Il 2019 è stato un anno pieno di soddisfazioni per Francesco Aprili. Un lungo tour con Giorgio Poi, nuovi progetti che hanno visto la luce e un acclamato tour di masterclass per varie città italiane.
Classe 1991, fantasioso nel drumming e dal suono sempre ricercato, Francesco Aprili è un ragazzo giovane dal grande talento. Tra i musicisti romani più attivi e ricercati negli studi di registrazione, nel 2017 insieme a Stefano Padoan e Fabio Rondanini è stato inserito dal Mei nella shortlist dei migliori batteristi della scena indipendente italiana.
Ciao Francesco, è da poco finito il minitour invernale con Giorgio Poi, uno degli artisti indie più in voga al momento. Cosa vuol dire musica indie specialmente applicata alla batteria ? Secondo te ci sono dei tratti distintivi di questa musica ? Quali sono i batteristi che maggiormente prendi a riferimento in questa proposta musicale ?
Credo che questa “nuova” scena sia in continuo mutamento. Negli ultimi 6/7 anni abbiamo assistito al progressivo affermarsi di progetti solisti e alla conseguente estinzione delle band, che sia esteticamente che come proposta commerciale la facevano da padrone nei primi anni 2000. Va da sé che anche il modo di suonare la batteria in questo genere sia profondamente cambiato. In band come Arctic Monkeys, Bloc Party, Vampire Weekend, la parte di batteria ricopriva un ruolo preponderante nell’arrangiamento della canzone, permettendosi di essere spesso molto eclettica, libera di prendersi molti spazzi. Negli ultimi anni credo sia proprio la visione della batteria all’interno dei brani che è cambiata.
Deve essere tutto organizzato in funzione della melodia, della voce, non che prima non lo fosse, ma ora batteristi come Ben Barter, Matt Johnson, Joey Waronker (solo per citarne alcuni), lavorano prevalentemente su questo, spesso avvalendosi di supporti digitali per rimanere fedeli al disco, ma allo stesso tempo dando il giusto apporto energico che ci si aspetta da un batterista in contesti dal vivo.
A livello di pubblico molti big della musica italiana iniziano a soffrire numeri sempre più bassi ai loro concerti, mentre diversi nuovi artisti della nuova ondata iniziano a farsi prepotentemente largo. Secondo te siamo di fronte ad un cambio generazionale del pubblico musicale ?
Ho la fortuna di conoscere Giorgio e apprezzare la sua musica da molto tempo. Tra il 2012 e il 2014 con il mio primo gruppo, Boxerinclub, ci ritrovammo a fare da apertura ad alcuni concerti a Roma dei Vadoinmessico poi Cairobi, due delle sue precedenti formazioni. Al tempo non abitava in Italia, perciò nonostante la simpatia che nutrivamo reciprocamente, ci perdemmo di vista. Circa quattro anni fa mi scrisse dicendomi che stava per partire con un suono nuovo progetto solista in Italiano, fui ben felice di accettare.
Sei un musicista che apprezzo molto perchè dai grande importanza al suono. Come lavori sui suoni e nella scrittura delle tue parti di batteria ? Preferisci scriverle con qualche software oppure sperimenti in sala di registrazione ?
Grazie, credo che l’unica cosa che davvero possa farti fare un salto in termini di ricerca sonora e creazione delle parti, siano gli ascolti. Forse l’unica cosa di cui vado davvero fiero nella mia vita è la musica che ho ascoltato e quella che ascolto. Saper recepire le informazioni necessarie per poi riutilizzarle a tuo favore in quello che fai è un arte e credo di aver ancora molto da imparare. In studio poi può succedere di tutto, ma è raro che parta da un loop di drum machine o un sample per la scrivere una parte, anche se mi è capitato di farlo; mi diverto spesso ad emulare suoni digitali sulla batteria acustica.
Il resto credo lo faccia la sensibilità che hai nel capire il contesto in cui ti trovi e la canzone che stai suonando.
Musicalmente sei sbocciato a Roma. Questa città come ti ha cresciuto musicalmente ed artisticamente ? A tuo dire, è una città che offre molto oppure pensi che sia difficile emergere in questa città ? Quali pensi che siano le principali difficoltà ?
Questa una domanda tosta! Sì, sono nato e cresciuto a Roma artisticamente, nonostante sia stato fortunato nel fare tante esperienze in giro per l’Italia e all’estero. Credo sia una città che al momento possa offrire tanto a livello nazionale, con tutte le sue difficoltà, ma dopo tutti questi anni sono ancora fermamente convinto che per arrivare al top (a livello musicale) gli Stati Uniti siano ancora la meta, nonostante anche li ci sia una situazione per niente facile. Le difficoltà di questa città sono tante, purtroppo la professione del musicista non è ancora pienamente compresa dalla società, ma i musicisti sono tanti perciò alla fine si riesce a costruire una rete di contatti solida e a trovare situazioni stimolanti; poi a livello logistico è abbastanza comoda per fare i tour.
Oltre che fenomeno nostrano, con Giorgio Poi hai avuto modo di suonare diverse date all’estero. Quali sono le differenze sostanziali tra l’underground nostrano e le realtà degli altri stati ?
Cè tantissima differenza. Credo ormai sia sotto gli occhi di tutti quanto in questo paese si rischia sempre di più di rimanere indietro rispetto altri, nonostante ci siano diversi artisti e realtà che non hanno nulla da invidiare a quelle estere e Giorgio è sicuramente una di queste. Parlando della mia esperienza personale, sono sempre stato piacevolmente colpito dall’attenzione e dall’entusiasmo per il nuovo che si ha fuori dall’Italia che ci si trovi in Belgio, in Francia o negli Stati Uniti.
Oltre che con Giorgio Poi, suoni o hai suonato anche con Motta, Canarie e altri progetti figli dell’underground romano. Che fotografia ci consegni di questo genere in questo momento ? Pensi che sia il principale fermento della musica odierna oppure lo vedi come un fenomeno che si sta spegnendo ?
No tutt’altro, credo sia in pieno sviluppo. Ripensando a una decina di anni fa e a quando iniziai ad appassionarmi di più a questa scena, mi fa molto piacere come alcune delle persone che frequentavo si siano sapute affermare.
Oltre a questi impegni, sei anche artista resident in una jam band. Premesso che non sono un grande amante delle jam session nei locali, qual’è il tuo punto di vista sulle jam odierne ? Sono risposte semplici da organizzare ai buchi di programmazione di una struttura oppure un modo per sperimentare nuove idee sonore ? Nel vostro caso suonate standard e cover oppure “Stacco il 4 e vediamo cosa succede” ?
Entrambi! JAMMIT si svolge, come tante altre jam, passando da un apertura di 4/5 brani (proposti dalla resident band) a una jam aperta, in qui chiunque è libero di salire sul palco e proporre brani originali, cover o semplici improvvisazioni di gruppo. Credo che la jam in
se sia un ottima occasione per confrontarsi apertamente con altri musicisti, fare nuove conoscenze, ma soprattutto divertirsi.
Vedendoti dal vivo con Giorgio Poi mi ha particolarmente colpito il fatto che non suoni particolarmente forte e la cura che metti nel suonare il ride con il palmo rivolto verso l’alto. Come mai queste due scelte stilistiche ?
Nel suoi dischi Giorgio registra praticamente tutto quanto da solo, batteria compresa. Non essendo un batterista convenzionale l’approccio che ha è di conseguenza molto personale, spesso essenziale ma pieno di gusto secondo me. E’ una mia responsabilità mantenere molti degli aspetti che lui stesso ha deciso di evidenziare nelle parti, cercando di dare, come dicevo prima, quel famoso apporto energetico in più che spesso si vuole vedere in un batterista dal vivo. La scelta del palmo in su non so come spiegarla, non è
sempre così, probabilmente in quel momento a livello sonoro mi convinceva di più.
Come accordi i tamburi e come scegli i piatti da usare dal vivo ed in studio ?
Qualche anno fa facevo molta più attenzione a quali pelli utilizzare in studio e quali dal vivo, stessa cosa per i piatti. Nonostante siano due approcci completamente diversi, più o meno ho trovato la quadra, perciò le stesse cose che porto in studio sono spesso quelle che poi utilizzo live. In studio lavoro magari di più sull’accordatura a seconda del pezzo, spesso prediligo piatti più piccoli e brillanti, mentre dal vivo vado su misure più grandi e piatti scuri, cosi da poter avere più volume e controllo.
Ti ho visto spesso alle prese con strumenti vintage. Quali sono a tuo dire le peculiarità principali di strumenti datati piuttosto che le produzioni più moderne ? Cosa ti affascina di questo mondo ?
I pregi che possono avere gli strumenti vintage sono infiniti, sia che si tratti di un pezzo da antiquariato o più semplicemente di una vecchia batteria. Al di là del design, che personalmente preferisco di gran lunga alle finiture moderne, la batteria vintage ha spesso più carattere di una batteria moderna, almeno per la mia idea di suono.
In studio quella cosa spesso ti fa svoltare le rec o quanto meno ti aiuta a fare delle scelte, visto che bene o male la batteria è quasi sempre il primo strumento ad essere registrato. La stessa cosa non si può dire per i live dove una batteria moderna perfettamente funzionante e affidabile può tornarti utile; i continui spostamenti e i cambiamenti climatici delle venue, stresserebbero troppo uno strumento vintage.
Come gestisci il tuo suono e la scelta degli strumenti da usare ? Utilizzi particolari trucchi per l’accordatura ? Ti ho visto suonare con set molto compatti come numero di pezzi. Scelta voluta o più dettata da fattori esterni ?
Essendo cresciuto tra grunge e punk-rock, finendo poi a studiare jazz, non ho mai sentito la necessità di usare altri set al di fuori dei classici “3-piece kit”, salvo l’aggiunta di qualche percussione o raramente di un timpano o un rullante in più. Da grande fan di Mark Giuliana, mi ritrovo molto in quello che dice spesso riguardo questo argomento “Avere un set ridotto sotto mano allena la tua creatività” ed è verissimo.
Non credo di avere particolari trucchi, vado molto ad istinto cercando di seguire il mio gusto. Una cosa che ho trovato molto utile, sia live che in studio, è stato stratificare le pelli dei fusti con moongel, stoffe, piccoli piatti e percussioni o persino con altre pelli, credo sia un approccio molto moderno, spesso funzionale a gestire meglio il volume della superficie e a trovare suoni interessanti.
Cosa rappresenta per te il suono e la sua ricerca ? So che suoni anche altri strumenti, questo come influenza la tua concezione della batteria ?
Negli anni ho imparato a mettere il suono al primo posto. Ascoltare tantissima musica diversa, vecchia e nuova, mi ha fatto capire quanto sia ampio il ventaglio sonoro della batteria e quanto sia importante conoscerlo per avere una propria voce su questo strumento. Credo sia un processo di assimilazione abbastanza inconsapevole, ma che nel momento del bisogno ti torna sempre utile, che tu stia lavorando ad un disco in studio di registrazione o magari a delle prove per un live. Saper suonare decentemente un altro strumento (nel mio caso il pianoforte) non fa altro che amplificare la tua voglia di ricerca, ma sopratutto ti mette nelle condizioni di prendere parte attivamente all’ arrangiamento, qualora si presentasse l’occasione.
A fine dello scorso anno hai iniziato anche ad essere ospitato per delle masterclass. Come sono andate ? Su quali punti hai voluto soffermarti ? Come hai strutturato i tuoi incontri ? Hai altri incontro prossimamente ?
E’ nato tutto piacevolmente per caso in realtà. Un mio amico, di nome Vincenzo Guerra, gestisce diversi corsi in alcune scuole di musica di Bari. Visto che mi trovavo da quelle parti per dei concerti con Giorgio Poi, mi ha proposto di tenere una Masterclass all’Officine delle Esordi (quale posto migliore) dandomi carta bianca su argomenti e tutto il resto. Dal nulla mi sono ritrovato a dover analizzare a fondo il mio lavoro e a dover trovare il modo di presentarlo ad altre persone in maniera più tosto ordinata e professionale. Ne è scaturita una Masterclass incentrata sul ruolo del batterista nel cantautorato contemporaneo, riportando quella che è la mia esperienza in merito a scrittura, arrangiamento, preparazione di più repertori, scelta dei suoni sia live che in studio senza tralasciare alcuni dei miei esercizi preferiti, che nel corso degli anni ho personalizzato, propedeutici alla cura di timing e indipendenza. C’è anche spazio per l’esecuzione di 5 pezzi che contraddistinguono “i capitoli” di questa masterclass.
A Bari sono seguite Torino e Milano, in programma nei prossimi mesi ci sono Roma e Bologna. Oltre ad essere felicissimo per il riscontro e per la partecipazione che hanno avuto questi incontri, la cosa che mi ha fatto piacere è stato vedere molti non batteristi fra i presenti, segno che l’argomento sia prima di tutto di natura artistica, musicale e non prettamente batteristico.
Ho organizzato in passato diversi eventi didattici e molto spesso mi sentivo dire a risposta “che tutto quello che bisognava dire sullo strumento è stato già detto” oppure che è tutto facilmente fruibile su Internet e quindi difficilmente la gente è disposta ad uscire di casa per una lezione che potrebbe avere seduto da casa. Secondo te clinic e masterclass hanno ancora un valore oppure sono format che sono giunti al tramonto ?
Assolutamente no, nulla potrà mai sostituire le testimonianze dirette e i consigli di musicisti esperti, senza contare la bellezza di assistere ad una live performance.
Youtube come altre piattaforme da la possibilità alle nuove generazioni di arrivare a pressoché qualsiasi informazione in pochi secondi e questo è sicuramente affascinante, ma allo stesso tempo rischioso in quanto non ci da la possibilità di “sudarci” le cose che vogliamo scoprire, ma credo che alla fine sia solo una questione di maturità.
A livello musicale il lento declino delle etichette discografiche ha favorito lo sbocciare di molti progetti indipendenti e autoprodotti. L’autoproduzione è secondo te il futuro di ogni musicista e progetto musicale ? In quale maniera hai investito su di te ?
Devo dire che io ho iniziato a muovere i primi passi in un periodo dove le etichette indipendenti cominciavano ad avere grande seguito, su tutte Bomba Dischi, che negli anni ha saputo inserirsi perfettamente nel mercato discografico Italiano e non solo. Spero in futuro di veder nascere altre realtà come quella, perché almeno nel mio caso, si è rivelata essere un’ occasione di crescere insieme a persone stupende, piene di idee e voglia di fare.
Con lo sviluppo della tecnologia unita all’attuale richiesta di mercato, tempi più frenetici riguardanti la produzione e budget sempre più ridotti, in molti scommettono che la figura del turnista andrà via via scomparendo. Te che idea ti sei fatto in materia ?
Nonostante il netto ridimensionamento dei budget e della mole di lavoro in generale rispetto agli anni 60/70/80, non credo che la figura del turnista si estinguerà mai, sopratutto per quanto riguarda la batteria. E’ troppo bello sentire una batteria vera suonata bene in alcuni dischi o più semplicemente vedere un batterista all’opera in un live, sono cose a cui alcuni addetti ai lavori ancora prestano molta attenzione, sta ad ogni persona che si avvicina a questo mondo cercare di essere duttile e non smettere mai di imparare.
C’è stato un momento in cui hai pensato “Ok, ora sono un professionista” oppure pensi che sia ancora lontano quel giorno ?
Non c’è ancora stato sicuramente un giorno o un momento preciso, ma credo che essere un professionista voglia dire rispettare profondamente il proprio lavoro e arrivare a fine giornata con la consapevolezza di aver dato il massimo per raggiungere un obbiettivo.
Ho iniziato a studiare batteria privatamente a 12 anni con Roberto Pirami. Al liceo ho cominciato a prendere lezioni custom al St. Louis di Roma da Gianni di Renzo, appena finito il liceo mi sono iscritto al corso di diploma in batteria Jazz studiando (oltre che con Gianni) con Claudio Matracci, Daniele Chiantese, Giovanni Imparato e Roberto Gatto. Al di fuori di questo ho partecipato ai seminari estivi di Berklee a Umbria Jazz nel 2012. L’anno scorso sono stato a Los Angeles per alcune date con Giorgio Poi e con la scusa ho preso lezioni con Joe La Barbera (Bill Evans, Rosario Giuliani, Eddie Gomez) e Matt Johnson (JeffBuckley, St.Vincent). La cosa da cui sono più ispirato al momento, sono i lavori in studio.
Com’è stato e su cosa ti sei focalizzato nello studiare con Matt Johnson ?
Aver avuto la possibilità di passare del tempo a stretto contatto con un batterista come lui per me è stato davvero impagabile, premesso che è uno dei miei idoli . Mi ritrovo tantissimo nella sua visione dello strumento e del lavoro in generale. Oltre ad essere un dei batteristi alternative-rock più fichi di sempre, con gli anni ha saputo modificare il suo stile focalizzandosi molto sull’elettronica e sicuramente questo è stato uno degli argomenti principali delle nostre lezioni, concentrandoci molto sulla scelta dei suoni acustici e come farli dialogare con gli elementi digitali. La posizione e la scelta dei microfoni è stato un altro argomento ampiamente trattato, ma a livello didattico mi ha fatto scoprire un modo tutto nuovo di concepire i displacements. Una delle prime domande che gli ho fatto (da puro fan) è stata cercare di spiegarmi come riusciva a creare fill sempre nuovi: per chi lo ha visto con St. Vincent, ad un certo punto della canzone tira fuori quasi sempre un fill stupendo, apparentemente complicato ma sempre molto musicale. Quindine e Sestine sono sicuramente le suddivisioni più utilizzate. La stessa frase con la sua annessa sequenza di accenti, ogni volta si presenta spostata di un sedicesimo. Il grafico con l’esercizio è su un I Pad illuminato e gli accenti sono di colore diverso rispetto alla note non accentate. E’ interessante vedere come nelle colonne gli accenti formino delle diagonali. Matt sostiene che ad un certo punto dello studio di questo materiale si presti attenzione solo a queste diagonali, spostando la frase iniziale in qualsiasi punto della battuta senza pensare alla frase in se, ma solo alla pulsazione all’interno della quale si vorrà far apparire questa frase e la sua conseguente manipolazione.
Sei un maestro di batteria. Quali valori cerchi di dare ai tuoi allievi ? Quali metodi consigli e come i tuoi maestri ti hanno influenzato in questo tuo lavoro ?
Non l’ho mai fatto a tempo pieno, ma cerco di dire le cose come stanno e far si che la testa dell’allievo giri, senza influenzarlo troppo. Tutti i miei maestri mi hanno insegnato che il lavoro duro è l’unica cosa che conta, non ci sono scorciatoie.
Insegni anche a ragazzi giovani. Cosa noti nelle nuove generazioni e nel loro approccio alla musica ? Che mondo musicale pensi che si troveranno ad affrontare quando inizieranno a suonare in giro ?
Più si va avanti più le nuove generazioni sono esposte alla tecnologia e questo li rende molto più intelligenti e svegli di chi gli sta dietro. Proprio per questo tentano sempre di arrivare alla soluzione facendo meno sforzo possibile, escogitando vie alternative. Un pizzico di vecchie maniere però non guasta mai.
Devo tutto al mio papà che nonostante non sia un batterista, bensì un chitarrista e grandissimo appassionato di musica, a 10 anni mi regalò una chitarra 3/4 per il mio compleanno. La prima cosa che feci fu girarla e cominciare percuoterla con tutta la mia forza.. il giorno dopo si presentò con un pad e due bacchette, che ancora custodisco.
Frank Zappa diceva che “senza deviazioni dalla norma non c’è progresso”. Batteristicamente e nella vita quotidiana quali scelte hai fatto per deviare dalla norma ? Quanto conta per te progredire ?
Conta tantissimo, nel mio piccolo cerco di farlo ogni giorno. Ascoltare tanta musica e cercare di personalizzare ogni cosa sullo strumento, dagli esercizi base alla creazione delle parti, cercando di arrivare a soluzioni efficaci e non convenzionali.
Ci sono mai stati momenti in cui volevi lasciar perdere ?
La scorsa volta parlando con Nicolò Di Caro, parlavamo della generazione che ha visto cambiare il modo di avvicinarsi alla musica. Ora molta informazione passa attraverso i social e Youtube, mentre una volta si andavano a scoprire i musicisti guardandoli da vivo. Com’è il tuo approccio verso questa nuova tendenza ?
Credo sia un cambiamento naturale e inevitabile, io provo a contenermi dal postare quotidianamente contenuti sui social o su YouTube, non per essere snob o altro, bensì per selezionare severamente quello che la gente vede della mia professione.
La curo abbastanza poco devo dire: posto quando ne ho voglia e quando sono al lavoro. Al di fuori di questo mi muovo poco devo dire e mi va bene così.
Ti vorrei chiedere qualcosa riguardante la parte più lavorativa di questo lavoro. Come elabori il tuo cachet rispetto al lavoro proposto ? C’è sempre trasparenza in questo mondo oppure talvolta ti sei sentito sfruttato ?
L’elaborazione del cachet e le modalità di pagamento cambiano di progetto in progetto. Spero in un futuro di essere abbastanza grande da potermi permettere un manager, perché questa è davvero la parte più scomoda del lavoro ahahah. Non solo mi ci sono sentito, SONO STATO sfruttato, ma ho sempre cercato di non farlo invano.
Ai giorni odierni si può vivere di sola musica ? Che consigli daresti a qualcuno che oggi vuole fare della musica la propria professione ?
Sì si può, ma è difficile e bisogna sapersi sacrificare e fare le scelte giuste. Prendete tutto all’inizio, suonate con chiunque, siate umili, impegnatevi e qualcosa di buono ne uscirà.
Sei te in prima persona che ricerchi nuove collaborazioni oppure aspetti che le occasioni si presentino da sole ?
I batteristi che seguo di più in questo periodo sono: Aron Sterling, Ben Barter, Matt Johnson, Chris Dave, Mark Giuliana, Carter McLean, Steve Jordan, Ian Chang, Joey Waronker, JD Beck, Marcus Gilmore, Danny Carey, Dafnis Prieto, Mark Colenbourg, Justin Tayson, Devon Taylor, Ash Soan, Paul Mabury, Justin Brown, Thomas Hedlund, Louis Cole, Zach Danziger, Andrew Marshall, Amir Bresle, Deantoni Parks, Questlove, Roy O’Connor, Brian Fraiser-Moore, Tony Allen, Kandrick Scott, Nate Wood.
In Italia ci sono tantissimi nuovi talenti e alcuni di loro ho la fortuna di poterli chiamare amici: Davide Savarese, Alberto Paone, Piero Perelli, Jacopo Volpe, Vincenzo Guerra, Dalila Murano, Dario Panza, Lorenzo Lupi, Filippo Cornaglia, Cesare Petulicchio, Simone Ciarocchi, Daniel Plentz, Davide Fabrizio, Ricky Quagliato, Domenico Migliaccio, Stefano Palumbo, Alessio Crespi, Andrea Diverso, Marcello Piccinini, Milo Isgrò e Marco Frattini.
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