La Sicilia è una perla del Mediterraneo. Posta al centro di questo universo di culture, rappresenta l’ideale punto di partenza per storie che parlano di commistioni e scambi culturali. Proprio da questa terra parte il racconto artistico di Gaetano De Carli, batterista siciliano che incorpora in sè molte influenze sonore sparse per tutto il globo.
La sua recente partecipazione alla rassegna “Duetto in Drums” ci dà l’occasione per capirne al meglio alcuni aspetti artistici del suo percorso
Intervista a Gaetano De Carli
Ciao Gaetano, partiamo dall’inizio, anzi dai tuoi inizi. Come ti sei avvicinato alla batteria ?
Ciao Valerio, intanto grazie per l’intervista e ammetto di aver conosciuto da poco “Il Tamburo Parlante” ma ho subito recuperato con molto interesse gli articoli e le interviste a Fabio Rondanini e Massimo Carrano, ottimo lavoro! I miei inizi: Enna, piccola provincia sicula, scuola media, primi anni 90, in radio e tv impazzavano i Take That e a breve Kurt Cobain si sarebbe ucciso; la batteria era uno strumento familiare nel senso che ho uno zio che ha suonato per anni quindi è avvenuto tutto di conseguenza… walkman sempre acceso o frugando tra i dischi di mio padre, finiti i compiti, percuotevo con le matite il divano suonando sulle canzoni ; come regalo di licenza media la mia prima batteria: una yamaha nera. Aspettavo mensilmente l’uscita della rivista Drum Club, perchè da lì potevo prendere qualche esercizio e soprattutto leggere le interviste ai grandi batteristi, poi le prime band, cover ma anche tanta musica originale, pomeriggi passati in sale prove di fortuna, bastava un amico con una casa in campagna, un po’ di cartoni delle uova ed era fatta eh eh eh… insomma molta impreparazione dal punto di vista musicale ma tanta creatività e divertimento. Verso i 17 anni un amico di papà mi organizzò una vacanza studio della scuola di batteria di Franco Rossi sul lago di Garda, presi da solo il mio bel treno e lì passai tre giorni immerso nella musica e soprattutto nello studio del nostro strumento, incontrando tanti ragazzi che avevano la mia stessa passione ma più strumenti didattici di me, dissi che anche io volevo darmi da fare per imparare al meglio la batteria e un giorno magari diventare un musicista.
Cosa rappresenta per te la batteria ?
Il cuore e la passione ma anche fatica e sudore.
E’ recentemente uscito “Afrodelik” del tuo trio Big Beat. Se il titolo inizialmente mi aveva fatto pensare di trovarmi di fronte ad un sound più delle radici, la musica che andate a proporre è un qualcosa che ha di africano solo qualche matrice stilistica ma i suoni sono la riproposizione sono quanto di più moderno ci possa essere. Ci vuoi parlare di questo progetto ?
Sì con piacere, tutto è nato un paio di anni fa da una jam in sala del tastierista Stefano De Santis che non conoscevo e con Pierfrancesco Cacace, sassofonista, con cui avevo condiviso varie esperienze musicali, suonando ci siamo accorti che tutto avveniva in maniera naturale e che ognuno sul proprio strumento in quel periodo aveva sviluppato un’idea di sonorità che ci accomunava, quindi perchè non sperimentare insieme! Alla fine dopo un anno abbiamo composto un’ora e mezza di musica originale. Non per niente il nome della band è il titolo di uno dei dischi più famosi di Art Blackey e i Jazz Messengers ma anche il nome di un tipo di musica elettronica britannica nata negli anni 90, quindi sonorità jazz ma con ritmiche “danzerecce”, cercando di assorbire tutto quello che musicalmente oggi arriva da New York o Londra ( vedi i Beat Music di Mark Guiliana o gli inglesi Youssef Kamaal).
Ascoltandoti uno dei primi batteristi che mi viene in mente è Stanton Moore. E’ effettivamente un batterista al quale t’ispiri ? Che rapporto hai con il drumming di New Orleans ?
Sono lusingato! Si è un batterista che ammiro e seguo molto nonchè autore di un eccellente metodo (Groove Alchemy) che mi ha fatto capire in questi ultimi anni tante cose sul groove e sulla storia del drumming black americano; avendo suonato tanta musica afro americana, penso che New Orleans sia uno dei posti che meglio incarna quest’idea di incontro tra la cultura europea e africana.
Da un punto di vista sonoro, mi sembra che tu prediliga suoni molto fermi e stoppati specialmente sul rullante. Come mai questa scelta ?
Sì è vero e se non uso sordine e affini, comunque uso pelli doppio strato sul rullante; è un’esigenza nata qualche anno fa suonando in progetti in cui le parti di batteria nascevano da una drum machine e io in un secondo momento le “umanizzavo”, quindi dovevo rispettare il sound elettro ma con il mio feeling, in più vista la presenza di un dubmaster, il suono dei miei rullanti molto fermo facilitava l’uso in tempo reale di deelay o riverberi.
In un video dici che per te è indispensabile il “nastro gaffa”. Del tuo stesso avviso sono anche dei mostri sacri dello strumento come Joey Baron e Fabio Rondanini. Hai qualche aneddoto di qualche volta che il nastro ti ha salvato la serata ?
Eh eh eh tanti! Nastro sempre con noi ! Diciamo che suonando alcuni generi specifici (reggae e ska) molte volte i posti che c’invitavano avevano sicuramente un grande cuore e importanza sociale ma la parte logistico-tecnica era un po’ diciamo… carente, quindi viaggiando in tanti su un furgone, non sempre potevo portare la mia strumentazione e il più delle volte trovavo la batteria del cugino del cognato dell’organizzatore tenuta per anni in cantina…insomma potete immaginare…il nastro sistemava più o meno tutto…eh eh eh
Il tuo modo di suonare è molto permeato sulla solidità del groove. Cos’è per te il ritmo ?
Ho lavorato e lavoro tanto su questo aspetto e su di esso riesco a esprimere al meglio la mia idea di drumming. Solidità ma anche conoscenza e sperimentazione di tutte le piccole sfumature che possono esserci in un flusso ritmico, questo per me può essere una sintesi di Ritmo.
A soli 18 anni sei partito dalla Sicilia per venire a Roma. Cos’ha rappresentato per te spostarti a Roma ? Com’è stato confrontarti con la realtà romana ?
Il mio trasferimento non è avvenuto subito, per due anni ho frequentato i corsi quindicinali del Saint Louis, il venerdì pomeriggio prendevo il treno, arrivavo a Roma la mattina presto del sabato, giornata di lezioni intensiva e riprendevo in serata il treno per arrivare a casa la domenica in mattinata, intanto in Sicilia cominciavo a suonare in maniera più “professionale” e frequentare l’università ma a un certo punto questa formula “mordi e fuggi” non mi bastava, volevo confrontarmi di più con gli altri musicisti e studenti della scuola, andare a sentire i concerti nei locali insomma vivere a pieno questa esperienza, così dopo una riunione di famiglia, che ringrazierò sempre per il grande appoggio , decisi di trasferirmi e… oggi sto ancora qua … eheheh.
Nel rapporto di odio e amore che ogni abitante di Roma ha con questa città, quali sono gli aspetti positivi e negativi di questa città da un punto di vista musicale ?
Beh scelsi Roma perché era sicuramente più vicina al mio spirito “terrone” ma immagina di essere un ventenne e passare da un paese di nemmeno 30.000 abitanti a una città con 3.000.000 di abitanti! All’inizio è stata dura, Roma sa essere ostica ma io da siciliano di montagna sono andato dritto per la mia strada; comunque mi ha permesso di conoscere grandi didatti che mi hanno trasmesso tanto, musicisti formidabili con cui ho attraversato pezzi di vita, ho conosciuto il multiculturalismo che per un musicista è prezioso, alla fine non è andata poi così male!
Parte della tua carriera è stata segnata dalla musica reagge. Cosa attrae il pubblico verso questa musica ? Hai sempre ascoltato questo genere ?
E’ stato tutto assolutamente casuale e non sono di certo un tipo da dreadlocks o ho mai sopportato i luoghi comuni che sminuiscono il concetto di musica reggae, penso che come il blues , il reggae è un linguaggio di una cultura specifica che veicola però un messaggio universale e crea delle vibrazioni che suscitano vari stati d’animo positivi nell’ascoltatore, in qualsiasi angolo del mondo esso si trovi. In quanto linguaggio il difficile è interpretarlo al meglio e non cadere nello “scimmiottamento”.
Secondo te cosa può essere preso sotto gamba da un batterista che si approccia per la prima volta alla musica reagge?
Intanto l’ascolto dei fratelli Barrett (ritmica dei Wailers); al di là del discorso didattico, il feeling del loro portamento crea benessere all’ascoltatore, poi concentrarsi sulla pronuncia e il balance cassa/hi-hat/rullante.
Hai suonato al B-Folk in duetto con Ivan Liuzzo. Già vi conoscevate ?
Non lo conoscevo ma è stata una piacevole sorpresa.
Secondo te quali sono le peculiarità del drumming di Ivan e come hai cercato di accompagnarle ?
Beh già nel pre-concerto ho visto il suo set poco batteristico e più percussionistico, poi chiacchierando un po’ ho capito che potevamo essere assolutamente complementari e devo dire che è stata molto interessante la scelta di due batteristi con definite peculiarità.
Come si è svolto il vostro duetto?
Duetto è la parola esatta… per fortuna non è stato un duello eheheh… io faccio 8 misure e tu nei fai altre 8 e devi superarmi, no non è stato niente di tutto ciò, piuttosto un flusso ritmico in evoluzione.
Che emozioni hai provato nell’esibirti insieme ad un altro batterista ? Quali sono le cose sulle quali ti sei concentrato maggiormente mentre suonavi ?
Ho semplicemente ascoltato, è quello che faccio normalmente, osservare e ascoltare.
Prima del duetto hai fatto un solo. Che rapporto hai con la solitudine ?
Non avevo mai suonato così tanto da solo, sono sempre stato un batterista di una band e mi piace suonare con gli altri, però è stato molto stimolante sperimentare la “solitudine” musicale.
Cosa ti ha lasciato questa esperienza ? E’ un esperimento che cercherai di replicare ?
Intanto ne approfitto per ringraziare ancora Marco del B-Folk per avermi invitato al Drum & Duets, come dicevo è stato stimolante e mentre suonavo stavo bene, questo è quello che conta, più che replicare da solo mi è venuta voglia di duettare con tutti i batteristi della rassegna! Ci ho preso gusto eheheh

Hai già collaborato diverse volte con il B-Folk, tempio romano della musica sperimentale. Ci sono ancora posti così in giro per l’Italia ? Secondo te il pubblico è ancora assetato di sperimentazione ?
I Big Beat e altre situazioni musicali interessanti hanno mosso i primi passi al B-Folk, in Italia ci sono per fortuna tanti posti che sperimentano, a Roma forse il numero è troppo esiguo rispetto alla quantità di musicisti e proposte musicali di qualità, poi dipende dal coraggio dell’offerta musicale, se al pubblico dai solo ed esclusivamente una programmazione di tribute band, il pubblico penserà che la musica live è la tribute band, il panino e la birra. Dall’altra parte il musicista può e deve sperimentare, battere strade alternative ma rimanendo connesso con l’ascoltatore, insomma essere una sorta di Cicerone del viaggio musicale che propone, se no rischia di essere tutto un po’ sterile.
Frank Zappa diceva che “senza deviazioni dalla norma non c’è progresso”. Batteristicamente e nella vita quotidiana quali scelte hai fatto per deviare dalla norma ? Quanto conta per te progredire ?
Nella vita quotidiana sono abbastanza abitudinario, questa regolarità mi permette di essere più concentrato e di conseguenza ho più energie per ricercare, studiare, definire nuovi progetti musicali, se mi sento distratto o inquieto anche la mia voglia di progredire ne risente.
Se prima le collaborazioni avvenivano solo a livello locale, ora si ha la possibilità di registrare e collaborare anche a distanza. A te è mai capitato ? Allargandosi le possibilità, si allarga anche la concorrenza. Perché qualcuno dovrebbe scegliere te come batterista di un progetto ? Cosa pensi che ti possa rendere unico ?
Mi è capitato poco tempo fa, ma preferisco il lavoro di preproduzione fatto di scambi di idee musicali strumento alla mano e non con scambi di mail, quindi se mi volete vengo io da voi a patto che ci sia un letto comodo e buon cibo!
Cosa rappresenta per te l’arte e come la ricerchi ? Questa ricerca influenza il tuo modo di suonare o d’intendere la vita ?
Per me l’arte è quella sensazione di benessere, di bellezza, di conoscenza, scoperta o riflessione che sotto varie forme si manifesta nell’animo del fruitore. Io personalmente mi sento più un artigiano che va a bottega e cerca di portare la propria sapienza ogni giorno un po’ più in là.-
Sei attivo da molto tempo. Com’è cambiato il lavoro ed in che direzione si muoverà il lavoro del musicista in futuro ?
Il lavoro di base è lo stesso, dobbiamo pestare su pelli e piatti come un batterista degli anni ’50, ma sono cambiate le forme e i canali e la preparazione del musicista è molto più avanzata, sicuramente internet ha influito ma è giusto così, il mondo che viviamo adesso è questo ma se nella sua forma ci potranno essere altre mutazioni e sinceramente non so nel futuro cosa succederà, nella sostanza deve rimanere un lavoro creativo ed emozionale.
Ci sono mai stati momenti in cui volevi lasciar perdere ?
Sì, diverse volte, ma poi ti siedi sullo sgabello, prendi le bacchette in mano e improvvisamente trovi nuova energia.
Parlando con Nicolò Di Caro, parlavamo della generazione che ha visto cambiare il modo di avvicinarsi alla musica. Ora molta informazione passa attraverso i social e Youtube, mentre una volta si andavano a scoprire i musicisti guardandoli da vivo. Com’è il tuo approccio verso questa nuova tendenza ?
Io da adolescente aspettavo la festa del patrono per poter osservare il più possibile il batterista del cantante di turno o divoravo riviste musicali e duplicavo musicassette, in questi ultimi 10 anni è diventato tutto più accessibile nonostante ci sia anche tanta spazzatura in giro sul web, non dico niente di nuovo… però poter vedere in streaming Nate Smith che suona al Ronnie Scott’s di Londra o l’ultimo concerto a Los Angeles di Herbie Hancock e Vinnie Colaiuta mentre sei sul divano di casa è una figata!
Ti vorrei chiedere qualcosa riguardante la parte più lavorativa di questo lavoro. Come elabori il tuo cachet rispetto al lavoro proposto ? C’è sempre trasparenza in questo mondo oppure talvolta ti sei sentito sfruttato ?
Se consideriamo la fatica, la benzina, le migliaia di euro di strumentazione, le ore di lavoro, il concetto di cachet è riduttivo, cerco di evitare quelle offerte che non reputo dignitose.
Qual’è stato il tuo percorso didattico ?
Al Saint Louis ho avuto la fortuna di conoscere e studiare con Claudio Mastracci, con lui ho scoperto le tante sfaccettature dei libri didattici per batteria (Stick Control,Syncopation etc.etc.), Gianfranco Gullotto che pur essendo un bassista mi ha insegnato tanto, poi studio recording con Agostino Marangolo, a parte il valore indiscusso del suo drumming nei dischi di Pino Daniele e tanti altri, era più prezioso un suo consiglio o aneddoto che un esercizio didattico fine a se stesso e infine Cristiano Micalizzi che mi ha fatto approfondire il multistilismo, molto utile per la ricerca stilistica che avrei intrapreso nella mia carriera lavorativa.
Sei un maestro di batteria. Quali valori cerchi di dare ai tuoi allievi ? Quali metodi consigli e come i tuoi maestri ti hanno influenzato in questo tuo lavoro ?
Da una decina di anni mi occupo di didattica, cerco di indicare una strada ai miei allievi che professionale o amatoriale,non importa, eviti distrazioni o perdite di tempo e relative frustrazioni; in seguito provo a fargli raggiungere l’obiettivo e la relativa soddisfazione nell’averlo raggiunto, alla fine l’allievo troverà l’energia per spostare i propri limiti ancora un po’ più in là e così via.
Insegni anche a bambini. Cosa noti nelle nuove generazioni e nel loro approccio alla musica ? Che mondo musicale pensi che si troveranno ad affrontare quando inizieranno a suonare in giro ?
Anche il mio rapporto con la didattica per i bambini è avvenuto in maniera naturale, piano piano mi sono accorto di riuscire a creare un bel rapporto con i miei piccoli allievi, cerco il più possibile, in un mondo che vuole ottenere tutto immediatamente, di trasmettere loro il concetto che lo studio di uno strumento è frutto di un lavoro costante e appassionato e la passione va sempre alimentata con la curiosità; non so se cominceranno a suonare in giro o magari diventeranno degli avvocati o operai ma spero si ricorderanno con affetto dei miei consigli.
Quali sono i batteristi che maggiormente segui e quali pensi che siano i migliori prospetti nel panorama italiano ?
Potrei fare un elenco infinito…sicuramente in questi ultimi anni personaggi come il già citato Stanton Moore o Mark Guiliana, Nate Smith, Yousef Dayes credo stiano aprendo nuove strade musicali importanti…anche in Italia ci sono batteristi molto preparati e soprattutto in continua evoluzione… Enrico Matta, Pier Paolo Ferroni, Franz Valente e tanti altri…