Inaugurato nel 2003 il Silvano Toti Globe Theatre è da subito divenuto uno dei teatri più importanti della Capitale.
Sul palco si sono avvicendati nomi altisonanti del teatro. Eppure fino a poche settimane fa una cosa pareva particolarmente curiosa: non era mai apparsa una batteria sul palco.
E pensare che la batteria deve molto al teatro. Sin dalle origini, al batterista veniva dato anche il ruolo di “rumorista” oppure di caratterizzare alcuni suoni dettati dagli attori. A scacciare questo tabù durato 17 anni ci ha pensato un ottimo Alessandro Luccioli, perfettamente nel ruolo, la cui performance merita particolare nota di merito. La sua caratterizzazione, il saggio utilizzo di dinamiche e colori sul particolare kit, conferisce emozioni suggestive a quanto si svolge sul palco. Sa ben dosare irruenza e delicatezza, suono e atmosfera, suono e immagine.
Seppur situato in cima alla balconata, la sua presenza è nitida e costante al punto tale da sembrare a tutti gli effetti un personaggio sul palco.
Un grande successo di pubblico per un esperimento decisamente coraggioso. Coraggioso sì, non vi è dubbio alcuno nell’usare questo aggettivo. Questo lo si potrebbe declinare a tanti aspetti riferiti a quanto sta andando in scena al Globe Theatre di Roma. In un momento fortemente condizionato dal fenomeno Covid, anche solo l’idea di portare in scena un esperimento di rilettura rock, dalle forte tinte post apocalittiche, de “La dodicesima notte” di Shakespeare, appare decisamente coraggiosa. Sì, mi sto ripetendo, ma trovo giusto rimarcare questo carattere imprescindibile dell’opera guidata dalla regia di Loredana Scaramella.
Decido di parlarne e approfondire i diversi aspetti che mi hanno incuriosito proprio con Alessandro e Carlotta Proietti
Ciao Valerio, il fatto stesso di esibirsi in un teatro cosi importante è di per sé una grande emozione. Ho scoperto di essere il primo batterista della storia del “Globe Theater” solo negli ultimi due giorni di allestimento, quando il tecnico del suono, abituato a tanti percussionisti, mi si e’ avvicinato dicendomi: “E adesso? Che ci inventiamo con te?”. Mi sento quindi fortunato, caricato di un’importante responsabilità e allo stesso tempo fomentato da uno spettacolo pazzesco.
Ho assistito allo spettacolo e sono rimasto colpito dal ruolo centrale del tuo strumento all’interno della rappresentazione. Il tuo ruolo esula da quello consueto del batterista, ma è a tutti gli effetti quasi un personaggio aggiunto a quelli presenti nella scena. Come si è sviluppata la tua partecipazione alla rappresentazione?
Considerando che il concetto di “Tempo” è il filo conduttore dello spettacolo, inevitabilmente il mio strumento ha un ruolo chiave nei meccanismi dello spettacolo. Anzi, nei cambi scena sono proprio “Il Meccanismo” che crea il passaggio tra un’ora e l’altra tra le dodici ore complessive. Infatti ogni transizione viene scandita dal cosiddetto (da copione) “Rondello”, un disegno ritmico di almeno 6 battute che ricorda il suono di ingranaggi industriali. La mia partecipazione e’ avvenuta in maniera rocambolesca pochi giorni prima dell’inizio delle prove. Mimosa Campironi (artista d’avanguardia ed autrice di molte musiche dello spettacolo) e Loredana Scaramella (regista dello spettacolo) avevano bisogno di una figura versatile al confine tra ritmo e sperimentazione e fortunatamente hanno pensato a me.
Io insieme a Alessandro “Duccio” Luccioli a fine spettacolo
Quali sono state la principale difficoltà nella stesura delle tue parti? Ti sei ispirato a qualche musicista in particolare nel creare le tue parti?
La principale difficolta’ e’ stata che per la maggior parte dei miei interventi, non esistevano proprio le parti. In altri casi ho invece dovuto fare un lavoro di sintesi di “ensemble” percussionistici e trasportarli su un drumset ibrido che ho costruito per lo spettacolo.
Da un punto di vista sonoro hai elementi della batteria accordati molto in basso (timpani e cassa) e il rullante accordato piuttosto alto. Come mai questa differenzazione così marcata?
E’ uno degli aspetti più nascosti di questo set, ma non avevo dubbi sul fatto che tu l’avresti notato. La differenza di accordatura e’ dovuta al fatto che questo set non e’ una batteria ma un insieme di suoni, alcuni di derivazione batteristica altri tipicamente percussionistici. Il rullante e’ tenuto piuttosto alto perché in alcuni frangenti deve marcare dei segnali utili alle coreografie degli attori. In interventi come la danza “Dabke” invece, mi e’ stato richiesto un suono invasivo e squillante, che “rompesse la scena”. Per cui l’accordatura alta mia aiuta moltissimo. Nelle parti batteristiche più classiche utilizzo delle “moon-gel” per eliminare un pò di armonici.
I due timpani sono accordati molto bassi e sono anche “sordinati”. Il primo timpano non ha nemmeno la pelle risonante. Il motivo di questa accordatura e’ sia legata a una scelta di regia sia a delle problematiche di risonanze che si generano nel balcone del teatro.
Ai fini dello spettacolo e’ molto importante che i suoni siano chiari e facilmente riconoscibili dagli attori, non avendo un sistema di monitoraggio da concerto, le risonanze protrebbero anche confondere.
Dal vivo quali sono gli elementi a cui riservi maggior attenzione e ritieni essere le maggiori problematiche?
La maggiore problematica e’ tecnica. Tra un intervento e l’altro infatti devo passare da uno strumento all’altro senza fare rumore sulla pedana. Per questo ho scelto di suonare scalzo. L’altra “problematica” e’ che a differenza di un concerto, ci sono dei lunghi silenzi musicali, alla fine dei quali magari parte un bajon a 140bpm con accenti all’unisono con i movimenti degli attori… per il resto e’ tutto apposto!
I tuoi interventi sonori erano già stati scritti oppure li avete creati nel corso dell’allestimento?
L’allestimento dello spettacolo e’ stato lungo ed intenso. E’ durato circa un mese con prove a cadenza giornaliera con un minimo di 5 fino a un massimo di 9 ore a sessione. Sembra tanto a dirla così, ma per uno spettacolo del genere non si poteva fare in maniera diversa.
Tra l’altro durante l'allestimento avete avuto anche la visita di Gigi Proietti. Puoi raccontare questa esperienza
E’ venuto più volte insieme alla moglie. Per me e’ stata la prima volta che lo vedevo dal vivo. Che dire, e’ una leggenda vivente! Suonare davanti a lui… e lui soltanto… alla prova generale e’ stato più emozionante della “Prima”, alla quale tra l’altro era presente.
Sapevo che era una prova importante, ma lui seduto al centro del parterre con il resto del Teatro vuoto mi e’ costato un paio di respironi profondi prima dell’inizio.
Prima di salire sul palco fai qualche esercizio in particolare per riscaldamento?
Faccio esercizi di respirazione e mi prendo qualche minuto per meditare. La concentrazione e’ tutto lassù.
Spesso interagisci con gli attori sottolineando i loro movimenti ed espressioni. Data la tua postazione abbastanza distanziata dal palco, come fai a contare il momento di entrare?
Ci sono dei segnali che ci scambiamo. Non conto quasi mai. Dopo tante prove, alcuni meccanismi sono diventati automatici. La pedana rialzata, oltre ad essere scenicamente importante, mi aiuta ad avere una visuale completa dello spettacolo, cosi che io possa avere tutti sotto controllo.
Il tuo kit è composto da un ibrido tra batteria e percussione, più strumenti riciclati. A livello sonoro come è nato il tuo kit?
Lo spettacolo e’ multistilistico. Si passa da composizioni classiche a brani Latin fino ad arrivare a sonorità Punk. Nel mezzo ci sono tutte le sonorizzazioni ambientali. Suono tanti strumenti ed ognuno e’ stato scelto con grande attenzione mia e della regista.
Guardando il tuo kit, una cosa che balza subito all’occhio è la cassa ottenuta con un secchio. Come è nata questa intuizione? Pensi che la riproporrai più avanti anche in altri contesti?
Il bidone e’ posizionato come una cassa ma in realtà non lo suono mai come una cassa. Al suo interno tra l’altro ci sono circa 15kg di catene a maglia larga che rendono il suono ancora più aggressivo. Mi serviva un timbro potente molto invasivo che ricordasse degli ingranaggi meccanici. Ho pensato: “Che suono potrebbe avere un orologio gigantesco?”.
Sono andato nei magazzini del Teatro, ci sono rimasto un’oretta fino a che non ho trovato una combinazione soddisfacente.
Non sò se troverò un contesto folle abbastanza da poter accettare questo elemento, ma di certo lo porterò nel mio studio per sperimentazioni personali.
Reciti il doppio ruolo di batterista e percussionista. C’è una reale differenza tra questi due ruoli oppure sono piuttosto convergenti?
Ci tengo a precisare che non mi definisco un percussionista. Sono un batterista che “strimpella” anche diversi tipi di percussioni. I ruoli, in un contesto del genere, sono assolutamente convergenti. Spesso infatti, suono percussioni come tamburi a cornice o la darbuka con le mani insieme ad un pattern di piedi tipicamente batteristico.
Nella storia della batteria, un ruolo importantissimo è stato dato dai Trap Drummer che quasi 100 anni fa musicavano i film muti, riproponendo sia cadenza, che suoni suggeriti dalla pellicola. Questo spunto mi riporta all’eterno quesito: cos’è per te il suono e cos’è per te il rumore?
Il suono e’ tale se contestualizzato. Il rumore e’ solo un suono per orecchie poco attente ad ascoltarlo. Quante volte un “rumore” inaspettato ci fa scattare dei meccanismi interni, come se fossero epifanici?
Da diverso tempo porti avanti sperimentazioni tra musica e arti visive. Come è nato questo amore? Quali sono gli artisti che t’ispirano in questo percorso?
Mi piacciono le colonne sonore, mi piacciono le sonorizzazioni di qualsiasi stampo. Non seguo nessun artista in particolare. L’amore mi e’ nato viaggiando. Mi piace ascoltare le lingue diverse dalla mia e i suoni dei posti in cui vado.
Siete una compagnia molto numerosa ed il teatro per le note disposizioni anti-covid, ha dovuto dimezzare gli spettatori. Questo aspetto ha inciso in qualche maniera sul cachet?
Fortunatamente ha avuto un impatto minimo. Le condizioni lavorative sono eccellenti. C’è grandissima professionalita’ e rispetto per tutte le figure lavorative. Ho trovato una piccola fetta di Paradiso in un periodo terrificante per il nostro settore.
Come sta procedendo la tua attività live dopo il covid? Da parte del pubblico secondo te sta regnando maggiormente la paura oppure la voglia di tornare alla normalità?
Siamo in emergenza ed ho l’impressione che l’anno 2021 sarà molto complesso per la nostra categoria, ma ne usciremo a testa alta. Il pubblico ha bisogno di normalità, ha bisogno di condividere spazi, passioni ed emozioni.
E’ la nostra natura. Meglio una normalità con qualche attenzione in più che la reclusione forzata.
Durante il lockdown in tanti hanno scoperto un diverso utilizzo della rete ed in molti hanno rivisto le posizioni sulla didattica ed i concerti online. Tu di che parere sei? Pensi che i concerti online saranno il futuro oppure i teatri possono ancora stare sereni?
Le lezioni si fanno “ a bottega” dal Maestro che reputi giusto per te. Il resto sono solo soluzioni temporanee che personalmente non gradisco, anche se, per necessità ho dovuto farle anche io. Non ho ancora fatto concerti on line, per cui non sò risponderti. Certo un concerto senza il pubblico prima, durante e dopo non penso che sia una esperienza completa.
Intervista a Carlotta Proietti (produzione)
Ciao Carlotta , come sta accogliendo il pubblico questa svolta “rock” in un’opera di Shakespeare?
Il pubblico del Silvano Toti Globe Theatre è sempre pronto ad accogliere le nostre proposte, in questo caso forse ancora di più dato il momento che stiamo vivendo. Per molti è un ritorno a teatro dopo parecchio tempo e questo spettacolo sembra adattarsi al momento. Il pubblico non andrebbe mai sottovalutato, c’è chi ha creduto che l’anima rock dell’adattamento di Loredana Scaramella avrebbe spiazzato, noi vediamo ogni sera che è accolto a braccia aperte. Forse anche perché il testo, i versi Shakespeariani sono pienamente rispettati.
Da un paio d’anni si sta assistendo ad una piacere inversione di tendenza nel rapporto tra teatri e orchestre. Difatti sempre più teatri stanno riscoprendo la bellezza di un’orchestra nella buca piuttosto che l’utilizzo di basi. La volontà di portare una band su un palco così importante segue questo trend oppure pensate che siano solo casi isolati?
Gli spettacoli del Globe hanno avuto quasi sempre musica dal vivo. In particolare le regie di Loredana Scaramella. La musica suonata live da musicisti in carne e ossa è un vero valore aggiunto, oltre che essere coerente con il “live” che è il teatro, una dimensione in cui tutto è vero, in diretta, davanti agli occhi dello spettatore.
Prima rappresentazione al Globe con una batteria. Secondo te come mai abbiamo dovuto attendere 17 anni per vedere questo strumento sul palco?
Non credo ci sia un motivo preciso per questo. Sicuramente in molti allestimenti non se n’è sentito il bisogno perché i generi musicali erano lontani da quelli in cui una batteria diventava fondamentale. Inoltre a livello acustico per la struttura del Globe, e come impianto audio questo teatro non è concepito per determinati strumenti e volumi. La nostra fortuna è quella di avere una grande squadra tecnica che supporta le scelte artistiche (il nostro fonico è Daniele Patriarca), e riesce a portare egregiamente a compimento dei progetti ambiziosi come quello di avere una batteria sul palcoscenico del Globe!
Come si sta comportando il pubblico? Regna più la paura oppure la voglia di tornare a vivere?
Il pubblico, fin dal debutto di quest’anno (Venere e Adone per la regia di Daniele Salvo) ha dimostrato un entusiasmo sorprendente. Commovente. Ho il ricordo vivo della prima sera in cui a fine spettacolo c’è stata un esplosione: era più di un applauso, sembrava gratitudine espressa attraverso acclamazioni e battiti di mani. Sono convinta che regni più la voglia di tornare a vivere. Lo si vede anche dai molti che per fare questo non rispettano le regole dettate dai decreti antiCovid.
Il teatro prevede regole molto rigide e questo ha certamente contribuito a tranquillizzare il pubblico che viene serenamente a seguire i nostri spettacoli. Oltre agli ingressi contingentati abbiamo un tetto massimo di capienza che corrisponde ad un terzo della capienza reale. La grande sfida di quest’anno ma l’unico modo in cui potevamo aprire al pubblico per la stagione 2020.
Parlando con diversi musicisti europei, tutti manifestano particolare ammirazione sul fatto che in Italia si stia riprendendo a fare concerti e manifestazioni culturali, contrariamente a quanto si fa nel resto del Continente dove tutto si è fermato. Pensi che la situazione italiana sia un esempio per gli altri Paesi?
Sinceramente non so molto sui concerti in particolare, posso dire che spero sia così. Sembra che il 2020 abbia portato in più di un’occasione l’Italia ad essere un esempio per molti, ed è un pensiero confortante.
Si tratta di un’affermazione molto specifica e tecnica, che arriva da un ambito un pò diverso da quello teatrale, non saprei dire se sia vero o meno. Una cosa mi vede d’accordo: per non stare fermi un anno (o di più, aggiungo) l’unico modo è tentare di ripartire. I lavoratori dello spettacolo lo hanno sempre fatto, si sono sempre rialzati, adattati, fanno sacrifici enormi.
Produttivamente il discorso è altrettanto valido. E’ sempre difficile tenere le redini di una macchina produttiva, specialmente quella teatrale che non è un business. Ma credo che il lavoro vada pensato nel rispetto di tutti quelli coi quali si collabora e che si decide di assumere e coi quali si prende un impegno. Onestamente credo che chi oggi non è un bravo datore di lavoro, non mantiene la propria parola, non paga i propri dipendenti, non si comporta correttamente, fosse così anche prima del Covid-19.
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