Giovedì scorso per la rassegna “Duetto in Drums” al B-Folk è andato in scena il dialogo in tamburi traNicolò Di Caroe Matteo Pieravanti. Un bellissimo duetto che ha messo in scena alcune peculiarità del drumming dei due batteristi esibitisi.
Ho avuto modo di parlare di tanti temi legati alla batteria e non solo con Matteo Pieravanti, che è stato ospite della puntata NUMERO 13 dello speciale di Delirario Il Tambuto Parlante, che potete riascoltare qui.
La bella serata al B-Folk è stata invece un’opportunità per scambiare qualche chiacchiera con Nicolò Di Caro, da tempo segnalato come uno dei talenti più importanti della nuova leva batteristica nazionale. Il suo linguaggio stilistico mette radice nel mondo variegato del jazz, con tutte le sue molteplici sfumature e rivisitazioni. Il suo drumming riflette una chiara vocazione verso il mondo elettronico, dove la ricerca del sound riveste una componente cardine.
Il ragazzo, classe 1989, nasce a San Benedetto del Tronto e ben presto inizia a sviluppare una sincera passione verso la musica e la batteria. A 23 anni il grande salto: Nicolò si trasferisce a Roma per frequentare gli studi del corso di batteria jazz del conservatorio “Santa Cecilia”, presso il quale si laureerà 5 anni più tardi con il voto di 110/110.
Ma la meraviglia del conoscere Nicolò non è stata solo legata allo scambio di battute sul mondo della batteria. Nicolò è una persona dalla grande sensibilità e dalla mente molto aperta verso il mondo che circonda la sua batteria, una persona non banale e dalla personalità mai scontata. Per questo gli ho proposto un’intervista particolare, con domande che lo spingessero a riflessioni profonde in grado di regalarci uno sguardo interessante e prezioso sul nuovo universo musicale dell’elettronica e non solo.
Ciao Valerio ! Mi sono avvicinato allo strumento ascoltando Travis Barker, il batterista dei Blink 182 a 10 anni. Da li è stato amore a prima vista e ho deciso che avrei preso delle lezioni
La batteria per me rappresenta una valvola di sfogo, un mezzo attraverso il quale sfidare me stesso e un mezzo di comunicazione. Comunicazione nel senso che cerco di veicolare al meglio il messaggio del brano che sto suonando con il mio strumento.
Hai avuto un lungo percorso didattico dove hai avuto maniera di studiare con illustri musicisti. Cosa hai appreso da loro ? Te a tua volta sei un didatta. Cosa cerchi di trasmettere ai ragazzi e come ti approcci a loro ?
Beh, ho avuto la fortuna di studiare con i migliori : Roberto Gatto mi ha insegnato la storia, la tradizione, l’istinto, mi ha passato l’amore per il jazz e per questo strumento grazie alla sua generosità. Ettore Fioravanti anche, mi ha dato il metodo, la passione per la ricerca, una buona lettura, la pazienza di non arrendermi di fronte alle difficoltà tecniche, un confronto con una persona sincera e molto altro. Marco Valeri ha fatto un lavoro molto profondo con me, mi ha aiutato con la tecnica, con lo studio delle frasi dei grandi batteristi del jazz. Mi ha aiutato con il suono, ed è un mio carissimo amico. Massimo Manzi, che è stato il mio primo insegante di batteria jazz, a cui sono molto legato: ricordo le sue lezioni, il suo modo di suonare, la sua generosità nei miei confronti, mi ha dato tantissimo. Ascoltarlo suonare è ancora una grandissima lezione per me. È stato il primo insegnante di jazz e gli devo tantissimo. Poi ci sono stati molti altri che ho avuto la fortuna di incontrare: Pier Paolo Ferroni (batterista e persona eccezionale) , Israel Varela e altri con cui ho avuto relazioni di masterclass e seminari ma non rapporti continuativi. Massimo Carloni, è stato il mio primo insegnante, colui che mi ha messo le bacchette in mano per la prima volta, un bravissimo batterista ed un eccellente didatta. Conservo bellissimi ricordi di lui e nutro una grandissima stima nei sui confronti.
Per quanto mi riguarda cerco di trasmettere ai ragazzi la passione per questo strumento e cerco di dargli il un metodo di studio. Un metodo che li abitui ad essere liberi di esprimere se stessi attraverso lo strumento. Per questo gran parte delle mie lezioni sono basate per i primi anni sulla tecnica. Sviluppare tecnica al servizio dell’istinto. Uso i metodi classici : il new breed, il Gary chaffee, Il jim chapin, il Wilcoxon, ovviamente concentrandomi solo su alcune parti di essi in base alla mia esperienza. Uso poi esercizi inventati da me che spesso sono abbreviazioni di esercizi “classici” ottimizzati per un miglior risultato in minor tempo.
Mi approccio ai bambini lanciando ad essi delle piccole sfide quotidiane e trattandoli praticamente da adulti. Non passo quasi mai, già a partire dai 7 anni in su, attraverso le melodie per bambini, ma utilizzo quasi sempre musica vera. Fino ad ora questo approccio mi ha dato ottimi risultati. I bambini si sentono motivati se vengono trattati alla pari e danno tutto il loro impegno.
Vieni da San Benedetto ed ora stai qua a Roma. Cosa ha rappresentato per te questo spostamento ?
Vivo lo spostamento da San benedetto a Roma ancora con dispiacere per così dire. Mi mancano i ritmi lenti, il mare davanti casa, l’orizzonte che si perde a vista d’occhio. Mi mancano le persone rilassate e il non correre per arrivare chissà dove. Roma mi piace solo come luogo in cui si scambiano idee e in cui nascono cose. Ma assume sempre di più le caratteristiche di un formicaio. La gente è aggressiva e stressata e questo mi crea fastidio nella quotidianità. Diciamo che non mi sono mai abituato del tutto. Parlando di cose positive diciamo che Roma mi ha permesso di incontrare musicisti straordinari, persone in gamba, tenaci e anche alcuni amici a cui sarò legato per sempre.
Credo che tra i miei coetanei ci siano moltissimi musicisti eccezionali ma che alla musica “vera” , cioè quella nata nelle sale prove, dalle teste “libere” non venga dato abbastanza spazio. Oggi si cerca esclusivamente il prodotto, il personaggio, la vendibilità. Che perlopiù è decisa da manager e personaggi televisivi che non hanno nulla a che fare con la musica. Per Musica intendo quella che nasce dalle competenze scaturite dal sacrificio, dalla passione per il proprio strumento. Credo che sia dato poco credito, anche a livello economico, a tutto ciò che non riguardi il business dei talent o dei social. E credo che per quanta forza un’artista possa mettere in ciò che fa, il messaggio non arrivi a molti se non veicolato dai media.
Questo perché sono anni che i media si impegnano nella disinformazione e ci fanno credere che il loro prodotto sia di qualità e sia l’unico possibile e vendibile. Non è la musica ad essere in crisi,lo è il mercato musicale: ci sono gruppi e musicisti eccezionali in giro, solo che non vengono ascoltati.
I tempi frenetici e social attuali impongono un’attenzione sempre maggiore verso l’immagine e la prima impressione che viene data. Oltre al grande lavoro fatto con la musica elettronica, parte della tua carriera è stata a servizio di contesti jazz piuttosto formali. Nonostante tutto ti sei sempre presentato con un’immagine piuttosto forte e decisamente lontana dai clichè canonici jazzistici. Questa tua immagine ti ha mai penalizzato oppure ha rappresentato anche un tuo punto di forza ? Se non ricordo male, Gatto è un insegnante piuttosto ferreo su questo punto, ti ha mai detto qualcosa ?
Beh, ho suonato anche con il quartetto di Adriano Urso per esempio, che impone un dress code di giacca e cravatta in ogni situazione…Non c’è stato mai problema con la mia immagine anche perchè per quanto possa avere look forti si capisce, anche solo parlandomi per 2 minuti che tipo di persona sono e che educazione ho avuto. Devo dire che non mi ha per ora mai creato problemi. Mi è sempre piaciuto sperimentare e giocare con l’aspetto. è una cosa che mi diverte da quando ero piccolo. Diciamo che ho sempre voluto comunicare un atteggiamento punk anche in contesti formali, pur di fatto adattandomi con i modi ai contesti formali. Ho persino incontrato il presidente della Repubblica in quirinale in occasione dei David Di Donatello ed ero in mezzo al massimo della formalità, i miei modi sono stati apprezzati anche in quell’occasione e nessuno mi ha mai fatto sentire fuori luogo. Gatto rideva spesso dei miei cambi di look, aveva capito che per me era un gioco. Chi non è molto sicuro di se, è timido, come me (che faccio finta di non esserlo ma che di base lo sono) ha bisogno di ostentare a volte sicurezza anche attraverso look forti. Ma che sono un ragazzo timido ed educato si capisce in ogni caso.
Sei un ragazzo di 30 e nel pieno della generazione che ha visto cambiare il modo di avvicinarsi alla musica. Ora molta informazione passa attraverso i social e Youtube, mentre una volta si andavano a scoprire i musicisti guardandoli da vivo. Com’è il tuo approccio verso questa nuova tendenza ?
Diciamo che questa nuova tendenza non mi piace. Nel senso che alla fine nella troppa scelta non c’è nessuna scelta. I miei allievi alla domanda : – Che cosa ascolti? Mi rispondono : – Un po’di tutto…. Che vuol dire che di base non scelgono nemmeno i brani da ascoltare ma mettono in play le compilation preparate da youtube e quando sentono qualcosa che gli piace lo ricercano.
Comunque quello che arriva alle loro orecchie sono perlopiù i brani super pompati dalle pubblicità. Si lasciano guidare dalla TV e dai brani più commerciali, nel senso che sono quelli che vengono più sponsorizzati dai produttori e che senti in ogni dove. Ma la cosa bella è che si stupiscono ancora davanti ai live veri. I genitori dovrebbero spendere più tempo nel coltivare i cervelli dei figli piuttosto che sbatterli a destra e sinistra tra piscina, calcetto, musica perché non hanno tempo col lavoro. Alla fine si stanno perdendo molte cose: ad esempio l’importanza della scaletta di un disco che ha sempre un senso logico. Oggi si salta da una traccia ad un’altra senza ragione. Purtroppo cado anche io a volte in questa nuova tendenza.
Altra cosa: instagram ha ridotto ulteriormente i tempi già brevi di concentrazione. Ora se un brano non cattura l’attenzione nei primi 6 secondi si skippa, o si scrolla ad altro. E un minuto sembra essere la soglia massima d’attenzione. E la tendenza è sempre peggio: in quel minuto mille montaggi, luci, suoni, entusiastici :- CIAO RAGAZZI!!!!!! Cavolo oggi o ti spari il ritornello nei primi 10 secondi di brano o sei finito. Il social inoltre ci fa credere che siamo tutti speciali e alcune persone prendono ciò alla lettera. A me è sempre piaciuta la normalità, il non eccedere. Oggi invece sembra essere cresciuto il bisogno di essere visti : tutti Vip su istagram, si comprano i follower, ti seguono tu li risegui e loro tolgono il follower, cosi il messaggio è che si è seguiti da molti ma loro seguono solo pochi eletti. Stiamo davvero impazzendo. Il social ha rovinato tutto davvero. Una volta se c’era un concerto jazz che ti piaceva lo venivi sempre a sapere col passaparola e la comunicazione funzionava ugualmente.
Tra i tuoi coetanei, c’è ancora voglia di creare qualcosa di particolare e sperimentare nuovi linguaggi ?
Tra i miei coetanei c’è sicuramente la voglia di sperimentare nuovi linguaggi. Più si cresce meno si rinnega il passato musicale che si ha, per quanto “poco nobile o accademico” possa essere. Questo fa si che le vecchie influenze si mescolino a quelle nuove facendo nascere nuovi linguaggi. Esempio Manlio Maresca, che ha creato un suo modo di intendere la musica del tutto personale, e i miei gruppi, la cui musica scaturisce perlopiù dalle teste di Lewis Saccocci, Federico Procopio e Adriano Matcovich.
Sempre più spesso nella nuova generazione si avverte una certa vocazione verso l’imitazione e poco all’originalità. Tu come ti poni nel cercare di creare un linguaggio personale ?
Per quanto mi riguarda l’imitazione è parte essenziale nella crescita di un musicista. Apprendere dai più bravi è sempre stato il percorso di tutti i grandi. Direi che cerco di farmi guidare da tutto ciò che mi piace senza nessun limite di genere. In una società (anche musicale) dove prevalgono le etichette, questo è sempre più difficile. Bisogna dimostrare di appartenere a un qualcosa, sennò si è soli. Quindi l’originalità è sempre più difficile da ricercare. Da quando ascolto più me stesso mi regolo esclusivamente sul mio gusto personale, cercando di convincermi dopo 20 anni passati su questo strumento che posso avere anche io una mia opinione e che potrebbe essere considerata significativa da qualcuno 🙂
Oltre che batterista, sei stato anche organizzatore di alcuni eventi musicali. Puoi raccontarci qualcosa di questa esperienza ?
Sì, sono stato anche un organizzatore di eventi ed è stata un’esperienza che finchè è durata è stata molto bella. Abbiamo organizzato concerti bellissimi con musicisti eccezionali e a livello artistico è stato davvero un profondo arricchimento. Col senno di poi ho capito però molte magagne che avrei preferito non vedere. Quando organizzavo concerti e jam session ero amico di tutti, quando per motivi di salute mi sono assentato dalla scena per qualche mese nessuno mi ha telefonato per sapere come stavo, tranne i miei amici soliti. Lo dico perché sono un amante delle telefonate e spesso faccio delle chiamate solo per sapere come stanno le persone, anche per non perdere l’umanità che ci deve essere alla base di tutto. La verità è che i soldi sono pochi, così come le opportunità di emergere e monetizzare sono poche. Quindi si rischia di perdere l’entusiasmo nel creare una comunità e questo genera molto opportunismo. Spesso le amicizie in questo campo finiscono nel momento in cui si deve prevaricare sull’altro per dei miseri €50. Vedi molte maschere allegre sopra al malcontento. Questo per quanto riguarda il pubblico dei musicisti. Per quanto riguarda il pubblico di non musicisti diciamo che per gli emergenti ce n’è di meno, soprattutto se si propone musica originale. Il pubblico preferisce le cover band in cui si esalta guardando il surrogato del proprio mito. Eppure come ripeto in italia abbiamo un sacco di proposte artistiche valide, ma c’è una carenza nella domanda. Organizzare oltretutto è pesante perché non vuoi far torti a nessuno e non puoi gestire da solo la mole di proposte che arrivano. È un altro lavoro che dovrebbe essere pagato ma in pratica non lo è mai.
Le sonorità elettroniche dei ModularMdl e BEar Trip
Negli ultimi anni la musica black e neo soul ha riscosso molto successo tra i batteristi italiani. Secondo te da dove deriva questo fermento attorno a questo genere ?
Eh il neo soul e la black music sono generi davvero belli poiché racchiudono degli elementi jazzistici (le armonie, i soli ecc) ma con il groove. È indubbiamente un genere che attrae poiché ha molta ballabilità, forza ed è spesso innovativo. È anche una moda. In America sono anni che Chris Dave accompagna rappers di ogni tipo ma la possibilità di farlo anche qua è arrivata solo recentemente. Batteristicamente poi è molto divertente e da soddisfazione, capisco quindi il successo che ha questo genere. Tra l’altro piace anche ai non musicisti. Diciamo che forse tra i musicisti si è sentita l’esigenza di riavvicinarsi al pubblico e se vogliamo, perché no, anche di monetizzare un po’ di più.
Le grandi produzioni suggeriscono un uso sempre più intensivo di loop elettronici che a volte vanno a sostituire o a rafforzare il ruolo del batterista. Qual’è secondo te il futuro della batteria in questo dualismo tra acustico ed elettronico ?
I batteristi si stanno adeguando a questo nuovo ruolo, cioè quello di rafforzare le sequenze e di integrarle in un certo senso. Spero davvero che continui ad esserci interazione tra le due cose come in questo periodo. Anche perché la batteria vera è sempre un’altra cosa. Poi dipende sempre dai generi. Nel Rock, nel Jazz, nell’ RnB le batterie spero che saranno sempre vere. Nessun campione programmato ricreerà mai il feeling di Philly Joe Jones.
Nicolò insieme a Roberto Gatto
Con i tuoi progetti musicali Modularmdl e Bear Trip proponi un insieme di jazz e sonorità elettroniche. Come hai maturato questo gusto e cosa puoi dirci di questi progetti ? Come ti poni batteristicamente verso queste sonorità ?
Ho maturato questo gusto partendo dal concetto che mi piace l’effetto “muro di suono” , gli unisoni, gli obbligati e l’effetto che creano. Mi piaceva il carattere improvvisativo del jazz ma allo stesso tempo il groove del Rock, del progressive, dell’elettrico in generale. Ho messo tutto insieme per sbaglio e mi sono ritrovato a suonare in quel modo li. Ho sempre avuto poi la passione per Jojo mayer e per i Nerve e ho così iniziato ad ascoltare producers che componevano la drum n bass. Come Noisia, Free4knc, Liquid drum n bass (dalle sonorità meno dark e più commerciali. Poi ho proposto la cosa ai membri dei vari gruppi (modular e bear trip per quanto riguarda l’elettronica e Jimbo Tribe per il jazz) e piano piano abbiamo iniziato a suonare in quel modo e a scambiarci gli ascolti di riferimento. Ovvio che poi i tuoi gusti vanno sempre mediati con quelli degli altri.
Con i gruppi elettronici, batteristicamente cerco di suonare come se la batteria la stessi scrivendo al pc (sono anche un producer nel mio piccolo) e cerco di creare acusticamente i suoni che sento e che preferisco tra i vari campioni e vst di piattaforme Daw (come Ableton per esempio) e cerco di suonare quindi per la musica in modo che il brano funzioni. Mi lascio spesso guidare anche da chi compone il brano che magari aveva già un’idea di groove e cerchiamo di adattare le mie idee con chi mi propone le sue.
Guardando il tuo set, giochi molto con il concetto di suono. Usi molti asciugamani poggiati sui tamburi, stacks, oggetti poggiati sui tamburi, … Da dove nasce il tuo suono e quanto tempo impieghi alla ricerca del suono ? Per te il suono viene prima della tecnica o và di pari passo ?
Per me il suono è importantissimo: uso molte sordine e preferisco suoni secchi. È stato sempre cosi per me. Nel jazz, prediligo suoni secchi verso l’acuto e negli altri generi suoni secchi verso il grave. Il suono va di pari passo con la tecnica perché un particolare suono influenza il fraseggio. Ovviamente suoni brevi, secchi, portano a fraseggiare in modo più nervoso, più fitto. Al contrario suoni lunghi portano ad avere un fraseggio più arioso e largo. Preferisco il suono secco per come piace suonare a me di mia iniziativa ma se il brano lo richiede utilizzo anche l’esatto contrario.
Mi sono appassionato negli anni alla drum n bass e alla musica elettronica, all’hip hop e cerco di avere suoni simili a quelli delle drum machines. È un lavoro che Zach Danziger, Mark Guiliana, Jojo Mayer fanno già da moltissimi anni. E sono suoni che si prestano a molti stili musicali essendo ibridi. Dal Funk al pop all’even eight e tutto controllando il suono dalle mani.
Poi ovvio ogni stile ha il suo suono specifico ma viaggiare nell’ibrido mi piace molto.
Uso 2 o tre charleston perché nel programmare le batterie questa cosa si fa spesso, l’ho sentita la prima volta ascoltando le batterie programmate da Aphex Twin e ho deciso di imitarlo.
Il mio suono è influenzato dal Jazz, dal metal e dalla musica elettronica. Non è stata una ricerca a tavolino ma il frutto dell’esigenza di utilizzare fraseggi molto stretti. I suoni lunghi non me lo permettevano così andando avanti li ho chiusi sempre di più. Sono riuscito a suonare con una cassa da 18″ con pelle idraulica e chiusissima come se fosse una cassa Dubstep persino al Gregory’s (locale jazz di Roma) in contesti più che tradizionali con puristi del jazz. È stata la prima volta in cui ho creduto che il mio suono poteva funzionare in molti contesti cambiandone solo piccole sfumature senza stravolgerlo del tutto.
Suoni anche altri strumenti e se sì, come questi studi ti aiutano nello sviluppo della batteria ?
Suono un pochino anche il piano, molto male a dir la verità poichè presferisco dare tutto il tempo che ho a disposizione alla batteria. Mi aiuta un po’ con il timing, nel seguire le linee di basso, per capire meglio le strutture dei brani
Duetto in drums: il duetto insieme a Matteo Pieravanti
Il 4 aprile hai suonato insieme a Matteo Pieravanti per la rassegna “Duetto in Drums”. Che ricordi hai di quella serata ? E come hai approcciato i differenti momenti musicali ?
Il 4 aprile mi sono trovato benissimo e ho approcciato al mio solo di 20 minuti in maniera del tutto aleatoria. Non avevo mai fatto un solo di 20 minuti con un pubblico ed è stato pazzesco. Non credevo di poterci riuscire ma credo di essere stato in grado di creare una storia.
È stato bellissimo e l’ambiente conciliava davvero la creatività. Per merito tuo, di Marco e del pubblico che era davvero attento.
Ho cercato di costruire un solo logico, che avesse un senso narrativo. E quando ho suonato con Matteo cercavamo di influenzarci a vicenda creando una sorta di dialogo libero , senza troppe regole pur utilizzando vocabolari e suoni molto diversi. È stata un’esperienza davvero formativa.
Ti sei cimentato anche con un solo di batteria. Che rapporto hai con la solitudine ?
Non sono un appassionato di soli di batteria e odio la solitudine. Quindi anche sul palco di base non mi piace. Sono un animale sociale , se fosse per me non vorrei star solo nemmeno 5 minuti.
I miei ascolti di riferimento sono : Robert Glasper, Mark Guiliana, Brad Mehldau, Tony Royster Jr, Thomas Pridgen, Avishai Cohen, Nate Wood, Tigran Hamasyan, Aphex Twin, Louis Cole, Knower, Bill Stewart, producers vari della drum n bass,Jojo Mayer e molti altri. Ho passato l’infanzia e l’adolescenza ascoltando il Punk Rock, poi il Metal, poi il Jazz (per una decina d’anni) e solo recentemente sono arrivato a questi nuovi ascolti e sono sempre alla ricerca di nuovi gruppi da scoprire.
Il set usato il 4 aprile al B-Folk
Quali sono le caratteristiche che ti colpiscono maggiormente in un musicista ?
Le caratteristiche che mi colpiscono di più in un musicista sono il timing, il groove e la potenza delle melodie che crea sia nei brani che nei soli. Poi ovvio, quanti stimoli musicali propone agli altri musicisti della band.
Quali sono i ragazzi italiani della nuova generazione che segui maggiormente o che prendi a riferimento ?
I musicisti italiani della nuova generazione che seguo di più sono: Seby Burgio, Enrico Morello, Michele Santoleri, Dario Panza, Benjamin Ventura, Davide Savarese, Simone Alessandrini e ovviamente molti altri. Ne sono tantissimi e verrebbe un elenco spropositato dato che a Roma è pieno di ottimi musicisti.
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