Intervistare Edo Sala vuol dire parlare con un musicista moderno impegnato in diversi aspetti del proprio lavoro. Impegnato dietro ai tamburi per band come Folkstone e Bardomagno, Edo lo troviamo attivo anche nella didattica nelle scuole, sul web, oltre esser stato per anni collaboratore della principale rivista specializzata rivolta al mondo della batteria : Drumset Mag. Per questa rivista svolge il ruolo d’intervistatore a favore di molte icone della batteria metal, oltre alla didattica di aspetti legati al mondo del metal.
Il suo approdo ai Folkstone arriva nel 2010 e con loro registra 4 album in studio e 1 album dal vivo, oltre ad essere impegnato in diversi tour di successo in giro per l’Italia. Dal 2017 inizia l’avventura per BardoMagno, progetto musicale nato a margine del successo della popolare pagina Facebook “Feudalesimo e Libertà”. In entrambi i progetti musicali c’è un forte connubio tra la musica medievale contaminata con suoni più moderni e ciò viene ben sottolineato dalla maestria di Edo ai tamburi. Una bella chiacchierata per scoprirne di più su questo suo approccio e su molti spunti derivanti dalla sua carriera e dal suo modo d’intendere la musica
Intervista con Edo Sala
Ciao Edo, domanda scontata con cui iniziare un’intervista. Come ti sei avvicinato alla batteria ?
Colpa di Nicko McBrain e della rullata di Be Quick or be dead.. avevo 13 o 14 anni, comprai “A Real Live One” degli Iron Maiden perché – pur non conoscendoli – aveva una copertina magnifica! Partiva col boato del pubblico e una rullata che ai tempi mi pareva impossibile… ho frantumato tante sedie e pezzi di legno, fino all’acquisto del primo set e l’amore sconfinato per Lars Ulrich e il suo set bianco con pelli nere.
Nel corso degli anni, ha avuto diverse evoluzione del suo essere. Attualmente, un lavoro e, grazie al canale Youtube dove cerco sempre di sfidarmi imparando canzoni nuove ogni settimana, una sfida e un modo per tenere il cervello e il corpo sempre attivo.
Iniziai quasi subito con Marco Castiglioni sullo strumento e Franco D’Auria alla musica d’insieme, due grandi artisti molto famosi nell’ambito jazz. Ovviamente io volevo imparare a suonare Metallica, Slayer e Megadeth, quindi mi annoiai presto. Imparai però a leggere grazie a loro, così andai a comprare gli sparti del Black Album e proseguii da solo. Anni dopo ricominciai gli studi con Pietro Stefanoni, il Maestro che ha dato la svolta; fra l’altro Pietro, insieme ai due sopracitati suona nel Percussion Staff, un ensemble di percussioni folli. In seguito andai anche a lezione da Franco Penatti, ma devo ammettere che le più belle rispetto al mio genere le ho avute intervistando per la rivista Drumset Mag (prima Percussioni, Ritmi e Batteria) i veri Maestri del rock/metal. Ricordo con piacere il mio idolo Vinnie Paul che mi sistemava gli spartiti e mi spiegava le sue tecniche.. in 15 minuti mi ha aperto un mondo!
Guardandoti una delle prime cose che risalta all’occhio è la tua impostazione “open handed”. Come hai maturato questa impostazione? Che facilitazioni hai riscontrato?
Sono ormai diversi anni che collaboro con Aramini per diversi marchi e grazi a loro ho avuto modo di conoscere Dom Famularo. Quel giorno diede una quantità di input davvero incredibili, è un didatta di livello davvero superiore; mi fece però molta impressione il fatto di suonare open-handed, cosa che già avevo visto fare a grandi batteristi quali Gene Hoglan e Sean Reinart, per restare nell’ambito metal. Mi regalò il suo libro specifico sul mondo “open Handed” e così cominciai; è un discorso che porto avanti da ormai più di dieci anni, ma ce n’è un sacco di strada da fare prima di ottenere buoni risultati!
La formula sonora dei Folkstone rappresenta un connubio perfetto tra il ritmo trascinante del folk ed i suoni aggressivi del metal. Nel tuo drumming come hai cercato di unire questi elementi ?
Semplicemente suonando ciò che so fare, con quello che credo sia giusto per la canzone, al netto delle idee del resto della band ed eventuali produttori. Ho dovuto ascoltare e studiare alcune cose specifiche del folk all’inizio, poi pian piano ho inserito il mio modo di essere ed è piaciuto.
Siete uno dei gruppi metal più seguiti della scena nazionale. Che fotografia ci regali del momento della musica metal in Italia?
Bella domanda; con i Folkstone credo siamo leggermente lontani dai circuiti metal veri e propri, non ho una gran percezione se devo essere sincero; inoltre sono rimasto davvero troppo indietro con gusti e conoscenze. Devo ammettere che il livello tecnico di ciò che vedo è diventato altissimo, tutti che suonano cose che fatico davvero a capire! L’unica cartina al tornasole per me possono essere gli allievi; ne ho circa una quarantina, e penso il 10% metallari, e la percentuale si abbassa drasticamente se si contano quelli che riescono a suonare regolarmente in band, purtroppo.
Utilizzi tamburi molto grandi che generalmente sono l’incubo per antonomasia dei fonici. Che accortezze usi per microfonare il tuo set e come accordi i tamburi?
Azz, dovremmo chiedere al nostro fonico Luciano Graffi! Di base è vero, adotto sempre tamburi molto “retrò” come misure, casse da 24″ o 26″, ma alla fine, se torni indietro negli anni, un Tony Williams usava una 24” anche per fare del Jazz e suonava, senza scomodare il solito Bonham. Vanno accordate, quello è il vero problema, e devi fidarti del fonico che ha orecchie migliori delle tue! 😀
Mi ricordo della tua cura maniacale del suono. Una volta mi facesti vedere un trucco per posizionare correttamente il rullante sul reggirullante per farlo suonare meglio. Qual’è secondo te un errore che spesso i batteristi fanno nel montaggio dello strumento?
Non so se definirlo “meglio”, di sicuro diverso da altri suoni. Mi piacciono i tamburi che cantano, misure grosse ma non morte, tiro molto le pelli cosicché puoi usare anche doppio pedale e/o fare rulli di velocità sostenute – Dave Lombardo docet! Mi piace il rullante con il cerchio diecast come battente, mentre risonante di solito monto un tripla flangia per appoggiarlo sul basket senza stringere troppo, in modo che sia bello libero. Come cordiera di solito metto almeno una 30 fili, con una REMO CS come pelle battente. Tutte scelte che possono anche non piacere affatto!
Altro marchio di fabbrica del tuo modo di suonare sono i rullanti molto profondi. Se non mi ricordo male usavi un particolare rullante Ludwig profondo addirittura 10”. Come mai ami questo particolare suono?
Il deep rock di fine anni 80 in acero, spettacolo! In realtà poi sia in studio che live scelgo un 6,5″ e mai in legno, di solito bronzo, ottone o il solito supraphonic. Ritorniamo a quanto detto prima, sono suoni diversi e che in certe situazioni possono essere davvero caratterizzanti se sai come farli suonare.
Vieni da Bergamo. La tua città cosa rappresenta per te ? Hai sempre trovato un terreno fertile per esprimerti e crescere artisticamente oppure ha rappresentato uno scoglio ?
Errore! Sono del ramo del lago dove il Manzoni ha ambientato i Promessi Sposi, la città di Lecco. Una città in cui insegno, ma non molto attiva soprattutto in campo rock metal, di base ho sempre lavorato meglio su città come Milano o Bergamo.
Altra esperienza da sottolineare è stata la possibilità di accompagnare Paul Gilbert dal vivo. Cosa puoi raccontare di quelle serate ?
Con lui ho suonato tre volte, sempre emozioni e serata spettacolari; la prima ovviamente condita da molta più ansia, visto che poi dovevamo suonare una scaletta di brani non proprio semplici – Dave Brubeck, Stevie Wonder, Kansas, Genesis, Etc – senza aver mai provato. Paul però sa metteti a tuo agio, è molto interessato e curioso, fa un sacco di domande sulla musica che ascolti ed è davvero squisita come persona. Inoltre il format che proponeva ai tempi – una sorta di lezione/concerto – era davvero bella e coinvolgente.
Edo insieme ad Alfredo Romeo e Dave Lombardo
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Oltre che come batterista, sei stato un punto di riferimento importantissimo per tutta la comunità batteristica per il tuo lavoro svolto per la rivista Drumset Mag. Per questa rivista facevi test degli strumenti, interviste ai grandi protagonisti del metal ed analizzavi alcuni groove importanti del genere. Cosa puoi dirci di quell’esperienza ? Com’è iniziata ?
Un amico batterista- Alessandro Chiara – mi presentò Er Director Alfredo Romeo, persona fantastica con cui mi trovai subito. Mi diede carta bianca su tutto, così cominciai a intervistare e vedere da vicino sul palco i miei idoli di sempre. Poi quasi per scherzo cominciai a fare un video sui groove di Portnoy nel disco registrato con gli AvengedSevenfold e da lì tutto ciò che ne consegue; trascrizioni – cosa che ho sempre amato fare – esercizi e video, sperando fosse un aspetto che potesse aiutare/interessare giovani batteristi. Ai miei tempi non esisteva, e mi sarebbe piaciuto avere un punto di riferimento che spiegava le mie canzoni preferite. Era unire l’utile al dilettevole, ero obbligato ad imparare velocemente, leggere a prima vista e imparare ad usare aggeggi elettronici… che volere di più?
Hai collaborato per lungo tempo per la rivista. Come hai visto mutare l’interesse dei batteristi verso la lettura di una rivista specializzata? Secondo te c’è ancora interesse per l’informazione specializzata e ben strutturata oppure i tempi frenetici impongono una conoscenza più superficiale ed approssimativa, ma più vasta?
Oltre dodici anni, in effetti, anni in cui ho sempre notato affetto ed interesse, ma credo ci sia un problema sociologico ben più grande alla base. Tutto è diventato frenetico, troppo, è difficile per tutti ora avere tempo e testa per leggere e dedicare attenzione per molto tempo ad un argomento. Spero di sbagliarmi, ma è un atteggiamento che riscontro spesso anche negli allievi.
Qual’è stata l’intervista più incredibile che hai realizzato e quella che avresti voluto realizzare ? Cosa ha rappresentato per te la chiusura della rivista ?
Sarò noioso ma come dicevo prima, Vinnie Paul per la quantità di informazioni che ha saputo darmi in breve tempo, oltre all’essere il mio batterista preferito. Ricordo con molto piacere anche Dave McClain e Kenny Aronoff, artisti di assoluto livello con esperienze e storie interessanti da raccontare. Mi sarebbe piaciuto intervistare Lars Ulrich, personaggio per cui nutro un rapporto di amore/odio particolare.
Edo dietro i tamburi originali usati per registrare il mitico album dei Metallica “Black album”
Lars Ulrich è uno dei batteristi più discussi in assoluto, qual’è la tua opinione su di lui ?
E’ stato il mio idolo indiscusso di gioventù, ha toccato apici di composizione ed idee che io apprezzo tantissimo ma non è certo un buon esempio per quanto riguarda lo studio e l’approccio nei live… a Cesare quel che è di Cesare!
Hai registrato nello studio dove venne registrato il Black Album dei Metallica con gli strumenti originali del disco. Com’è stata quell’esperienza e come hai lavorato in quell’occasione ? Una volta mi avevi detto che eri rimasto sorpreso nel sapere che la batteria che Lars usò era in realtà una Gretsch. C’erano altri dettagli del dietro le quinte che puoi rivelarci ?
Di dettagli ce ne sono tantissimi, a partire dai dieci giorni impiegati a fare prove spostando la batteria per capire quale fosse il punto migliore nella stanza per registrare! E’ stata una bella esperienza, lavorare con Coen della Chocolate Audio vuol dire sedersi sullo sgabello la mattina e andarsene la sera dopo aver fatto migliaia di colpi a qualsiasi volume ed intensità! Alla fine il mio compito era montare il set, accordarlo, divertirmi suonando alla Lars e poi fare campioni, un lavoro molto estenuante ma che ti fa conoscere ogni dinamica possibile di uno strumento. Alla fine è molto interessante vedere il reale potenziale dello strumento, raramente si esegue un lavoro così minuzioso.
Altro tuo vanto è la grande conoscenza che hai dei marchi che rappresenti. Sei endorser per Paiste, Ludwig e Remo e per tutti questi marchi osservi una grande venerazione e sei un autentico nerd per quello che riguarda la storia di questi marchi. Cosa rappresenta per te avere la fiducia di queste aziende ?
Innanzitutto un ripagare della fiducia datami da questi marchi e dalla famiglia Aramini, con cui ormai collaboro da più di dieci anni. Iniziammo con Paiste, un marchio che ho sempre amato fin dalla prima volta che ho messo bacchetta su un Signature ormai più di venti anni fa. Poi venne Ludwig, una di quelle cose che sembra sempre un sogno ogni volta che ci pensi; Bonham, Paice, Powell, Van Halen, Ringo Starr, tutti i grandi fino a fine ’70 erano legati a quel marchio. Che volere di più? Se poi aggiungi Remo e Vic Firth che sono strumenti che ho sempre usato anche prima, non posso che unire passioni e lavoro. Leggere i libri di Ludwig è inoltre molto interessante e sono sempre stato attratto dalla creazione e materiali di cui è composto un set. Nel corso degli anni ho comprato un sacco di strumenti per fare esperimenti insieme al mio Maestro Pietro, è davvero utile avere diversi termini di paragone per capire cosa ti piace e cosa serve al tuo suono.
Collezioni ancora rullanti Ludwig e Paiste 2002 ?
Non con la stessa intensità di una volta, lo spazio inizia ad essere pieno ormai! Ne ho molti, ma se prendi in esame anche l’ultimo nostro “Diario di un Ultimo”, abbiamo usato cinque rullanti e molti piatti diversi a seconda della canzone. Non sono un collezionista di quelli che tiene fermi gli strumenti, anzi!
Come mai identifichi così tanto il tuo suono con questi strumenti?
Sono quelli che mi piacciono, che mi fanno sentire “a casa”, che so come rispondono sotto alla bacchetta e come usare o sistemare in caso di problemi. Come ti dicevo, ne ho avuti tanti, ne usiamo tanti a scuola e nei live, alla fine ti crei un tuo standard e lo segui. Inoltre il fatto di essermi fatto lo studio e di registrare tutti i giorni ti aiuta molto nel capire cosa ti piace e cosa ti serve per arrivare a ciò che hai in testa.
Essendo un appassionato di strumenti vintage, qual’è secondo te la maggior differenza tra questi strumenti e quelli moderni ?
Non mi ritengo un grande appassionato, o perlomeno non ho strumenti prima degli anni 80! Ho avuto fra le mani anche batterie dei decenni precedenti, messe a confronto con le mie – stesso diametro, stesse pelli e tensioni – il suono era decisamente diverso, più caldo ma con meno attacco. Unico vero problema sono le meccaniche, spesso sono da sostituire in quanto rovinate o usurate dagli anni. Mi piace molto sapere, foto, curiosità, sono meno interessato al possedere e soprattutto usare il vintage.
Edo insieme a Remo Belli
Andando in California, sei riuscito ad andare a Los Angeles dove hai avuto la possibilità di conoscere Remo Belli in persona. Che ricordi hai della sua persona e quali valori ti ha trasmesso questa esperienza?
Un bellissimo “nonnino” con una grinta, una passione e una serie di aneddoti incredibili, dalle esperienze con Starr, Bonham, Ulrich… sai di aver davanti uno degli artefici dei suoni che ami, degli strumenti che uso anche più di dieci ore al giorno a volte. Capisci quanta passione, ricerca ed investimento servono per arrivare a dei risultati. Oltre al fantastico Cabernet che produceva!
La scelta del proprio suono e sapere come ottenerlo dovrebbe essere esigenza primaria di ogni musicista, eppure è molto difficile trovare musicisti che capiscono come riuscire ad ottenere il suono che hanno in testa. Nello scegliere le pelli, qual è secondo te il più grande errore che i batteristi fanno spesso ?
Credo che spesso non sia un errore, ma semplice ignoranza rispetto ad un a catalogo di prodotti ormai infinito in cui è spesso difficile districarsi. Bisognerebbe poter avere – e spesso io ho questa fortuna – la possibilità di averne diverse in mano, fare prove, registrazioni, live per capire davvero le potenzialità di una pelle montata sullo strumento che usi tutti i giorni. Ma costano, quante persone si possono oggettivamente permettere di spendere capitali per poter fare prove simili?
Com’è nata la tua collaborazione con Aramini ?
Nel 2009, per varie situazioni musicali, ricevetti proposte legati ad altri marchi; io in sala avevo però solo Paiste essendo un grande fan, non mi rimaneva che chiamare Aramini e chiedere un appuntamento per fare due chiacchiere. Il resto poi venne da sé!
Sempre per Aramini, un’esperienza incredibile è stata accompagnare Dave Lombardo in giro per l’Italia per un tour di clinic a favore di Ludwig. Che esperienza è stata e cosa ti hanno lasciato quelle giornate ?
Pelle d’oca ancora oggi! Musica, chiacchierate, vino, cacio e pepe, mozzarelle, consigli, esercizi fatti insieme su cd di musica gitana e soprattutto la consapevolezza del genio di quell’uomo, totalmente incapace di leggere due note ma con una capacità incredibile di tirar fuori se stesso una volta dietro i tamburi incredibile. Con tutti i pregi e difetti del caso, ma in un certo senso ogni sera insieme finivo per vederlo come un Bonzo del Metal, un animale da palco incredibile.
A proposito di Dave Lombardo, mi ricordo che durante la sua clinic romana, passò molto tempo a parlare del suo settaggio molto particolare dei suoi pedali. Tu come setti i tuoi pedali ?
In realtà in modo molto simile; battente lontanissimo dalla pelle per poter avere botta, molle molto tirate – mai come le sue che erano davvero a fondo corsa! Usando casse da 24 o 26, battente molto alto e giù di sudate dietro il doppio.
Domanda di rito per chi suona metal. A favore del trigger o del tutto contrario?
Mai usati, ma se servono o aiutano in certi generi, perché no?
Quali sono i pregi migliori dei pedali Ludwig Atlas Pro ?
Non hanno mille regolazioni se non quelle che servono, ci sta il mio 48 senza problemi, sono veloci e i battenti hanno una consistenza davvero interessante, a metà fra il feltro e la plastica. Ora sto usando i nuovi VicFirth con il corpo in legno, anch’essi molto belli ma con un attacco più deciso.
Cosa vuol dire essere endorser di un brand ? Che consigli vuoi dare a chi si vuole proporre per collaborare con qualche azienda ?
Devi conoscere, usare, seguire, capire la filosofia di un marchio. A mio parere, non basta buttarlo su un palco e via, poi ognuno la vede alla propria maniera e va bene così!
Oltre all’impiego con i Folkstone, suoni spesso con diverse cover band. Premesso che non sono un grande estimatore di cover band e tribute band, pensi che questo aspetto del tuo lavoro sia una sorta di “castrazione artistica”, fa semplicemente parte del lavoro o per te è un divertimento ? Come ti approcci a replicare delle parti di batteria concepite da altri batteristi ?
Posso rispondere tutto e di più? Nel senso; lavoro lo è, assolutamente. Ma conoscere bene un batterista ti fa capire come porta il tempo, le tecniche che poi puoi inserire nel tuo modo di suonare., c’è sempre da imparare da ogni batterista. Ovvio, mi diverto molto di più a suonare Pantera e Metallica che Guns, Europe o Ligabue, ma la varietà è un pregio, per quanto mi riguarda. Nei tributi parto sempre scrivendo nota per nota ogni canzone, per poi scegliere anche in base alla volontà della band some procedere, se restare fedele o poter aggiungere e/o cambiare qualcosa. Alla fine, stare su un palco è sempre divertente, se stai bene con le persone con cui suoni.
Tempo fa parlando con altri batteristi, cercando di trovare un motivo del grande impiego di batteristi stranieri da parte di grandi produzioni, qualcuno mi fece riflettere sul fatto che pochissimi batteristi pensano ad un concerto come uno show dove fare spettacolo e “tenere il palco”. Nelle tue esibizioni una cosa che balza subito all’occhio è la tua perfetta abilità nell’essere una presenza scenica che ruba subito l’occhio. Che importanza dai a questo aspetto della tua performance ?
Nessuna, sono semplicemente così quando sono dietro la batteria se messo nel mio “ambito”. Mi diverto, mi piace, spesso riguardando i video i faccio ridere da solo, ma raramente studio cose; ci sono magari scenette – parlando ovviamente di band come Folkstone o Bardomagno – che vengono per caso e poi riproponiamo perché divertenti o altro, ma ogni serata è a sé, non si sa mai cosa combineremo.
Frank Zappa diceva che “senza deviazioni dalla norma non c’è progresso”. Batteristicamente e nella vita quotidiana quali scelte hai fatto per deviare dalla norma ? Quanto conta per te progredire ?
Per me è sempre stato importante alzarsi alla mattina ed avere uno scopo, un programma di studi per poter arrivare a suonare canzoni che prima non ero in grado. Negli ultimi anni, il maggior progresso per me è stato farmi lo studio, registrare e lavorare molto sulla precisione dei colpi, quando sul palco sento un colpo sul rullante o sui floor che non è come dico io mi ricopro di insulti. Passo molte ore registrando gli stessi grooves o canzoni, alcuni giorni sei amico del click, altri c’è da piangere ma è una cosa che consiglio a tutti.
Mantenendo sempre una grande dinamicità con quanto espresso dagli arti superiori, immagino che per quanto riguarda il lavoro che svolgi con i piedi, una delle difficoltà maggiori sia rappresentato dall’avere un volume costantemente molto esasperato anche a velocità elevate. Come riesci ad ottenere una grande potenza anche da parte degli arti inferiori ?
Ore ed ore di esercizi senza cambiare di molto le velocità, finchè non la fai tua e senti tutti i colpi; non sono un batterista granché veloce, ma cerco perlomeno di far sentire bene tutti colpi, sebbene spesso sia una battaglia epica!
Spesso ti vedo suonare una batteria elettronica. Mi venne in mente una domanda che fecero a Thomas Lang tempo fa su questo argomento e lui rispose che lui la intendeva come un altro strumento, del tutto differente dal suo parente acustico. Per te in cosa differisce la batterista elettronica e come mai questa scelta ?
Mi obbligano, tutto qui! Ne farei volentieri a meno, non mi diverte affatto, ma per quanto riguarda i lavori attorno alle librerie di samples per la Chocolate Audio va fatto, ovviamente. Ma vuoi mettere il suono dell’acero? 😀
La batteria elettronica diventerà lo strumento del futuro ?
Spero il più in là possibile, almeno per qualche anno posso ancora divertirmi anche io! Scherzi a parte, se pensi Bruford, Carey o Mastelotto da quanti anni usano set ibridi? Non credo che potrà mai sostituire l’acustica, ma l’integrazione esiste ormai sulla maggior parte dei palchi.
Sei molto attivo nel tuo canale youtube dove proponi analisi di brani molto famosi con dei video molto ben realizzati. All’estero ci sono moltissimi batteristi youtuber, mentre in Italia questo fenomeno latita e a volte assistiamo a maldestri tentativi. Secondo te, come deve rapportarsi un batterista che vuole investire su questa piattaforma e su quali aspetti deve lavorare per raggiungere un livello soddisfacente ?
Devi essere disposto a ricevere insulti e critiche e spendere molti soldi se vuoi competere con alcuni stranieri. Fra videocamere, microfoni, pre, computer, programmi e soprattutto ore impiegate, è un bel disastro.
Se prima le collaborazioni avvenivano solo a livello locale, ora si ha la possibilità di registrare e collaborare anche a distanza. A te è mai capitato ? Allargandosi le possibilità, si allarga anche la concorrenza. Perché qualcuno dovrebbe scegliere te come batterista di un progetto ? Cosa pensi che ti possa rendere unico ?
A me è capitato, ho registrato l’anno scorso l’ultimo disco con Joe Lynn Turner alla voce (Ex Deep Purple, Rainbow, Malmsteen) e quest’anno già un paio con la regia del mitico produttore Ale Del Vecchio per la Frontiers Records. Spero di essere scelto per come suono e per il tipo di strumenti utilizzati; c’è più concorrenza, è vero, ma alla fine così devi far davvero vedere che vali ciò per cui sei pagato, in parte c’è della meritocrazia in tutto ciò. Di contro, devi imparare a farti largo nel web, che è un delirio in continuo movimento.
Che importanza deve rivestire la cultura nella tua musica? Oltre alla musica, come alleni il tuo cervello all’arte?
Ascolto sempre musica, ma sinceramente appena poso le bacchette faccio ben altro; leggo, studio e pratico di natura, piante, api, legna e tutto ciò che circonda questo mondo. Spesso parto alle 9 di mattina e finisco alle 23 fra studio, lezioni o ben più tardi in caso di live, ho bisogno di staccare e di stare lontano da quello che si può considerare “arte”.
Ci sono mai stati momenti in cui volevi lasciar perdere?
Quasi tutti gli anni quando ti ritrovi a fare i conti con quanto lavori e quanto guadagni in questo mondo; per fortuna esiste la passione per quello che si fa, ma è spesso dura, alla fine le spese le abbiamo tutti ma in questo campo ben poche tutele e sicurezze.
Ti vorrei chiedere qualcosa riguardante la parte più lavorativa di questo lavoro. Come elabori il tuo cachet rispetto al lavoro proposto ? C’è sempre trasparenza in questo mondo oppure talvolta ti sei sentito sfruttato ?
La trasparenza c’è, non ci sono più grandi soldi nel mondo della musica, si è per forza sfruttati ma se fai due conti quello è, non si può chiedere cachet fuori dal mondo, credo che neanche i superbig della musica ora navighino nell’oro. Ci sarà sicuramente chi ci guadagna in tutto ciò, ma non sono i musicisti di certo.
Sei te in prima persona che ricerchi nuove collaborazioni oppure aspetti che le occasioni si presentino da sole ?
Devi sbatterti sempre a cercare nuove cose, proporre, inventare, poi si rimando spesso tornano richieste se si lavora bene. E’ tutto un giro, nessuno credo possa permettersi di aspettare sul divano le chiamate ora come ora.
Quali sono le caratteristiche principali che deve avere un batterista adesso per lavorare ? Come pensi si evolverà questo lavoro ?
A mio parere devi saper leggere, saperti rapportare in modo semplice con gli altri della band, gestire il tuo strumento, saper suonare le cose richieste e poco di più, se si tratta di “turnismo”. E’ un mondo che in realtà non conosco granché, quindi probabile che un vero turnista possa smentire tutto ciò!
Da una parte dotata di gran tecnica, capace di poter arrivare a tutto grazie alla rete in poco tempo, con poca speranza però di poter formare una band, che è quello che mi manca di più nella musica degli ultimi vent’anni. Band magari tecnicamente non eccelsa ma con idee musicali nuove ed interessanti, ci sono pochi spazi – perlomeno per come la vedo io – dove suonare, poca incentivazione a passare giorni a suonare crescere insieme. Spero di sbagliarmi, ovviamente!
Grazie Man! A quando un altro di quei sushi infiniti???!?!
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