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Da anni residente a Los Angeles, Andrea Centazzo rappresenta un motivo di vanto della cultura italiana nel mondo.
Un innovatore dello strumento, tra i primi ad aver portato in Europa un modo nuovo d’intendere la musica e la percussione. Il musicista udinese ha condotto una carriera che lo ha visto proporsi artisticamente sotto molteplici vesti. E’ stato batterista jazz per Giorgio Gaslini, artista multimediale, compositore di opere teatrali, colonne sonore e composizioni orchestrali, produttore discografico e video.
Biografia
Nasce a Udine nel 1948 da una famiglia di avvocati che sogna per lui lo stesso percorso
.
Nel 1971 frequenta la Swiss Jazz School di Berna dove ha modo di studiare con Pierre Favre, Stu Martin e Peter Giger. Durante questo periodo apprende un modo differente ed innovativo di rapportarsi alla percussione che rapidamente lo farà mutare totalmente.
Appena tornato in Italia, dal 1972 al 1976 suona con Giorgio Gaslini. Nel 1976 fonda la ICTUS Records registrando con John Zorn, Steve Lacy, Alvin Curran, Don Cherry, Lester Bowie, Evan Parker, Anthony Coleman, Derek Bailey, Tony Oxley, Paul Lytton, Paul Lovens, Pierre Favre, Vinnie Golia, Mark Dresser, Paolo Fresu, Enrico Rava, Dave Ballou, Gino Robair, Larry Ochs, Giancarlo Schaffini, Henry Kaiser, Elliott Sharp, Fred Frith, Albert Mangellsdorf, Franz Koglmann, Theo Jorgesmmann, Perry Robinson, Kristoph Kaskel, John Carter, Andrew Cyrille, Barry Altschul, Lol Coxhill, Steve Swell, Jon Raskin, ROVA Saxophone Quartet, Stephen Drury e molti altri.
Alla fine degli anni ’70, Centazzo fu uno dei fondatori della NY Downtown Music Scene con la collaborazione di John Zorn, Tom Corra, Eugene Chadbourne, Toshinori Kondo e altri, documentata in molti album.

Lasciò la scena musicale improvvisata nel 1986, trasferendosi poco dopo a Los Angeles, in California, e dedicandosi alla composizione e alla realizzazione di video. Centazzo è autore di 3 opere, 2 sinfonie e quasi 500 composizioni per tutti i tipi di ensemble, oltre a molti film video pluripremiati.
Tornato a esibirsi dal vivo nel 1998, ha creato concerti da solista e concerti multimediali da solista, suonando dal vivo in sincronia con i video che gira e modifica.
Il suo ultimo progetto “Einstein’s Cosmic Messengers” è stato prodotto da LIGO, Caltech e NASA.

Premi ricevuti
- Premio Speciale Critica Discografica Italiana, Milano, Italy (1980)
- Down Beat Poll “Wacks on Wacks”, Chicago (1981)
- Gabbiano d’Oro First Prize, Festival Cinema Indipendente Italiano, Bellaria, Italy (1985)
- Excellence Award International Video Festival, Tokyo, Japan (1985)
- Prix Art Canal Ministere de la Culture Française, Montbeliard, France (1986)
- Merit Award International Video Festival, Tokyo, Japan (1986)
- Premio “Milano Scienza” Centro Nazionale Ricerche e Rai, Milano, Italy (1987)
- Premio C.C.I.A.A. Videofilm Festival, Udine, Italy (1987)
- Special Prize Music Film Festival, Warsaw, Poland (1987)
- Premio VideoMagazine for Best Video, Milano, Italy (1988)
- Premio Friuli Aquila d’Oro Award for Lifetime Achievement, Udine, Italy (1988)
- Premio Accademia Vibiniensis, Special Achievement award for a Body of Work, Bovino, Italy (1992)
- Premio Ecoclip Video First Prize, Vinovo, Italy(1992)
- Drama-logue Award for Best Sound Design, Los Angeles (1993)
- Bruce Chatwin Award Music Video Festival, La Spezia, Italy 2003
- Appreciation Award for composing “Return to Vukovar”. From Croatia Government, Los Angeles (1997).
- Angelo del Castello Award for Lifetime Achievement, Udine, Italy (1996)
Intervista a Andrea Centazzo
Per me è un grandissimo onore avere a disposizione per qualche domanda uno dei massimi protagonisti dell’avanguardia in Italia e nel mondo. Da diversi anni attivo negli Stati Uniti. Ho il piacere di poter intervistare il Maestro Andrea Centazzo
Grazie, piacere mio
Oggi è anche una giornata particolare perchè è il 21 dicembre e sarebbe stato il 79° compleanno di Frank Zappa. Un autore geniale e che ha scritto alcune delle pagine più importanti nella storia della musica. Un suo aforisma che mi ha sempre colpito è “Non si può essere progresso senza strappi alla norma”, essendo lei uno dei massimi esponenti …
… di strappi (risate)
… uno dei massimi esponenti dell’avanguardia, volevo chiedere qual’è la sua definizione di avanguardia e cos’è per Lei il progresso e come lo ricerca
Dunque innanzitutto mi fa molto piacere che tu abbia menzionato Frank Zappa, perchè per anni ho suonato con
Don Preston che è stato il primo pianista delle Mothers of Invention ed insieme abbiamo fatto anche un disco nel 2012 che si chiama
“Escape from 2002”. L’eredità di Zappa mi è stata trasmessa da Don che ora ha 88 anni e continua ancora oggi a suonare
e sperimentare. Un grande avanguardista con i suoni del computer. Dare una definizione di avanguardia …
Direi che non c’è più avanguardia, ma c’è più retroguardia, perchè oggi siamo nel 2019 e le cose che facciamo con Giancarlo Schiaffini sono un’elaborazione di quella che era l’avanguardia negli anni ’70; che per altro per noi non era neanche avanguardia quella, perchè negli anni ’60 c’era già stato John Cage e i vari esperimenti del free jazz.
iIn quegli anni siamo arrivati con dei linguaggi abbastanza originali (europei direi) e c’è stata questa voglia di staccarci dal free jazz. Io, insieme ad un manipolo di altri batteristi come
Tony Oxley, Han Bennink, Paul Lytton e ovviamente Pierre Favre, mio grande maestro, abbiamo cercato di dare una direzione diversa alla batteria.
Prima di tutto cambiando radicalmente il linguaggio : non più tenendo il tempo, nè creando nuvole di suoni come Sunny Murray, ma piuttosto
cercando un linguaggio fatto di suoni diversi, di spazi, di silenzi e poi, sopratutto, cambiando la strumentazione. Da
Tony Oxley che è passato da una batteria tradizionale a un rack con diverse percussioni, a me che negli anni ’70 con la UFIP ho disegnato nuovi strumenti a
Pierre Favre che ha fatto lo stesso con la Paiste.
Abbiamo creato questo stile percussionistico che seppur basato sulla tecnica della batteria -quindi con alternanza di due piedi e due mani-, usava strumenti che creavano suoni diversi che si distaccavano dal su9no del drum set che arrivava da Oltreoceano. Per cui
non posso dire che ora siamo in presenza di un’avanguardia.
Quell’avanguardia si è storicizzata. Tutti quelli che ora a 30 anni copiano le cose che facevamo noi negli anni ’70, sono un po come quelli che ora suonano il be-bop di Coltrane continuando la tradizione di quella musica.
L’unica cosa è che quando qualcuno dice “avanguardia” è proiettato a pensare a qualcosa che sta avanti, io invece sono più convinto del termine “sperimentazione”, ossia “siamo qui, però strappiamo zappaniamente e creiamo diverse isole di musica”.

Come è iniziata la tua carriera ?
Ho sempre avuto un percorso molto irregolare. Un po’ perchè sono una persona curiosa, e ho una personalità un po rinascimentale. Mi piace fare un po’ di tutto. Negli anni ’80, mi sono quasi del tutto dedicato alle immagini. Nel 1984 feci un Videofilm, Tiare, (viaggio nei luoghi della mia infanzia) che vinse diversi premi. In seguito ho fatto anche il regista. Poi negli anni ’90 smisi del tutto di suonare, per la precisione dal ’90 al ’98. Questo coincise con il mio trasferimento a Los Angeles.
Nel 1971 avevo studiato alla Swiss Jazz School che allora era l’unica scuola in Europa che usava il metodo della Berklee. Ora ovviamente è tutto più facile perchè c’è anche l’Umbria Jazz Berklee oppure è più facile andare a Boston, dove in tanti pagano decine di migliaia di dollari per imparare quello che ora potresti apprendere su Youtube. Ma allora queste realtà non c’erano. In quella scuola ho incontrato 3 maestri : il primo è stato Pierre Favre – che nel corso del tempo è diventato anche un mio amico e con il quale abbiamo registrato anche un LP-; il secondo era Stu Martin e il terzo era Peter Giger. Entrambi questi ultimi, batteristi eccezionali con differenti stili e maniere di rapportarsi allo strumento. Stu Martin era più tradizionale : aveva suonato a New York con Quincy Jones e successivamente aveva creato questo gruppo fantastico “The trio” con Surman e Philips. Un vero gruppo rivoluzionario anche perchè Stu suonava con la batteria intonata su timbri alti. Anche Peter Giger aveva una batteria un po’ particolare, piena di percussioni ed altri accessori. Alla fine del 1971 tornai da questa scuola nella mia cascina in campagna vicino a Udine. Per una serie di ragioni troppo lunghe da spiegare, improvvisamente fui chiamato da Giorgio Gaslini. Così d’un tratto mi ritrovai giovane ragazzo di provincia che non sapeva neanche cosa fosse la professionalità nella musica, a debuttare alla Piccola Scala di Milano con il Quartetto Gaslini. Così iniziò la mia carriera.

Hai nominato il tuo rapporto con la Ufip. Puoi raccontarmi come si articolò la tua collaborazione ?
La UFIP fu un momento fondamentale . Quando iniziai a suonare con Gaslini, si fece un concerto anche a Pistoia. Sapevo della UFIP: li andai a trovare e loro mi offrirono un endorsement. Devi pensare che all’epoca il Quartetto Gaslini era il gruppo di jazz che andava per la maggiore. Fu allora che dissi “Perchè non proviamo a fare una serie di strumenti in metallo che possano creare nuovi suoni per la percussione ?”. In quel momento UFIP era piuttosto in crisi per la forte concorrenza e la mancanza di distribuzione. Detto fatto, mi misero a disposizione l’officina e creai 5/6 strumenti che erano gong, piastre, campanelli e altri effetti sonori. Andammo al Musikmesse (la fiera di Francoforte) con questi strumenti ed ebbero un gran successo. Davvero clamoroso. A seguito di questo diventai così una sorta di “deus ex machina” della UFIP per alcuni anni. Sfortunatamente però la UFIP era una piccola azienda con dei dirigenti paurosissimi che non volevano fare investimenti e che quindi non brevettarono gli strumenti che avevo creato. Lo strumento che rappresenta l’apice della mia creatività allora come adesso è l’Icebell. Dopo Francoforte andai negli States ad incontrare la LP che si era molto interessata allo strumento. Fecero un’offerta per distribuirlo, ma l’offerta che fecero era inferiore al costo di produzione. Al mio diniego Martin Cohen mi disse “Lasciaci il prototipo che lo studiamo e cerchiamo di
capire le potenzialità di vendita”. Andai al NAMM a giugno dell’anno dopo e la LP aveva fatto l’Icebell in ottone prodotto in Cina!!!! Ed è così che di uno strumento che ha venduto milioni di copie io non ho mai visto una lira. Con la UFIP è stata una disfatta da quel punto di vista. Anche perché secondo un accordo verbale, poi avrei dovuto prendere delle percentuali. Ma alla fine io sono anche un bonaccione ed andò a finire malamente. Un po’ come accadde anche per i numerosi libri che ho scritto. Ciononostante la UFIP comunque è stato un momento di grande importanza e creatività
Come mai successivamente hai iniziato a collaborare con Paiste (collaborazione che dura tutt’ora) ?
La Paiste voleva farmi lasciare la UFIP in quanto direttire creativo . Con la UFIP c’era stato un momento di ruggine per questa faccenda delle percentuali e anche se mi avevano molto aiutato per altre cose, io ero in uno dei momenti di scoraggiamento che ogni tanto ti prendono nella vita. Fu in quel momento che si fece avanti l’artist relation manager della Paiste che mi chiese se fossi interessato a un top endorsement e io dissi di sì.
Devo dire che la Paiste in quegli anni lì è stata generosissima : avevo l’intero catalogo dei gong a disposizione e qualsiasi cosa volessi, bastava una telefonata e andavo a Notwill a scegliere gli strumenti per il mio set. Poi un vantaggio e un pregio dei piatti Paiste è questo loro tipo di lavorazione per cui quando vado in Giappone a fare un concerto chiedo e trovo i piatti che suonano abbastanza similmente ai miei. Dico simili e non uguali perchè i miei personali sono accuratamente selezionati e ogni volta che devo sceglierne uno, ne metto in fila almeno 20-30 per fare un paragone.
In merito al suono dei piatti e tamburi, dobbiamo essere onesti. Il suono è conseguenza di vari vari fattori : come accordi, come amplifichi e sopratutto come suoni. E’ il consumismo che è parte della nostra società capitalistica a spingere affinché si compri ripetitivamente, un po’ come accade con i telefonini … oggi con i piatti è allucinante perchè ci saranno almeno 50 marche se non di più.
L’altro anno alla NAMM c’era un intero salone di piatti. Vedendo ciò, uno si chiede giustamente “cosa succede?”. Eppure tutti vendono, proporzionalmente poco. Anche perché tutto quanto dipende dalla distribuzione e dalla pubblicità. Ci si chiede spesso “Perché un piatto costa così tanto se le materie prime sono relativamente economiche ?” Perché l’investimento è sulla pubblicità, sulla comunicazione … Recentemente sono stato a trovare Kelly Paiste (figlia di Robert) che mi diceva “La pubblicità su questa pagina di Drum! Magazine costa 3000 dollari e noi siamo obbligati ad esserci”.
Un personaggio molto importante per la tua storia artistica è stato Remo Belli. Puoi raccontarmi il tuo rapporto con lui ?
Remo è stato un gran personaggio.
Lui era un italo-americano di seconda generazione. Ha fatto una carriera da batterista, suonando anche con jazzisti molto affermati della West Coast.
Lo conobbi a Francoforte nel 1975 e siamo rimasti in contatto per molti anni fino alla sua morte. Successivamente ebbi varie metamorfosi della mia carriera durante le quali presi coscienza di molte cose che avrei voluto fare (comporre, dirigere films, ecc.) e del fatto che mi ero stancato di spaccarmi la schiena trasportando strumenti. Sarà stato il 1997 circa, e
un giorno ero a Los Angeles e mi incontrai casulamente con Remo. Mi chiese cosa stessi facendo in città e se ero in vacanza. Gli dissi che mi ero stabilito la già da diversi anni (1990). Si arrabbiò molto e mi disse “Ma sei qua da quasi 10 anni e non sei mai passato a trovarmi ? Vergognati. Ma stai suonando ?” E io gli risposi che avevo smesso. Si arrabbiò nuovamente ed in maniera ancora più veemente. Aggiunsi “Non ho neanche gli strumenti. Ho lasciato tutti gli strumenti in Italia per dedicarmi alla composizione”. Dopo qualche giorno, su suo
invito, andai alla fabbrica e durante tutta la mia visita Remo mi esortò a riprendere la mia attività da percussionista.
“A drummer is a drummer forever” mi disse e mi diede un drum set della linea Legero, un’altra delle sue geniali invenzioni. Come idea non era male (tamburi che si contenevano l’un l’altro come una Matrioska), ma il problema era che pesava in maniera esagerata. Lo ringraziai ma gli espressi la mia perplessità sul trasporto di uno strumento così pesante. G
li proposi di sviluppare qualcosa con i tamburelli (tambourine) intonabili. Abbiamo studiato un po’ il da farsi ed è uscito fuori il set che uso tutt’ora. Quello che uso stasera è il set ridotto composta da 5 tamburelli più due bass drums, mentre il set completo ha un totale di 9-10 tamburelli su una struttura più grande. Il tutto è montato su un telaio leggerissimo in metallo fatta da un fabbro con cui ho collaborato e che purtroppo ora non c’è più. L’elaborazione di questa struttura fu molto complessa e richiedeva che io fossi sempre presente in officina perchè
tutto questo set, compreso di almeno 8 piatti e la tastiera deve entrare in 2 borse dal peso totale di 22 kg. E’ un po’ come tirar fuori i conigli dal cilindro. Difatti molto spesso quando arrivo al concerto, la gente rimane basita quando mi presento con solo 2 borse e poi riesco a montare tutto quanto questo. Ci vuole molta esperienza !!!
Di Remo mi ricordo con nostalgia anche la cena che si fece poco prima che si ammalasse.

Ad un certo nella storia della musica, la percussione free e l’avanguardia sembravano che stesse per imporsi a livello discografico e avere una sorta di exploit, mentre poi in realtà non è mai esplosa del tutto a differenza di altri generi che avevano una comune radice avanguardistica. Come mai questo non è successo o se è solo una percezione che abbiamo in Europa ?
La verità è che si tratta di un mercato limitatissimo che si rivolge ad una nicchia di pubblico molto piccola. Per esempio io del mio catalogo ICTUS vendo pochissimo, aldilà del fatto che non si vendono proprio più dischi. In realtà, viviamo in un momento in cui la gente non ha più curiosità. L’ascoltatore medio si stanca di ascoltare solamente. Quasi tutti vedono i video musicali su Youtube e dopo 20 secondi cambiano filmato. Quando noi suonavamo negli anni ’70 c’erano solo due alternative: o venivi al concerto o compravi gli LP. E la gente era curiosa e gli piaceva il “nuovo” : magari poi ritornavano a casa e ascoltavano tutt’altro, ma comunque s’incuriosivano per farsi almeno un’idea. La gente usciva, andava ai concerti. Ora ai concerti ci sono 20 persone. Uno dei casi a parte è stato per me il Messico. Recentemente abbiamo suonato in duo con Giancarlo Schiaffini davanti a 2800 persone in un festival all’aperto. Lì c’è ancora quella mentalità come quella degli anni ’70. Ovviamente in questa classifica di ascolti di nicchia, la percussione è l’ultima. Non c’è più un mercato e ti dirò, anche giustamente. Siamo in un mondo che si muove di fretta, e dove c’è un po’ di melodia uno la segue, ma dove c’è solo suono uno non si interessa più, nonostante quello che accadeva anni fa.
Come nel caso del tuo viaggio in Svizzera o negli States, piuttosto che nei vari tour, mi parlavi dell’importanza del viaggio all’interno della tua carriera. Oggi il viaggio è stato sostituito da varie piattaforme online che hanno reso tutto più a portata di mano senza dover obbligatoriamente viaggiare. Qual’è la tua opinione in tal senso ?
Io odio Internet (tranne che per la comunicazione veloce). Io vivevo felicemente prima di Internet e lavoravo bene. Vendevo il giusto, a volte -come nel caso del mio duo con Steve Lacy- anche migliaia di copie. I concerti venivano pagati perchè c’era una sorta di classifica di merito su quello che ascoltavi. Adesso basta avere una bella visibilità online, un folto numero di follower e dei contenuti curati ed ecco che passi qualche gradino al di sopra di chi non ha tutto ciò. Siamo in un’era dove vale più apparire che essere. La cosa pericolosa è che tutto questo ha portato a un meccanismo al ribasso. All’organizzatore non importa più chi sei, gli interessa cosa produci in termini di seguito. E tutto questo si è ritorto anche sugli ingaggi.
Secondo te questo discorso è più accentuato in Europa oppure anche negli States ?
Internet è un fenomeno globale. L’unico mercato che sta tenendo, un po’ per i concerti, un po’ per le vendite dei CD, è il Giappone. Anche se prima o poi anche questa realtà cederà. La fortuna è che ha un approccio diverso da tutto il resto del mondo, ma durante il mio ultimo tour in Giappone ho notato che stanno iniziando a diventare come il resto del pianeta, ammazzando l’unicità di questa isola.
Mi nominavi la tua etichetta “Ictus Records”. Ora come ora, il futuro è sempre più votato verso l’autoproduzione, vista anche la progressiva scomparsa delle case discografiche e cambiamento delle modalità di acquisto della musica. Tutto ciò a tuo dire aumenta le idee oppure foraggia un sentimento di competizione ?
Oggi come oggi puoi fare una registrazione perfetta anche con un piccolo registratore portatile. Proprio recentemente ho fatto una registrazione a Berlino con un trio ed abbiamo ripreso tutto con un piccolo apparecchio portatile ed il risultato è stato eccellente. Adesso sul computer hai a disposizione plugin per simulare un determinato ambiente o amplificatore o microfono. Puoi elaborare la musica fino a trasformarla, ovviamente a patto che chi suona sappia suonare o dica qualcosa d’interessante. Il problema è che ora i dischi si fanno un po’ per orgoglio, un po’ per altre ragioni ma raramente per guadagno. Io ad esempio i dischi li faccio per archiviare il mio lavoro. Li faccio e li mando al “Fondo e Archivio Andrea Centazzo” della Biblioteca dell’Università di Bologna creato in mio onore nel 2012. Ti faccio un esempio. Qualche tempo fa (2016) avevo fatto una registrazione con Perry Robinson, clarinettista storico che aveva suonato con Charlie Haden, Dave Brubeck e molti altri. Un bellissimo prodotto che non è ancora uscito. Qualche mese fa ho incontrato il produttore della session e ricordandogli dell’anniversario della scomparsa di Perry, gli ho detto che sarebbe stato il caso di farlo uscire. Bene, ho un distributore per gli Stati Uniti e questo compra tra le 30 e le 100 copie per tutto il continente. Tutto questo cosa significa ? Che non puoi neanche recuperare i costi di produzione. E infatti il CD uscirà solo grazie alla donazione di un appassionato. Anche perchè poi ti ritrovi con qualcuno che fa un blog come il tuo ,che prima t’incensa e poi mette il link per scaricare il tuo CD gratuitamente. Nessuno sembra rendersi conto che per fare un disco ci devi mettere l’anima e spendere dei soldi. Una produzione che ti costa poco, costa sui 2000-3000 dollari: tutto questo viene ignorato perchè ora, nella visione comune, la musica è quella cosa che sta su Internet gratuitamente. E’ andata a finire così. Per questo sono contento di essere vissuto e cresciuto in un’era dove Internet non c’era e dove l’artista era visto come un eroe.
Tra l’altro proprio per quanto riguarda quegli anni, stranamente l’Italia con la sua scuola di jazz era molto avanti, specialmente in Europa.
Ci sono musicisti che ora a 25 anni fanno le cose che facevo io 45 anni fa e magari le fanno anche meglio, ma quello che mi viene da chiedere è “dov’è il nuovo tessuto musicale?“. Di linguaggi nuovi non ne sto sentendo.
Nel tuo set comprendi strumenti acustici ed elettronici. Come fai dialogare questi mondi ?
Anche le sperimentazioni tra acustico ed elettronico non sono nulla d’innovativo: basti pensare a
Tony Oxley e a quello che faceva nel 1969
. Personalmente quando faccio i miei progetti multimediali da solo, tendo sempre più verso l’elettronica. In questa maniera ho più possibilità espressive che chiaramente non posso ottenere con i soli tamburi. Mi piace sempre contaminare, in maniera più accentuata nei concerti di musica improvvisata dove se dovessi fare una stima c’è una presenza del 75% di elettronica.

A proposito d’improvvisazione e composizione. Due approcci molto differenti, come convivono nella sua musica ?
Non raccontiamoci delle panzane : La musica improvvisata non esiste. Ed è facile da intuire. Tu quando studi, studi tutta una gran quantità di cose come dinamica, fraseggio, tecnica, suoni e via discorrendo. Quando vai a suonare non fai altro che andare a ripescare questi studi e riportare alla luce quello che sai fare. C’era pure chi come Steve Beresford -con il quale ho avuto diversi scambi d’opinione- che diceva che per improvvisare non bisognava saper suonare perchè altrimenti la tua esibizione ne avrebbe potuto risentire. In effetti potrebbe essere anche vera questa cosa. Sta di fatto che stasera suonerò e combinerò insieme al partner sul palco, oppure da solo, cose che da 30 anni o 40 anni ho già interiorizzato. Improvvisazione è una parola che trae in inganno. Ti faccio un esempio : poco tempo fa mi sono rivisto con John Zorn. Molto tempo prima ci eravamo lasciati in malo modo per vari motivi. Mi riempie di elogi e dopo m’invita a suonare in duo a New York per un concerto di musica improvvisata. Durante il concerto mi sembrava di essere tornato nel ’78 quando suonammo insieme per la prima volta. Faceva esattamente le stesse frasi, le stesse dinamiche ed anche le stesse mosse sul palco.
Certo non escludo che spesso accadano combinazioni felici, ma penso che le definizioni di avanguardia e improvvisazione spesso possano creare grandi problemi. Se per esempio prendi a caso 10 dischi di Coltrane è molto facile che tu possa trovare fraseggi molto simili tra loro. Alla fine il cervello comanda le mani e va sempre a pescare nella memoria.
I tuoi inizi vengono da altre situazioni musicali. Ho letto che hai iniziato suonando cover dei Beatles, per poi approdare ad un nuovo modo d’intendere la musica. Come hai iniziato a sviluppare questo modo particolare ? E’ stato il tuo viaggio in Svizzera ?
Le cover dei Beatles risalgono agli anni del liceo. Poi tutto è iniziato con un tremendo inverno insieme a Umberto Bindi. Un pianista mi chiese se fossi interessato ad andare a Milano per un nuovo progetto di gruppo, promettendomi un facile successo. All’epoca ero anche particolare perchè oltre a suonare la batteria, cantavo anche. Un po come il batterista degli Eagles. Piacemmo a Umberto Bindi e ci prese come sua formazione. Beh, quello che passai in quei 3 mesi, tra umiliazioni, club malfamati e pochi soldi mi fecero scattare la molla che mi costrinse a dire “Se devo fare musica, non può essere questa”. E così andai in Svizzera a studiare.
Un consiglio a chi si avvicina alla sperimentaizone oggi ?
Lasciate perdere (risate)

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