Si definisce “una persona molto curiosa“. Attivo da diversi anni, il percussionista sardo Paolo Sanna è uno dei nomi più autorevoli nel campo della percussione free. Musicista dalla forte devozione verso la forma d’arte improvvisata, coniuga nella sua espressione artistica il profondo amore e rispetto verso le tradizioni e suoni provenienti da diverse aree geografiche.
Ha pubblicato diversi album in solo e da diversi anni porta in giro un duo insieme a Giacomo Salis. Quella che leggerai sotto è una piacevole chiacchierata a cuore aperto su diversi aspetti e mentalità che circondano il mono del percussionismo free, tra vivaci considerazioni che non mancano di arguzia e saggezza di un musicista decisamente all’avanguardia.
photo by Francesco Casti
Intervista a Paolo Sanna
Ciao Paolo, ho avuto modo di ascoltare attentamente diversi tuoi lavori e mi fa molto piacere avere la possibilità d’intervistarti. Prima domanda, forse un po’ banale per iniziare, ma come ti sei avvicinato allo studio della batteria ?
Da bambino, in modo istintivo direi, un po’ come tutti. In realtà ho iniziato comprandomi piccole percussioni come maracas (poi studiate in Mexico), wood block, sonagli vari, grappoli di campanelle e i primi vinili, con i soldi che ricevevo in regalo da mia madre e mia nonna; non avevo i soldi per prendermi una batteria che arrivò qualche anno dopo, intanto studiavo rullante su un pad di gomma cercando di capire qualcosa dal Gene Krupa e “rubando” dai batteristi più grandi.
Quali studi hai fatto relativi al mondo della musica ?
Ho studiato batteria e percussioni, e continuo a farlo con piacere ogni giorno. Mi sono formato in modo direi anomalo, sopratutto se si pensa a studi canonici nei corsi classici o jazz nei conservatori. Al C.P.M. di Milano, quando ancora la scuola stava in un sotterraneo di un palazzo, ho studiato per poco meno di un anno con Alfredo Golino. Ho poi voluto approfondire le percussioni arabe, tra le altre, e i concetti ritmici legati a cicli, abbellimenti e improvvisazione all’interno di strutture ritmiche presenti nella musica popolare e classica araba, studiandole per due anni a Roma al Timba col maestro libanese Ahmed Yaghy, nello stesso periodo ho studiato anche il daf persiano con Siamak Kalili Guran, curdo iraniano, sempre a Roma. Ho forse studiato in modo anarchico, solo apparentemente disordinato. Ma sono andato sempre dietro le mie sensazioni ed esigenze. Sono una persona molto curiosa.
Hai avuto un inizio da batterista “canonico” per poi spostarti sempre più verso una direzione più personale e viaggiando molto. Cosa rappresenta per te il viaggio ?
Sì, certamente all’inizio è fondamentale studiare in modo canonico. Inizialmente diversi workshop e laboratori con diversi batteristi mi avevano spinto nella giusta direzione. Avevo e ancora oggi ho esigenze particolari, sono sempre stato molto interessato a portare avanti le mie ricerche in modo personale, lo dicevo prima. Il viaggio per me è ricerca, studio, incontro, scambio. Ho avuto la possibilità di viaggiare (negli stessi anni di studio tra Milano e Roma) in U.S.A. , Mexico, Brasile, in nord Africa e in Estremo Oriente ( Giappone, Korea del Sud) studiando con musicisti locali, trovando strumenti e avendo in qualche caso la fortuna di potermi avvicinare a forme sciamaniche o di Santeria, assistendo a rituali, dove il Tamburo svolge un ruolo di primaria importanza, naturalmente nulla a che fare con new age e cose simili. Continuo a viaggiare ogni volta che posso, sto cercando di programmare un viaggio di studio e ricerca, in una certa area, su argomenti che mi interessano, per me è molto importante farlo in questo modo, purtroppo i disordini che spingono giustamente i popoli alle proteste e sommosse, per combattere ingiustizie e arroganze non aiutano e attualmente potrebbe essere pericoloso. Si capirà più avanti.
Una cosa che noto sempre con grande piacere è che più i musicisti si addentrano in un’avanguardia sonora, e più sono preparati su tutto quello che riguarda la storia, le radici e le tradizioni musicali. Quanto pensi che sia importante per chi ambisce a guardare avanti con la propria musica, essere preparato sulla storia e tradizioni ?
Sì anche a me sembra cosi! Trovo sia veramente importante e fondamentale allargare il più possibile le proprie conoscenze. Ogni volta che posso vedere collezioni in musei o anche private di strumenti musicali è per me motivo di grande gioia. Immagino i costruttori di tamburi e percussioni a lavoro che hanno lentamente creato uno strumento, qualunque esso sia, sperimentando sui materiali e sviluppando soluzioni che poi andranno in mano ai musicisti. Questo a me entusiasma molto. Per quanto riguarda invece la sperimentazione, qualunque prassi esecutiva si scelga di usare, sia la libera improvvisazione o l’uso di parti scritte con diversi sistemi, credo ci sia bisogno di grande conoscenza tecnica e studio sullo strumento. Allargare le tecniche standard avvicinandosi alle tecniche estese è, a mio parere, un lavoro lungo e costante che non si può fare in breve tempo, ma prevede una maturazione e una conoscenza che richiede grande dedizione per essere portata avanti.
Se prima abbiamo parlato del viaggio e di conoscere nuove persone e correnti musicali, ora si può viaggiare e scoprire nuove musiche anche stando seduti davanti ad un computer. Che rapporto hai con questo nuovo modo di viaggiare ?
Oggi c’è anche questa possibilità, credo sia importante! Certo viaggiare e trovarsi nei luoghi, sentirne il profumo, incrociare uno guardo è altro, è diverso. Sicuramente la rete ha permesso a molte musiche e persone incontri quasi impossibili. Mi riferisco, per esempio a musiche considerate “primitive” che invece io trovo talmente moderne da lasciarti senza parole. La percussione dell’acqua, un canto pigmeo o l’uso di un tamburo, a Tuva, in ambito sciamanico, sono di una modernità che qualche volta manca in certa sperimentazione incartata su se stessa.
So anche che sei attivo all’interno della comunità della percussione free internazionale e spesso scambi lavori ed impressioni con musicisti provenienti da varie parti del mondo. Qual’è la scena musicale a tuo dire più interessante e con maggior fermento ?
Complicato rispondere … mi sembra che ci siano come delle piccole sacche creative e molto vive in varie parti del mondo, tutte con una propria identità sonora diversa. Questa attività di scambio di opinioni, impressioni, CDs, ma anche scritti vari e altro, la considero fondamentale. Siamo una decina di percussionisti, sparsi per il mondo, tutti in contatto tra di noi e ogni volta è interessante poterci confrontare senza polemiche o arrivismi sterili. Non trovandomi a mio agio nei vari gruppi di batteristi e percussionisti sui social, che mi sembrano in qualche caso come i talk show pomeridiani per casalinghe frustrate, preferisco muovermi in questo modo, più diretto e interessante per me. Scambio spesso in Giappone dove sono in contatto con diversi percussionisti creativi, ma anche in Chile, Brasile, USA e alcuni in UE.
In tutto questo la rete ha un ruolo fondamentale per tornare alla domanda di prima. Spesso questi lavori che scambiamo tra di noi sono molto curati a livello grafico, escono in edizioni molto limitate. Il giro free impro brilla di luce propria e vende spesso anche nei concerti le copie fisiche in CDs, cassetta o vinile, oltre che nei soliti canali presenti nel web.
Secondo te quanto è difficile in Italia proporre musica free d’improvvisazione ? Cosa bisognerebbe fare per supportare questa scena musicale ?
In Italia è molto dura, da sempre! Spesso in Italia non rispondono a mail di richieste di lavoro, trovo sia insopportabile come cosa, da spocchiosi! Capisco che non siamo musicisti norvegesi che vivono in una nazione col pil altissimo, la vendita di armi e petrolio permette questo, quindi loro accedono a finanziamenti e aiuti per i loro progetti, mi sembra una buona cosa. Comunque credo fermamente che i musicisti che girano tanto non siano i migliori, ma quelli che hanno il soldo per farlo. Per supportarla scena free impro italiana forse bisogna creare occasioni di lavoro, magari coordinando gli spazi tra di loro che programmano questa musica, in modo che se un musicista che pratica la sperimentazione, la libera improvvisazione non idiomatica, decide di fare un giro di concerti può avere un certo numero di locali / spazi / gallerie disposte ad ospitare simili performance, che generalmente hanno un pubblico di appassionati ed esperti.
L’Italia è stata patria natìa del rumorismo per poi abbandonarla quasi del tutto. Che rapporto hai con il rumore e qual’è secondo te la differenza con il suono ? Questo connubio ti ha mai influenzato ?
Si, l’Italia ha una lunga storia importante in questo senso, documentata bene. I futuristi tentarono di scardinare idee e concetti, erano dei pionieri, visionari, portarono comunque nuove idee. Penso poi, molto più vicino a noi, a progetti che considero fondamentale conoscere come il GINC o in area jazz al Gruppo Romano Free Jazz giusto per fare i primi nomi che mi vengono in mente, ma lista dei “pionieri” è veramente molto lunga. Per quanto mi riguarda, interessandomi di field recording da anni, devo dire che non mi pongo più la domanda se ci sia o no differenza tra suono e rumore. Mi piace spesso prestare attenzione al suono / rumore che mi circonda, durante una passeggiata o in luoghi come aeroporti, stazioni, treni, piazze. Avere la possibilità, in una grande città, di portarsi in un punto alto della stessa e sentirne il suono è per me interessante, spesso registro queste cose per studiarle, mi danno input interessanti. Mi piace molto durante laboratori e incontri fare un piccolo esperimento: propongo ai partecipanti di fare una passeggiata in gruppo di pochi minuti e scrivere ogni rumore che sentono, contemporaneamente registro con un portatile e nel momento in cui si fa l’ascolto e si confronta quanto scritto da tutti non mancano le sorprese.
Il tuo modo di suonare free ti rende molto personale e creativo nelle soluzioni sonore. Quale musicista ti ha fatto scoprire questo tuo approccio allo strumento ? C’è un qualche musicista di rifermento a cui t’ispiri ?
Lo dicevo prima, è un lavoro di ricerca lungo, costante. Certamente ho dei musicisti che seguo con più attenzione di altri. Sicuramente all’inizio delle mie ricerche da adolescente la “prima onda” dei batteristi free jazz USA, parlo di Andrew Cyrille, Sunny Murray, Rashied Ali, Ed Blackwell, Milford Graves, ma anche di molti altri considerati a torto minori, sono stati e sono ancora oggetto di studio e interesse da parte mia. In UE, dopo il free jazz USA, come sappiamo tutti, musicisti come John Stevens , Oxley tra i primi hanno fatto un grande lavoro, filtrando e ripensando il free jazz storico, a seguire i vari Bennink, Favre, Lytton e tutti gli altri grandi innovatori hanno indicato possibili percorsi da sviluppare. Trovo Paul Lovens e Roger Turner molto interessanti, due maestri che seguo con attenzione, molto vicini al mio “spirito”, poi c’è in realtà una lista infinita dove rientrano diversi percussionisti più giovani ma altrettanto interessanti.
Da molti anni sei un punto di riferimento della musica free e della percussione d’avanguardia. Come hai sviluppato questa particolare sensibilità verso questo mondo ? Da dove deriva questo particolare approccio allo strumento ?
Tutto è avvenuto in modo naturale. Assecondando le mie esigenze e fidandomi del mio istinto, non mi sono reso subito conto che stavo sviluppando in determinate direzioni e c’era questa attenzione e stima verso quello che facevo, perché ero molto preso dallo studio e dalla ricerca, inizialmente i primi soli li pubblicavo come risultato di determinate ricerche, usando la libera improvvisazione come prassi esecutiva, quasi immaginando di cristallizzare, fermare, quel determinato momento . Sento spesso questa attenzione e affetto da parte di molti musicisti, critici, pubblico, approfitto per ringraziate tutti.
Una piccola parte degli strumenti presenti nel laboratorio di Paolo Sanna
Una cosa che noto spesso in tutti i musicisti di estrazione free è la particolare accuratezza con cui scelgono e ricercano maniacale il suono dei propri strumenti. Come scegli i tuoi strumenti ?
Anni fa mi sono fatto costruire dei piatti in Turchia, sento il bisogno di avere dei “miei” suoni. A questi affianco altri piatti e piattini vari di tradizione classica cinese, sempre artigianali, fatti a mano e con un diverso criterio dalla produzione industriale e di serie che mi interessa poco. Gong e tamburi vari vengono sempre scelti in base a suono e esigenza del momento, non avendo un set fisso da usare, per mia scelta. Certamente in questo ho il vantaggio di avere nel mio spazio /studio un certo numero di strumenti e oggetti trovati disponibili, che sono lentamente arrivati col tempo. Anche io, come dicevi, scelgo con molta attenzione e cura gli strumenti, mi devono colpire nel suono e preferisco strumenti artigianali, già in qualche modo vissuti da chi li ha costruiti. Sono convinto che in ogni strumento musicale di qualità rimanga in qualche modo un pezzetto di chi lo ha creato.
Cosa vuol dire per te “sperimentazione” ? Secondo te, c’è ancora fame di sperimentare nuove vie sonore ?
Credo che ci sia ancora la possibilità di sperimentare in acustico, “scavando” dentro lo strumento. Ne arriveranno di nuovi che ci permetteranno di farlo.
Da molti anni collabori con un altro importante esponente sardo della percussione free come Giacomo Salis . Com’è nata la vostra collaborazione ? Avete progetti futuri ?
La collaborazione con Giacomo nacque quasi casualmente, come spesso succede. Abbiamo creato un duo dove non c’è un leader, e dove sviluppiamo i concerti qualche volta senza neanche prendere accordi su cosa fare prima di salire sul palco, è un rischio che ci piace correre a entrambi. Chiaro che ad una simile situazione si arriva dopo anni di frequentazione e dopo tanti concerti. Studiamo insieme quando è possibile e condividiamo musica, letture, impressioni, ascolti e analisi varie, il nostro è come una sorta di work in progress. È anche questo che da forza al duo. In tutti questi anni abbiamo spesso raccolto materiali naturali come zucche, conchiglie, pezzi di legno, semi, fasci di foglie e molto altro o anche gli oggetti più disparati o di riciclo, lavorando poi insieme e scandagliando le potenzialità “ nascoste” di questi oggetti, è un lavoro che continua ancora oggi e spesso abbiamo con noi questi materiali nei concerto. Il fidarci l’uno dell’altro, con un ascolto e attenzione reciproca durante i nostri concerti porta a risultati per noi interessanti. Anche Giacomo nel suo spazio / studio ha un notevole numero di percussioni disponibili. Credo che questo approccio libero e visionario non sia possibile averlo con tutti i musicisti, perché entrano in gioco elementi che vanno oltre il fare musica, parlo di compatibilità caratteriale, bisogno di esprimere ciò che si è con la giusta attenzione e sensibilità . Quello che a me interessa è l’energia che si sviluppa in un incontro tra creativi, l’ascolto reciproco, l’equilibrio e la conoscenza del proprio strumento restano altri elementi importanti. Ormai abbiamo collaborato in 12 lavori usciti in cd e cassette, tutti per etichette coinvolte nella free impro. Tra i vari lavori usciti mi piace segnalare quello in trio, uscito a Londra per Confront Recording di Mark Wastell, con Jeph Jerman, un sound artist USA particolarmente vicino al nostro “spirito”. Mark ha poi prodotto anche il successivo Humyth in duo. Il lavoro in cd è stato affiancato da un DVD in edizione super limitata di 50 copie, per documentare tre nostri interventi in uno spazio all’aperto, in Sardegna, dove utilizziamo gong, percussioni di diverso tipo e oggetti diversi naturali che dicevo prima, nell’ultimo segmento del dvd suoniamo sul palco in legno di un anfiteatro facendolo diventare “strumento” esso stesso. Il dvd è uscito con copertine fatte a mano una per una. L’ultimo nostro lavoro in duo – Hint- uscito in Francia per Falt, in ottobre è andato in sold out e ora è disponibile nel Bandcamp della label in free Download. Stiamo poi curando altre uscite per il 2020, teniamo il segreto, non tanto per scaramanzia, quanto perché vogliamo che siano più sicure prima di parlarne in giro.
Hai mai trovato difficoltà o diffidenza a proporre il tuo modo particolare di suonare ?
Sì, qualche volta. Non mi preoccupa, trovo assurda e banale la chiusura mentale di certi musicisti.
Anche io suono le percussioni in questa maniera “avanguardistica” (o almeno ci provo) ed una delle cose in cui più m’imbatto è una certa ritrosia da parte del pubblico nel vedere nuovi modi d’intendere il ritmo ed il ruolo della batteria e tamburi. Tu che rapporto hai con i giudizi del pubblico ?
Credo che il problema venga da lontano … Mi chiedo perché oggi sia cosi facile imbattersi in un concerto jazz che di jazz ha solo la parola stampata nella maglietta di chi sta suonando. Certo i tempi oggi sono cambiati. Qualche anno fa chiesi, prima di una performance in solo, di spegnere i cellulari, dovevo registrare e magari far uscire il lavoro. Durante il solo, in un momento di silenzio, squillò un cellulare con una suoneria orribile e chiaramente bruciò tutta la registrazione. Tra l’atro ho un cd di William Parker e Hamid Drake dove ad un certo punto parte la suoneria di un cellulare. Ecco, ad una persona simile che dopo un concerto viene da te e ti dice di non capire ciò che suoni rispondo che comunque ha raggiunto un risultato non indifferente pur non avendo capito nulla. Fortunatamente non è sempre cosi, anzi è molto rara come situazione, perché chi viene a sentire queste musiche è di norma gente molto esperta e spesso a conclusione del concerto sia in solo sia in duo con Giacomo abbiamo degli scambi molto interessanti, analisi e discussioni costruttive. Vero è che suoniamo anche in spazi particolari come gallerie d’arte o spazi autogestiti da musicisti o artisti vari.
Se dovessi dare un consiglio ad un ragazzo che inizia ora ad intraprendere il percorso della percussione free, che consiglio gli daresti ?
Studiare e ascoltare i nomi che dicevo prima, ma anche il jazz tutto partendo dalle origini. Per me ascoltare il mitico lavoro in solo di Baby Dodds è rigenerante ogni volta. Aprirsi alle musiche del mondo, quelle più “oscure” che raramente trovano spazio. Vanno cercate e scovate e li ci si meraviglierà della loro bellezza e di quanto in realtà siano “avanguardia” anche quelle. Avvicinarsi senza timore reverenziale alla musica classica contemporanea, alla free impro europea, anche qui partendo dalle origini, per arrivare ad ascolti e analisi più vicini a noi nel tempo, la scena percussiva europea attuale è molto interessante. In questo modo si alimenterà la propria creatività, si allargheranno i propri interessi anche avvicinandosi e fondendo le proprie idee con altre forme d’arte quali danza, pittura, fotografia e altro : bisogna aprirsi con curiosità!
In un’altra intervista parlavi che è importante l’autogestione dei musicisti “non allineati”. Puoi parlarmi di questo concetto ?
L’autogestione dei musicisti non allineati è quel tipo di libertà che necessita la musica che suoniamo. Riuscire a pubblicare un live o un lavoro registrato in studio senza che ci siano “pressioni esterne” da parte di nessuno. Credo intendessi parlare di quello, non ricordo l’intervista, ma questa è una mia esigenza primaria che mi ha fatto scegliere molto lucidamente di stare in area indipendente.
Mi dicevi che prediligi kit minimali per cercare di accendere ancora di più la curiosità e la sperimentazione. Puoi parlare di questo tuo approccio ?
Col tempo ho sentito l’esigenza di usare sempre meno strumenti, assemblando set minimali con pochi pezzi. Già diverse volte ho studiato e ricercato su singoli strumenti, un piatto china da 70 cm in Music for a Butho Dancer (dedicato a Kazuo Ohno), poi un lavoro per solo Gong, e uno con rullante prepared, pubblicando in 3 cd i risultati. Attualmente lavoro con un tamburo cinese simile a quelli presenti nelle prime batterie delle origini, una piccola cassa in acero canadese da 14’ con una sola pelle battente, che ho costruito io assemblando un fusto Keller, con cerchio in legno ecc, più due piccole mie sculture sonore in metallo ( Medusa in acciaio e Bronzina, costruita in lamiera di bronzo) e alcune piccole percussioni, che però cambio spesso. Chiaramente la ricerca timbrica e le tecniche estese restano centrali in tutto questo, ciò che mi porta a cercare il suono e il silenzio con pochi elementi credo abbia anche a che fare con certi concetti zen come “sho shin” e altri a me cari.
Sei attivo da oltre 30 anni. Com’è cambiato il lavoro ed in che direzione si muoverà il lavoro del musicista in futuro ?
Non so rispondere per quanto riguarda il futuro, ho però molta fiducia nei musicisti più giovani che decidono di sperimentare, mettersi in gioco e andare avanti. Vanno affiancati, coinvolti e aiutati perché sarà a loro che spetterà il compito poi di dare continuità e andare avanti.
Sei sardo. Questa regione come ti ha cresciuto musicalmente ed artisticamente ? Quali sono le maggiori difficoltà dell’ambiente musicale sardo ?
Negli anni 80 in Sardegna era molto facile vedere, in certi festival, musicisti di fama internazionale suonare in produzioni originali, la Sardegna mi ha dato molte di queste occasioni. Non vivo di nostalgie, vivo il mio tempo. Ma ricordo ancora la prima volta che ho visto AEOC, o una produzione originale dove Steve Lacy, Paul Motian ed Enrico Rava musicavano delle immagini di Altan. Chi sta in Sardegna e fa cultura di qualità, in qualunque direzione, deve scontrarsi spesso con una certa realtà e con diversi problemi. Gli abitanti di tutta la Sardegna sono quanto la periferia di Milano, la maggiore difficoltà è trovare spazi, ma anche musicisti disposti a mettersi in gioco, a far saltare regole e certezze. Purtroppo anche qui, come in altri posti non mancano lobby e congreghe varie, ma questo è un problema presente un po’ in tutta Italia.
Ci sono mai stati momenti in cui volevi lasciar perdere ?
No mai! Adoro il mio lavoro, sono un musicista povero, ma non cambierei per nulla al mondo le scelte e le cose che ho fatto.
Ti vorrei chiedere qualcosa riguardante la parte più lavorativa di questo lavoro. Come elabori il tuo cachet rispetto al lavoro proposto ? C’è sempre trasparenza in questo mondo oppure talvolta ti sei sentito sfruttato ?
Vorrei che ai musicisti italiani fosse riconosciuto lo status di lavoratore, certamente è un lavoro creativo, ma se si avesse la capacità di fare questo, allora forse inizierebbe a cambiare qualcosa!
Sei te in prima persona che ricerchi nuove collaborazioni oppure aspetti che le occasioni si presentino da sole ?
Non ho manager di nessun tipo, sono un musicista indipendente, cerco di gestire io tramite la rete . Qualche volta arrivano richieste di collaborazioni, altre volte le cerco io.
Sei un maestro di batteria. Quali valori cerchi di dare ai tuoi allievi ? Quali metodi consigli e come i tuoi maestri ti hanno influenzato in questo tuo lavoro ?
Ai ragazzi parlo anche di onestà, correttezza nei rapporti con gli altri musicisti, di coerenza e rispetto, oltre che di rudimenti, indipendenza, poliritimi ecc.
Uso diversi testi per la batteria, che sono quelli usati da tanti, ma tendo a farne un uso personalizzato sviluppando gli esercizi, tra i vari che utilizzo normalmente ci sono: 4 way coordination, Stick controll, il Buddy Rich. Considero testi importanti anche Drum Wisdom di Bob Moses e Inner Drumming di Geoge Marsh, con i quali ho studiato e approfondito concetti che raramente vengono trattati in altri testi, poi ho dei miei appunti per percussioni varie, propongo ai ragazzi pagine di Stridulations, lavoro di Billy Martin, in 13 fogli, o anche lavori come Schaffur di Fritz Hauser, ottenendo notevoli risultati. Ho una “biblioteca percussiva / musicale” fornita, con testi su batteria, percussioni, antropologia della musica, sciamanismo, organologia, cataloghi fotografici di musei e raccolte e altri argomenti musicali, come tutti.
Insegni anche a bambini. Cosa noti nelle nuove generazioni e nel loro approccio alla musica ? Che mondo musicale pensi che si troveranno ad affrontare quando inizieranno a suonare in giro ?
In realtà sono io che imparo da loro, e non lo dico per fare facile battuta. Spero che in loro non si scateni quel tipo di concorrenza selvaggia presente in certe parti del mondo che grazie a film stupidi per idioti che parlano di batteria sta lentamente arrivando anche da noi. Spero che abbiano una visione di ogni cosa più umana e vicina al buon gusto, alla creatività e alla consapevolezza. Anche perché non siamo in gara con nessuno, siamo dei creativi, dei musicisti, non siamo delle “macchine da guerra” e la cosa migliore è concentrarsi su se stessi. Non è facile qualche volta farlo capire ai ragazzi. Resistiamo, teniamo duro, perché ne vale la pena!
Hai qualcosa che ritieni essere la tua firma sonora per cui qualcuno ti può facilmente riconoscere ? Cosa rappresenta per te il suono ?
Non saprei risponderti, una caratteristica che torna spesso quando si parla della mia musica forse è il silenzio, che considero un elemento centrale nel suono.
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