilia, una mostra di strumenti a percussione. La collaborazione del percussionista con la ufip di Pistoia iniziata nel 1975, che durerà 10 anni circa, porterà alla produzione di percussioni in bronzo, marchiate ictus 75, particolarmente interessanti. Piatti di piccole dimensioni come Clangs, Square Bells, Ice Bells e gong sempre in bronzo B20 come Tjing gong, Tam Pang, Sheng, Lokolè, Ogororo e il Tubofono. Il suo successivo trasferimento in USA lo vede impegnato come compositore ma allo stesso tempo lo tiene lontano dal fermento che in Italia e in UE invece continua con la ricerca e la sperimentazione portata avanti dalle nuove generazioni di percussionisti.
Tony Rusconi, dagli anni 70 inizia a collaborare con musicisti della scena sperimentale, documentando i lavori su disco. Fonda una sua etichetta, V.M. Boxes ed. Nel 1975 fonda il OMCI ( organico di musica creativa improvvisata) con Renato Geremia e Mario Periotto, trio di fondamentale importanza insieme al Gruppo Romano Free Jazz, nato nella primavera del 1966, fondato da Mario Schiano con Giancarlo Schiaffini, Marcello Melis e Franco Pecori. Rusconi con OMCI incide 4 LP33 partecipando ai più importanti festival italiani e stranieri di libera improvvisazione. Nell’intensa attività concertistica di Rusconi che si è andata a sviluppare negli anni, portandolo a suonare in festival e spazi particolari, traspare a mio parere, un filo che lega tutta la sua attività: il rigore e la coerenza nelle scelte artistiche ed una creatività spinta ai più alti livelli che ancora oggi è testimoniata dalla sua produzione.
Chiaramente anche altri furono in quegli anni i batteristi / percussionisti italiani, creativi e capaci di spingere e portare le proprie idee avanti che si interessarono e avvicinarono alla sperimentazione post free e alla ricerca in quello stesso periodo.
Ancora oggi in Italia un piccolo gruppo di percussionisti creativi continua a ricercare instancabilmente in area sperimentale, adottando come prassi esecutiva la libera improvvisazione (sono convinto che sia questa la pratica necessaria per farlo), pubblica i propri lavori e fa concerti, spesso in spazi autogestiti da musicisti o artisti vari e resiste con forza. Ai primi percussionisti che vissero in tempo reale quel periodo, indicando dove andare e cosa fare a chi ha voluto cogliere, si sono affiancati giovani musicisti che oggi continuano la ricerca e lo fanno con la consapevolezza necessaria oltre che con grande creatività, capacità, conoscenza e gusto … non desidero fare nomi, perché rischierei delle dimenticanze involontarie e non mi sembra giusto, mi sembra invece giusto che siate voi a fare una ricerca recuperando musiche, interviste, video e quant’altro possa spingere avanti le proprie ricerche, anche in base al vostro gusto, cosi come ho fatto io in questo scritto, che è di parte, lacunoso, con gravi mancanze.
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