Forse questa influenza reciproca è la riprova di confini di genere sempre più labili ? Senza dubbio il mondo musicale è in continuo fermento e come tale anche i batteristi stanno riscoprendo nuovi linguaggi senza limitarsi. Il percorso di Riccardo ne è la riprova e proprio di questo abbiamo parlato
Essere un musicista oggi
Ciao Riccardo, è un piacere ospitarti nel blog. Il mondo della musica sta vivendo un momento molto difficile. Tu come stai vivendo questo momento particolare?
Ciao Valerio, grazie a te per lo spazio concesso. Sì,
stiamo vivendo un momento molto difficile e anche se è abbastanza retorico dirlo,
il nostro settore ne sta risentendo violentemente purtroppo. Se parliamo di me nello specifico,
sto ridimensionando molto la mia vita: dal non poter fare più date live a pieno regime (con tutto quello che ne comporta, emotivamente e lavorativamente), alla
didattica a distanza, con tutte le difficoltà che essa comporta.
Batterista per i Coma_cose
Suoni da diverso tempo con i Coma_Cose. Com’è iniziata la tua avventura con loro?
Io e Fausto suoniamo insieme dal 2013, all’epoca aveva un progetto chiamato Edipo e necessitava di un batterista: è stato il mio primo approdo nella musica indie! Abbiamo girato l’Italia insieme per quasi 3 anni, fino a quando non ha sciolto il progetto. Sapevo che stava lavorando a qualcosa di nuovo con Francesca, si era anche ventilata l’ipotesi di coinvolgermi sin da subito dal vivo ma la cosa non andò a buon fine fino all’autunno del 2017, quando mi telefonò per chiedermi se ero disponibile a seguire i Coma come batterista. Ovviamente accettai, e tempo 15 giorni eravamo sul palco del Magnolia, fu una figata! Da lì partì ufficialmente la nostra avventura insieme.
Con loro suoni unicamente dal vivo oppure prendi parte anche alla scrittura dei brani? Nel riarrangiare i brani per i live come lavori sui tuoi suoni?
Le canzoni nascono da Fausto e Francesca, io mi occupo di tutto quello che riguarda il riarrangiamento della batteria per il live.
Per quanto riguarda i miei suoni, cerco sempre delle timbriche medio basse che diano tridimensionalità al live. Ovviamente poi c’è tutta la componente elettronica che deve restare fedele al disco. Quindi i sample vengono presi dalle sessions delle varie canzoni e caricati sulle scene del mio multipad.
Dal vivo nello spettacolo dei Coma _Cose usate molte sequenze. Riesci comunque a ritagliarti uno spazio per improvvisare?
Spazio per l’improvvisazione cerco di lasciarne veramente poco dal momento che, lavorando con tante sequenze, non voglio ci sia margine di errore. Inoltre il rischio di “sporcare” troppo l’impasto generale con qualcosa che non è stato rodato è molto alto. Se si parla invece di uno spazio interpretativo mio, assolutamente sì. Sono riuscito a fare in qualche modo mie le canzoni e dargli un approccio live un po’ “metal”.
Sul palco come gestisci l’elettronica? Ti sono mai capitati degli incidenti?
Sul palco uso un multipad su cui ho tutti i sample necessari per il live. Incidenti si, ovviamente. Dalle basi con il click fuori tempo, allo sbagliare scena sul multipad, samples che suonano anche quando non li suoni, chiavette usb che non caricano le scene e sequenze che spariscono!
Dal vivo fai uso di cuffie chiuse anziché in-ear. Come mai questa scelta? Come regoli gli ascolti in cuffia?
Le cuffie mi occludono completamente l’orecchio, il che mi aiuta a tenere pulito l’ascolto da eventuali agenti esterni, specie per l’uso massiccio di sequenze che abbiamo.
Per quanto riguarda l’ascolto in cuffia, tendo a darmi tanto click e tanta base mentre le voci le tengo relativamente basse. Una cosa che ho dovuto imparare è stata avere anche me stesso in cuffia. In situazioni medio grandi avere le sequenze in cuffia e sentire se stessi da fuori ti costringe a suonare sempre un filo in ritardo sulla base, il che è letale. Avere la batteria diretta nell’orecchio è fondamentale per la precisione in un live basato tanto sulle sequenze.
Il rap come “rock del nuovo millennio”
Anche se viene messa sotto tutto un unico cappello, la musica rap presenta diverse sfaccettature: si va dalle sonorità più vicine all’indie come appunto i Coma Cose, cantautoriali come nel caso di Anastasio, fino alle sonorità quasi hard-rock di Salmo. La nuova generazione di rap può essere considerata “il rock del nuovo millennio”?
Assolutamente sì!
Da un punto di vista batteristico, generi come l’indie, rap e trap, hanno cambiato molto lo stile del musicista. A tuo dire, quali sono gli aspetti di cui bisogna tener maggiormente conto nell’interfacciarsi con questi generi? Ci sono batteristi attinenti questi generi che prendi particolarmente a riferimento?
Sicuramente il saper gestire l’elettronica e saper utilizzare lo strumento per certi aspetti in maniera più percussiva e meno canonica. A volte ci si trova a dover fare degli ibridi set acustico/multi pad, il che comporta la creazione di pattern che vanno fuori dai groove canonici. È una sfida sia a livello tecnico che creativo davvero interessante!
La stragrande maggioranza dei brani rap ha ritmiche prodotte attraverso l’uso delle drum machine, anziché da un batterista in carne e ossa. Viceversa gli artisti rap che si fanno accompagnare sul palco da un batterista, danno molta libertà ai loro batteristi. Mi vengono in mente gli esempi di Danilo Menna con Gemitaiz e Briga, Carmine Landolfi con Gue Pequeno, Nicolas Di Benedetto con Sfera Ebbasta, Giovanni Cilio con GionnyScandal o Marco Lanciotti con Achille Lauro e Anastasio. Soffocato da anni di pop, si può dire che la batteria ha preso nuova linfa vitale con il rap oppure l’uso massiccio di drum machine ne sta sentenziando la morte?
Assolutamente no, anzi! Credo che il rap stia dando ai batteristi maggiore possibilità di espressione e di esplorazione.
Proprio portando avanti questo binomio “drum machine/batterista reale” e di conseguenza anche “macchina/essere umano”, per anni la batteria è stata insegnata ed interpretata con una cura maniacale verso la pulizia e la precisione metronometrica, mentre molti stili moderni quali l’indie ed il neo-soul addirittura vedono il batterista evidenziare ed accentuare “acciaccature” ed imperfezioni come la pronuncia “drunken”, a metà tra cadenza binaria e terzinata. A tuo dire, il batterista moderno come può affrontare questo “dualismo” tra essere “fredda macchina/musicista pensante” ed in che direzione andrà questo dualismo?
Credo che sia una sfida interessantissima per quanto riguarda l’essere versatili. Ogni genere ha il suo vocabolario musicale, conoscerlo e saperlo applicare è fondamentale, non solo per la professione, ma anche per lo sviluppo del proprio linguaggio.
Oltre al lavoro con i Coma Cose hai all’attivo un’intensa gavetta nel mondo metal. Così come nella trap, anche il metal sta vedendo sempre più una presenza sempre più invasiva dell’elettronica. Qual è il tuo punto di vista su questo argomento?
Credo che si possano fare cose molto interessanti, se la cosa viene fatta con cognizione di causa.
Sia con i Coma Cose, sia in ambito metal, prediligi kit molto minimali. Come mai questa scelta?
Principalmente comodità.
In realtà nell’ultimo anno e mezzo ho ripreso ad allargare il mio kit. In generale, mi piace usare tanto i piatti ad effetto.
Inizialmente con i Coma avevo un set molto minimal, non avevo ancora mappato nel mio cervello i brani e mi ci è voluto del tempo per capire quali e quanti suoni aveva senso utilizzare. Nel metal è stata più che altro una scelta di efficacia nelle situazioni live, dove spesso non c’è lo spazio fisico per montare tutto quello che vorresti. 10 anni fa giravo con un set simmetrico con due casse, poi con le diverse esperienze le cose sono decisamente cambiate.
A tuo dire qual è lo stato di salute della scena metal in Italia? Quali sono le band e i batteristi che maggiormente ascolti?
Se parliamo di livello creativo/artistico, in Italia abbiamo delle band pazzesche, soprattutto nel sottobosco underground, dove spesso vengono fatti esperimenti molto interessanti a livello tecnico. Se parliamo di fruizione, il metal in Italia non gode di buona salute, purtroppo.
Parlando di band metal in generale, le mie band più ascoltate sono: Ulcerate, Morbid Angel, Meshuggah, Animals As Leaders.
Restando nel genere i batteristi che più ascolto sono Alex Rudinger, Sebastian Lanser, Eloy Casagrande.
Come regoli le molle del pedale?
Cerco di mantenere una regolazione medio-molle in tutte le situazioni musicali, compreso il metal, dove tendenzialmente ho tenuto sempre le molle ad una tensione molto alta. L’ho presa un po’ come una sfida nella versatilità, cercando di gestire sia il feel che la velocità con lo stesso setting.
Sei a favore o contrario ai trigger sulla cassa?
Dipende. Credo che per la musica estrema siano fondamentali. A velocità così alte il suono acustico perde di definizione, e ne risente il sound, soprattutto dal vivo.
Credo dipenda tutto molto dal suono che si vuole ottenere e da cosa sia necessario fare per ottenerlo.
Percorso musicale alla batteria
Come hai iniziato a suonare la batteria? Quali sono stati i tuoi idoli e punti di riferimento?
I miei genitori suonano entrambi, quindi sin da piccolo sono stato molto vicino alla musica. Avevo circa 10 anni quando mi chiesero che strumento mi sarebbe piaciuto suonare e spontaneamente la batteria mi attraeva tantissimo.
Parlando di idoli la lista potrebbe essere infinita.
Terry Bozzio su tutti. Poi
Vinnie Colaiuta, Pete Sandoval, Derek Roddy, Travis Orbin…
Qual’è stato il tuo percorso didattico e cosa t’ispira maggiormente ora ?
Ho studiato percussioni in Conservatorio e parallelamente studiavo batteria in maniera autonoma, suonando sui dischi e facendo un sacco di air drumming nella mia cameretta. Dopo essermi diplomato in Conservatorio ho intrapreso gli studi con Giorgio Di Tullio. Giorgio è stato fondamentale nel mio percorso, dal punto di vista tecnico e dal punto di vista umano. Non lo ringrazierò mai abbastanza!
Ad oggi sto lavorando tanto sullo sviluppo delle poliritmie, sia tra arti inferiori e superiori, ma anche tra lato sinistro e lato destro del corpo. A livello creativo mi da tantissimi stimoli.
Ci sono mai stati momenti in cui volevi lasciar perdere ?
Purtroppo sì. C’è stato un periodo in cui studiavo tantissimo ma non succedeva niente, né dal punto di vista lavorativo né dal punto di vista della soddisfazione personale. È stato un momento particolarmente frustrante, avevo tante idee ma non riuscivo a svilupparle in nessun contesto. E a questo si aggiungeva l’incertezza economica. Ero sul punto di mollare tutto, poi in qualche modo mi sono fatto forza, ho deciso di darmi un’altra possibilità e fortunatamente poi le cose hanno cominciato a funzionare.
Ora molta informazione passa attraverso i social e Youtube, mentre una volta si andavano a scoprire i musicisti guardandoli da vivo. Com’è il tuo approccio verso questa nuova tendenza ?
Credo che i social siano un’arma a doppio taglio. Ci sono tonnellate di tutorial, di video lezioni, di drum covers e batteristi pazzeschi. Tutto questo è molto bello e molto utile per avere stimoli e farsi una cultura, ma se ti lasci assorbire dal binge watching non concludi niente nella pratica, perché quello che vedi ti sembra perfetto e irraggiungibile nell’immediato. Quello che bisogna tenere ben presente è che sui social si vede la superficie, quello che è il risultato di ore, settimane e mesi di lavoro.
Ai giorni odierni si può vivere di sola musica ? Che consigli daresti a qualcuno che oggi vuole fare della musica la propria professione ?
Sì, è possibile. Ovviamente ci vuole tempo e sacrificio, non è un risultato immediato, e anche quando raggiungi un obbiettivo, devi saper mantenere quell’obbiettivo. Bisogna sfatare il luogo comune dell’artista o del musicista che si alza tardi e passa le giornate aspettando l’ispirazione. Siamo lavoratori a tutti gli effetti, e molto spesso facciamo turni massacranti e siamo sottoposti a stress superiori a quelli di altre occupazioni. E questo riguarda tutti i lavoratori di questo settore, dai tecnici agli artisti. In questo senso mi sento di dire che se si vuole fare della musica la propria professione oggi, sia necessario per prima cosa porsi in maniera professionale. Presentarsi preparati, puntuali ed essere costanti nello studio prima di tutto. Poi credo sia fondamentale sapersi promuovere sui social (cosa su cui combatto con me stesso da sempre): capire quali contenuti condividere, che cosa si vuole comunicare, darsi delle scadenze.
Sei un maestro di batteria. Quali valori cerchi di dare ai tuoi allievi ? Quali metodi consigli e come i tuoi maestri ti hanno influenzato in questo tuo lavoro ?
La costanza e la versatilità prima di tutto.
Per quanto riguarda i metodi direi
Master Studies di
Joe Morello,
Wrist and Fingers Stroke Control di
Charlie Wilcoxon,
Time Functioning Patterns di
Gary Chaffee e
Afro – Cuban coordination for the drumset di
Maria Martinez, per citarne alcuni.
Quali sono i batteristi che maggiormente segui?
Potrei fare una lista infinita. Ovviamente a parte i colleghi che ho incontrato sul mio percorso, ti cito i principali: Alex Rudinger, Travis Orbin, Matt Garstka, Virgil Donati…