Giunti alla diciottesima edizione della sua fortunata serie, il programma “Amici di Maria De Filippi” è tornato a servirsi di un’orchestra per accompagnare le performance. Il batterista dell’orchestra di Amici è Davide Savarese, un giovanissimo ragazzo che da molto tempo è sulla bocca di tutti gli addetti ai lavori.
Davide Savarese (classe 1993), polistrumentista campano ed autentico funambolo in grado di spaziare in generi molto differenti tra loro, ma sempre mantenendo una grandissima proprietà di linguaggio. Lo troviamo impegnato in innumerevoli progetti che hanno avuto il pieno plauso della critica tra cui emergono il suo lavoro con i Dumbo Station e Laterath, ma numerose sono anche le collaborazioni che lo vedono affiancato a nomi come Lorenzo Feliciati, Rocco Papaleo, Davide Shorty,Orchestra di piazza Vittorio e molti altri ancora, oltre ad aver suonato per delle masterclass insieme a dei mostri sacri della chitarra come Paul Gilbert e ScottHenderson.
Come osservato da Riziero Bixio, recentemente si sta assistendo ad un momento in cui le “buche” degli spettacoli teatrali stanno tornando ad essere occupate dalle orchestre, dopo anni in cui per ragioni di budget, erano state messe in secondo piano dalla presenza di basi preregistrate. Anche in tv si sta verificando la stessa situazione, difatti se da diversi anni troviamo orchestre che suonano dal vivo in trasmissioni di successo marchiate Rai come The Voice of Italy (Phil Mer alla batteria), Ballando con le stelle (Mauro Parma alla batteria e Peppe Stefanelli alle percussioni), Domenica In (Claudio Mastracci alla batteria e Bruno Biriaco alla direzione), Ora o mai più (Tommaso Sansonetti alle percussioni) in quest’ultima stagione si è aggiunta anche Amici di Maria De Filippi. Il nostro auspicio è che questo trend possa crescere sempre più.
Da questa analisi siamo partiti per analizzare ed approfondire la conoscenza di un batterista molto interessante e dal grande avvenire. Sulla sua pelle la testimonianza di un’Italia che cambia. Disponibile e molto cordiale, dal sorriso sempre presente e dalla battuta sempre pronta, Davide Savarese rappresenta un batterista unico nel suo genere ed una fortunata anomalia della scena batteristica italiana che lo vede musicista poliedrico dal linguaggio completo e sterminato nelle applicazioni, oltre che uno degli astri nascenti dal futuro tutto da scrivere, ma dalla grande consapevolezza dei propri mezzi e da una raggiunta maturità sia stilistica che di pensiero a soli 26 anni.
Suonare in tanti stili musicali differenti : dai Dumbo Station ai Laterath
Ciao Davide, ti ritengo un batterista estremamente interessante per il tuo estremo eclettismo. Difatti sei uno dei pochi batteristi che riesco a trovare in più contesti musicali ed in tutte queste situazioni sei sempre a tuo agio. Ti trovo suonare prog metal con i Laterath, un neo soul contaminato con il jazz con i Dumbo Station, world music con l’Orchestra di Piazza Vittorio, jazz sperimentale con Feliciati, accompagni gli spettacoli di Rocco Papaleo, rap con Davide Shorty ed addirittura come cantante nei Ingranaggi della valle e nell’ultimo album dei La Batteria. Come sei riuscito a raggiungere questo risultato ?
Ciao Valerio, innanzitutto grazie mille per questa intervista, senza troppe parole sdolcinate, per me significa molto 🙂
Non credo che sia qualcosa a cui sono arrivato, non ho mai detto con coscienza a me stesso “ok, faccio questo perché mi riesce meglio di questo e lascio perdere queste altre cose che mi riescono meno” piuttosto che “devo fare tutto e bene”. Mi piace l’idea di potermi confrontare con più generi, sensazioni e punti di vista possibili, non so se ciò è dovuto più al fatto che mi sento ancora in una fase di profonda esplorazione e prima conoscenza del mio pensiero musicale, o alla sfrontatezza con cui a volte affronto cose molto lontane da quello che abitualmente ho fatto fino a quel determinato momento.
Sono abbastanza convinto che spesso musicisti anche molto bravi si tirino degli autogol da soli autoponendosi dei limiti (che in realtà non hanno) circa quello che possono o non possono suonare. Mi fa impazzire l’idea di poter trasferire la stessa idea di linguaggio in più contesti, lo vedo un po’ come quelle straordinarie persone poliglotte che riescono ad avere sempre la stessa impronta espressivo-grammaticale in più lingue che differiscono molto tra loro in termini di sviluppo del pensiero. È un tipo di confidenza col linguaggio musicale che vorrei poter avere un giorno.
So che suoni molto bene anche altri strumenti, oltre a rivestire il ruolo di cantante. E’ la batteria lo strumento che ti permette di esprimerti meglio oppure la tua espressione artistica è derivante da altri strumenti o da ciò che ti circonda ? Cosa rappresenta per te la batteria ?
Suono molto bene purtroppo solo la batteria, anche se molte persone pensano che sia anche un pianista. La batteria mi permette di esprimermi al 100% rispetto al pianoforte o al canto, tuttavia quando cerco di comporre, lo faccio quasi sempre sul pianoforte, che adoro. Il pianoforte è stato il mio primo strumento, molto prima della batteria, iniziai a strimpellarlo ad 8 anni seguendo mia sorella che lo studiava da piccola, e questo amore dura tuttora. Cercherò di ritagliarmi del tempo per approfondirne la conoscenza e la padronanza. Vorrei poter esprimermi, se non come avviene con la batteria, ad un livello simile.
Tornando alla batteria, se dovessi chiudere gli occhi e dire la prima cosa che vedo quando penso a lei, direi: terra. Intendo il terreno dei campi, arido, umido o fangoso che sia; sento che la batteria permette a tutti di potersi connettere a qualcosa di profondamente puro ed unico con consapevolezza tremendamente logica, un po’ come
l ‘appercezione delle monadi di Leibniz ahahahah
Stilisticamente, preferisci lavorare in un’orchestra o in una band di pochi elementi ? Il tuo drumming come muta a differenza di queste situazioni ?
Non lo so, mi piacciono entrambe le cose, ti risponderei a periodi: a tratti adoro il blu, a tratti il verde.
Ovviamente, in una band di pochi elementi, a seconda del discorso musicale in atto, avrò un linguaggio più o meno libero, più o meno frenetico. Sicuramente, sempre più frenetico e più libero che in orchestra, questo sì!
Alla fine però cerco sempre di essere coerente con la mia idea di suono e di interpretazione. È bellissimo quando riesci a farti riconoscere dal suono, prima che da nome e cognome.
Il suono di Davide Savarese
Suonando molti stili differenti, come muti i suoni che utilizzerai ? Hai qualcosa che ritieni essere la tua firma sonora per cui qualcuno ti può facilmente riconoscere ? Cosa rappresenta per te il suono ?
Cerco di mantenere più suoni possibili in comune tra i vari progetti, anche se molto distanti tra loro. Alcuni tentativi sono falliti, altri invece si sono rivelati delle ottime trovate. Stando sempre al famoso SECONDO ME.
La tua domanda sulla firma sonora mi fa pensare al ride di Paul Wertico, una delle cose che adoro di più e per cui sicuramente lui viene riconosciuto in tutto il mondo. Mi piacerebbe avere un giorno una “firma”del genere. Qualcosa che lasci un segno così grande. Per quanto riguarda il suono, è una cura. Per tutto quanto.
Negli ultimi anni l’elettronica sta avendo sempre più voce in capitolo nel mondo batteristico. Com’è il tuo rapporto con l’elettronica ? L’;elettronica t’ispira in qualche maniera la scrittura dei tuoi groove di batteria ?
Da circa un anno e mezzo ho iniziato ad inserire nel set acustico qualche elemento elettronico. Tra pad e trigger. Li uso sempre di più e mi rendo conto che a volte, nel processo di composizione di alcuni groove, più che ispirare una scintilla di partenza, condizionano un focolare che si stava già alimentando. Il più delle volte ho questa sensazione. Comunque, il set ibrido sicuramente è di quanto più contemporaneo stia accadendo un po’ in giro. Mi piacerebbe approfondire il discorso trigger/visuals come concepito da Zach Danziger, è sulla mia lista di cose da fare.
Dal vivo spesso usi un piatto tagliato, com’è nato quel piatto ? Usi elementi del sound neo-soul (percussioni sopra ai piatti, rullante accordati molto bassi) anche nella musica metal-prog proposta dai Laterath. E’ un tuo tentativo di mettere una firma sonora in questa musica oppure è un qualcosa che ti è stata ispirata da altri musicisti ?
La storia del piatto tagliato mi fa sorridere perché si tratta di un vecchio crash della Ufip che si ruppe dopo soltanto un mese dall’acquisto. Il piatto non aveva presentato crepe prima della rottura improvvisa, quando tutta la struttura attorno la zona della campana cadde rovinosamente. La cosa mi fece talmente ridere che decisi di non buttarlo. Ora lo appendo alla buona su qualche crash, ogni tanto, lo adoro.
Si, ascoltando anche parecchio soul e neo soul e batteristi come Mark Colenburg, Karriem Riggins, Corey Fonville ed Eric Harland, sono molto vicino a quel tipo di sound, mi piacciono i rullanti in stile Bauli 🙂 e faccio largo uso dei piatti e campane sulle pelli.
Con i Laterath ho usato un paio di questi elementi in passato due o tre volte come tentativo sonoro, prima della registrazione dell’ep “Anemone”abbiamo sperimentato qualche cosa del genere riguardo il drumset.
Essere un batterista a Roma : percorso didattico e underground romano
Sei uno dei batteristi più attivi della scena romana e non solo. Cosa ha rappresentato per te trasferirti a Roma ?
Il mio paese natale è Sapri, una piccola città vicino Salerno, ma vivo poco distante da la, a Villamare per la precisione. Il trasferimento a Roma è stato per me venire a conoscenza di un’altra maniera di vivere la vita, i ritmi frenetici di una grande città e le piccole distanze in tempi biblici che ti spiazzano quando arrivi da un paese di 3500 abitanti circa , sono stati il più grande muro nei primi anni.
Al di là dell’odi et amo che credo ogni cittadino romano affronta, non potevo trovare di meglio. Grazie ai miei genitori ho potuto frequentare il Saint Louis College e conoscere tanti professori e musicisti incredibili. Per i primi anni l’ambiente accademico era preponderante nella mia vita, e al di là dello studio andavo a molti concerti desideroso di vivere la vita musicale romana, che è composta da tantissime realtà davvero interessanti, ed assorbire più cose possibili; poi dal 2015 ho iniziato a suonare sempre più frequentemente e conoscere un altro bellissimo aspetto del lavoro del musicista: viaggiare. Cosa che adoro. Roma per me è un po’ come una seconda madre, che mi ha permesso e tuttora mi permette di crescere in un ambito che è diventato il mio lavoro, e di viverlo come altrimenti non potrei se fossi rimasto o se dovessi tornare stabilmente nel mio paese natale… che tuttavia ha tanti altri pro 🙂
Alla scuola Saint Louis ho studiato con Daniele Pomo e Francesco Basile strumento, ed altri corsi riguardanti sempre la batteria con Davide Piscopo, Daniele Chiantese,Claudio Mastracci e Gianni di Renzo. Altri docenti con cui ho studiato sono Antonio Solimene, Pierpaolo Principato, Claudio Ricci, Luigi Zaccheo, Alberto Recchia, Dario Zeno e Stefano Sabatini.
Sulla sua pelle il racconto di un’Italia che cambia : essere un batterista multietnico
Mi sono avvicinato alla batteria grazie ad un annuncio di lezioni date da Max Magaldi, straordinario musicista nonché mio primo insegnante, e grazie a mia sorella Samantha che, assecondando questa mia “voglia” e volendo, insieme a mia madre, evitare che continuassi a sbattere le mani su tavoli o materassi, spese alcuni suoi risparmi per
regalarmi un set per il mio 14esimo compleanno. Non la ringrazierò mai abbastanza!
La tua è una famiglia multietnica, questa caratteristica ha avuto delle influenze sulla tua musica ?
Mia madre e mia sorella più grande, Zenab, avevano l’abitudine di ascoltare tantissima musica reggae quando ero piccolo, così come mettermi a conoscenza di tanti gruppi africani della Guinea e del Mali. Ma al di là dell’ascolto, nella fase del mio trasferimento a Roma dopo il liceo, la provenienza etnica di mia madre si rivelò quasi un ostacolo: nella sua etnia, tra persone della sua generazione, una delle ultime ad aver vissuto sulla propria pelle il colonialismo francese, i percussionisti in genere erano visti in maniera completamente diversa a come sono visti oggi dalle generazioni più giovani, una maniera non esattamente positiva, cosa che inizialmente non faceva stare tranquilla lei e, di conseguenza, me.
Puoi parlarci della tua esperienza con l’Orchestra di Piazza Vittorio ? Avete suonato anche in Africa, terra dove nascono alcuni dei ritmi più affascinanti in assoluto. Sei riuscito a carpire qualcosa della musica africana in questa esperienza ?
Purtroppo no, i tempi abbastanza stretti non ci hanno permesso di entrare in contatto in modo significativo con una profonda cultura musicale come quella senegalese.
Tuttavia due dei componenti dell’orchestra di piazza Vittorio sono del Senegal, e da loro ho avuto modo di capirne qualcosa di più della loro cultura, che per altro è molto vicina a quella di mia madre.
Per l’esperienza con Piazza Vittorio devo ringraziare su tutti Emanuele Bultrini (chitarrista dell’Orchestra di Piazza Vittorio) che mi ha inizialmente segnalato al direttore Mario Tronco per sostituire Ernesto Lopez Maturell (percussionista e batterista cubano formidabile che in questi anni è spesso in tour con Laura Pausini) e Pino Pecorelli.
La mia presenza nell’orchestra è nata da sostituto ma ormai la considero una famiglia a tutti gli effetti. Ho stretto un legame profondo con molti di loro ed è l’esperienza musicale che più mi ha turbato e smosso positivamente parlando.
Si affrontano generi molto diversi tra loro grazie alla provenienza variegata dei componenti: dall’Ecuador, all’Argentina, al Senegal, a Cuba, alla Tunisia, all’Italia. Mette molto alla prova la propria competenza e preparazione, davvero molto stimolante. Il direttore ama dire che “mischiare culture produce bellezza” ed ha maledettamente ragione! Grazie a loro ho anche avuto modo di approcciarmi all’opera, seppur sempre alla maniera OPV, in virtù di riarrangiamenti in chiave multistilistica.
Il lavoro come batterista per l’orchestra del programma Amici
Ora stai collaborando con l’orchestra del programma televisivo Amici. Che emozione si prova a suonare in diretta tv sapendo che ti seguono milioni di persone ? Come sei arrivato a questo traguardo ? Come ti prepari prima di una trasmissione?
È un grande onore farne parte. È stata messa in piedi da Celso Valli, uno dei più grandi produttori ed arrangiatori della musica italiana, e per questo esser parte dell’organico è per me motivo di grande emozione ed orgoglio. Sono stato scelto a seguito di un’audizione svoltasi a Bologna alla Fonoprint.
Prima della primissima diretta un po’ di ansia si è fatta sentire, ma quando si suona, si suona e basta. Lì svanisce tutta la componente ansiogena e subentrano l’euforia, la concentrazione e la voglia di far bene. Ovviamente in questo contesto l’aspetto creativo ed istintivo assumono dei connotati ed un’importanza molto diversi rispetto ad altri frangenti più da band o ad un certo tipo di turnismo. Lo spazio creativo si riduce notevolmente, di contro pesa molto la preparazione in quanto a conoscenza di stili diversi, gestire l’accordatura ed il suono dello strumento in un contesto particolare come quello televisivo in cui il tuo ascolto è diverso dall’ascolto che hai in studio che è a sua volta diverso dall’ascolto della messa in onda. Non hai il tempo di prendere le dovute misure e la confidenza con l’ambiente fisico, la stanza in cui ti trovi a suonare (in questo caso, una specie di anfiteatro, ma con delle riflessioni di suono non troppo simpatiche). A mio avviso sviluppare una certa sinergia col direttore e con tutti gli altri elementi dell’orchestra è fondamentale perché il margine di errore è, se non microscopico, inesistente. La preparazione prima di ogni puntata è sempre la stessa: oltre ad un ripasso delle parti, tante risate coi compagni (l’atmosfera in orchestra è molto bella e divertente, a suo modo ognuno di noi è un simpatico giullare), e dulcis in fundo il caro vecchio amico “real feel”. I picchiatori di pentole sapranno che non mi riferisco a quelli della Durex 🙂
La notizia che Amici si sarebbe servita di un’orchestra mi ha rallegrato. Prendendo a spunto una riflessione fatta da Riziero Bixio qualche tempo fa, questa notizia conferma un trend di rinascita delle orchestre dopo che anche negli spettacoli teatrali si è tornati ad avere i musicisti nella buca. Per te questo può essere un segnale che proseguirà nel tempo oppure è un qualcosa più legato a singoli episodi ?
Mi auguro sia un segnale positivo per il futuro di giovani musicisti, di chi ama la musica e l’arte in generale.
Tuttavia ogni episodio è un’unicità; si fanno tanti discorsi riguardo i budget di cui dispongono le produzioni che costringono/vengono costrette spesso a tagli parziali se non addirittura totali di organici, a revisionamenti e stravolgimenti logistici… non dev’essere proprio una passeggiata per chi se ne occupa. Forse un po’ troppo in buona
fede, sono convinto che ci siano tanti addetti di produzione che hanno a cuore un certo livello artistico ed espressivo, una determinata qualità del prodotto musicale, di ciò che si da al pubblico, aspetti che spesso non possono tenere in considerazione per via di una coperta troppo corta, di budget che mutano o che di partenza scarseggiano per via
di chissà quali e quante motivazioni.
Oggi più che mai, nulla che abbia a che fare con l’arte può prescindere da un certo ed estenuante discorso economico.
Ma è anche la tecnologia a disposizione in questo periodo storico che fa danni laddove l’economia al contrario non risulta una fiera, una divoratrice di speranze.
Com’è composto il kit che usi ad Amici e come cambia il kit a seconda dei generi che suoni ?
Il set che uso ad Amici inizialmente era pensato per essere più grande e comprendente più elementi, ma durante l’allestimento i tecnici hanno avuto necessità di ridimensionarlo, ahimè, ed ecco che la tecnologia viene in soccorso, dato che parecchie cose (altri rullanti, timpani di dimensioni più grandi, chimes, oltre tutto ciò che è di
natura più prodotta ed elettronica) le ho assegnate all’spd sx o ai vari tm2 per motivi di spazio.
Sto usando una Yamaha Absolute Hybrid con queste misure:
Tom 12”x8” , timpano 16”x15”, cassa 22”x18” e rullante Ludwig Black Beauty14”x6.5”
Più trigger su rullante e cassa per vari tipi di ambienti e riverberi, 3 Roland tm2 ed il Roland spd sx, al quale assegno un Roland KT-10 in caso di necessità di particolari arrangiamenti.
I piatti da sinistra a destra sono:
Hi hat 14” Zildjian K special dry custom, Splash 10” Paiste pst 5, Crash 16” Zildjian K sweet, Ride 22” Zildjian Kerope
Crash 17” Dream bliss, Crash 18” Zildjian K special dry
La scorsa volta parlando con Nicolò Di Caro, parlavamo della vostra/nostra generazione che ha visto cambiare il modo di avvicinarsi alla musica. Ora molta informazione passa attraverso i social e Youtube, mentre una volta si andavano a scoprire i musicisti guardandoli da vivo. Com’è il tuo approccio verso questa nuova tendenza ?
Una tavolata con alcuni dei più promettenti batteristi romani
Beh, quella che definisci “nuova” tendenza per me ha costituito l’unico approccio, almeno fino ai miei 20 anni, quando mi sono trasferito. Per certi versi, posso dire di ascoltare spesso musica dal vivo soltanto da 5 anni. Prima di venire a Roma, forse avevo visto 4 concerti in vent’anni.
Tuttavia, so che faccio parte di una generazione fortunata, una delle ultime che può definirsi a cavallo tra un “vecchiomanontroppo” modo di scoprire musica e musicisti (riviste, cassette di cui le mie due sorelle sono state grandi posseditrici, dischi e libretti che non si vedeva l’ora di sfogliare mentre gustavi il primo ascolto dell’album in
questone, col cuore in gola) ed un nuovo approccio, più legato al video e all’uso dei social.
Di musica dal vivo prima del 2009, anno in cui andai a vedere il mio primo concerto, Tiziano Ferro ad Agropoli, con un mostruoso Mylious Johnson alla batteria, non posso darti un parere adeguato, per niente. Alcuni miei colleghi più grandi mi hanno spesso detto che nel primo decennio degli anni duemila si è avuto il periodo più buio per la
musica dal vivo, forse già dalla fine degli anni ‘90 sostenevano altri ancora. Io non saprei dirti nulla a riguardo.
Ma posso dirti che da 5 o 6 anni a questa parte di musica dal vivo ne sto godendo tantissimo 🙂
Una delle prime volte che ti ho visto dal vivo, suonavi con Lorenzo Feliciati e Alessandro Gwiss. Una delle cose che pensavo è che fosse incredibile che un ragazzo così giovane suonasse con due grandi musicisti dal curriculum stellare come loro. Come ti trovi a suonare con persone molto più grandi di te ? Questa cosa ti mette in soggezione ? Riesci sempre ad esprimerti al meglio in queste occasioni ?
All’inizio, quando Lorenzo mi chiamò per coinvolgermi nel suo progetto onestamente mi tremavano le gambe. Sapevo che si trattava di cose che non avevo mai avuto modo di sperimentare, per di più ad una profondità alla quale si muovono musicisti con l’esperienza di Alessandro o di Lorenzo. Profondità data da tante cose che vanno oltre la preparazione tecnica.
Alla fine si tratta soltanto di esprimere me stesso, al meglio che posso, di dialogare con gli altri musicisti e di creare un filo logico quantomeno interessante, con quello che ho a disposizione in quel momento. Di interazione e di intuizione. A volte viene meglio, altre volte meno. Ogni volta è unica.
Lavorare con loro è sempre stato entusiasmante, sia Lorenzo che Alessandro sono due persone che mettono sempre tutto il loro essere in quello che fanno, con grande umanità e professionalità. Quando Lorenzo mi ha richiamato per esserci anche sul suo “Elevator Man”, è stata una gioia enorme. Su quel disco ci sono batteristi come Chad Wackerman, Davide Pettirossi, Gianluca Palmieri, Roberto Gualdi e Gianni di Renzo. Veri e propri drums heroes.
Ale e Lorenzo mi hanno aiutato a crescere molto di più, anche con qualche giusto rimprovero in stile padre-figlio 🙂
Sei te in prima persona che ricerchi nuove collaborazioni oppure aspetti che le occasioni si presentino da sole ?
Ad eccezione di due band e qualche progetto che sta per nascere in questo periodo ma che è ancora in fase embrionale, posso dire che le cose mi sono sempre capitate, mi è sempre arrivata una chiamata da parte di qualcuno. I primi tempi avevo enorme difficoltà nel dire di no, non lo dicevo mai in realtà, e alcuni miei amici cercavano di farmi capire che, se da una parte fosse bello essere richiesti, dall’altra il rischio è di ritrovarsi con poco spazio da dedicare ad altro, che siano altre passioni, altre mansioni o affetti. Sto cercando di dire qualche no in più, anche a costo di perdere qualche occasione stimolante e carina, e di vivere in maniera più equilibrata. Questo anche grazie al fatto che posso contare su un aumento dei cachet in questi ultimi due anni,fortunatamente.
Se prima le collaborazioni avvenivano solo a livello locale, ora si ha la possibilità di registrare e collaborare anche a distanza. A te è mai capitato ? Allargandosi le possibilità, si allarga anche la concorrenza. Perché qualcuno dovrebbe scegliere te come batterista di un progetto ? Cosa pensi che ti possa rendere unico ?
Registrare a distanza, se ricordo bene, una sola volta finora, ed è una cosa magnifica. Le possibilità che si hanno oggi in registrazione sono davvero una marea.
Quello che ti dicevo prima vale anche qui, quando capita di essere coinvolto in progetti, che sia registrazione o live, perché all’esterno risulta effettivamente un mio particolare e personale modo di concepire lo strumento e suonarlo, o quando ciò viene visto come una necessità, alla quale non si può rinunciare, quella si che è una giornata di sole!
Sei un ragazzo che lavora molto a più livelli. Ti vorrei chiedere qualcosa riguardante la parte più lavorativa di questo lavoro. Come elabori il tuo cachet rispetto al lavoro proposto ? C’è sempre trasparenza in questo mondo oppure talvolta ti sei sentito sfruttato ?
I cachet spesso sono imposti, a volte va molto bene, altre volte decisamente meno; spesso in band invece si ha la possibilità di concordarli e quindi di intervenire a proprio vantaggio, o quasi.
Nonostante tu sia un ragazzo giovane e molto in vista, segui pochissimo i social e difficilmente fai video mentre suoni. Ciononostante molte persone trovano lavoro con questa formula votata molto all’ apparire. Che parere hai a tal proposito ?
Mmm, seguo abbastanza i social in realtà, ma più da spettatore in genere. Sai, paradossalmente ho caricato più video in cui suono il pianoforte che video in cui suono la batteria. Secondo le tendenze o le regole dei social, allora, dovrei non aver capito un cavolo ahahah. Scherzi a parte, sono sicuramente ottimi veicoli per dimostrare di avere delle competenze, non solo per un musicista, per chiunque. Ad oggi risulta probabilmente più difficile emergere in un settore, dato sopratutto un pungente sovraffollamento nella maggior parte dei campi e parimenti un elevato livello di preparazione sempre più diffuso, forse lo specchio dell’ansia generata da questo processo è un sovraffollamento anche sui social. Tutti a riversare le proprie competenze ed il proprio ego lì sopra, me compreso.
Al di là di questa “polemica di nonno Davide”, sono coinvolto nel processo social anche io e lo vedo positivamente. Ogni angolo del mondo è pieno di gente di grande talento che ha l’opportunità di esternare la propria creatività, la propria vena artistica. Che poi lo scopo sia farsi notare, sia semplicemente comunicare o cercare di farlo diventare un lavoro, c’è tanto fermento e tanta arte in circolo, tanta creatività da una parte all’altra del globo in tempo reale, che non si può sottolineare solo gli aspetti (alcuni) negativi. È un processo affascinante.
Sei uno dei batteristi che sta maggiormente sulla bocca di tutti gli addetti ai lavori. La prima volta che t’incontrai erano almeno 5 anni che sentivo in continuazione il tuo nome. Quali sono i ragazzi italiani della nuova generazione che segui maggiormente o che prendi a riferimento ?
Ci sono molti ragazzi italiani e non, alcuni anche miei coetanei, che seguo e alcuni sono vere e proprie influenze attualmente, penso su tutti a Michele Santoleri, che adoro e di cui sto ascoltando a rotella il disco della band in cui milita, Koinaim, penso a Giovanni Cilio, Dario Panza, Francesco Ciniglio, Claudio Laguardia, Federico Gucciardo, Alessandro Inolti, Lorenzo Lupi, Donald Renda, Enrico Morello, Francesco Aprili, Ivan Liuzzo e Alessandro Orefice. Ce ne sono davvero tanti e di indiscusso talento. Il batterista italiano con cui mi sono chiuso di più in questi ultimi anni credo siaPhil Mer.
Quali sono i tuoi riferimenti musicali attualmente ?
Come ascolti e riferimenti sono abbastanza lunatico. Un giorno ascolto Joshua Redman e Brad Mehldau, un altro giorno ascolto Tigran Hamasyan e poi i Meshuggah, un altro ancora vado in fissa con Giorgio Poi, un altro Gilad Hekselman e poi Lucio Battisti, Neffa e poi Esbjorn Svensson, poi torno a Beethoven e Chopin e poi di nuovo gli Animals as Leaders e poi Dhafer Youssef. Questo è grosso modo il mio ultimo mese di ascolti. Attualmente sono tornato in fissa, batteristicamente parlando, con Mark Guiliana e con Phil Mer, mentre Tigran Hamasyan condisce tutte le mie giornate. LUYS I LUSO sopratutto, il suo progetto corale per il quale ha riarrangiato dei canti sacri armeni del IV secolo d.C. Quella è una vera fissazione!
Quali sono le caratteristiche principali che deve avere un ragazzo adesso per lavorare ?
Star bene, la salute prima di tutto. Personalità, creatività, un bellissimo suono (ed un bellissimo sorriso … il dentista è importate) versatilità, puntualità… più frecce si hanno al proprio arco, meglio è.
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