Indecisi su cosa regalare a un batterista ? Oppure volete regalarvi un ottimo libro ? Beh, sono sicuro che quanto scritto da due delle persone più autorevoli in Italia in materia di batteria, saprà soddisfare la vostra curiosità.
Luca Luciano batterista e giornalista ha pubblicato 2 libri sulla storia della batteria in Italia (“I padri della batteria in Italia” e “Il Vintage delle batterie e dei piatti italiani”), autore di numerosi articoli su riviste specializzate e attivissimo sul web nel proporre la storia dello strumento.
Marco Volpe è una delle voci e bacchette più autorevoli in Italia in materia di batteria jazz. Da musicista ha suonato con nomi altisonanti del jazz italiano e non solo, ha studiato negli States presso il prestigioso Berklee dove affianca anche lezioni private insieme a Gary Chafee e Alan Dawson, e da didatta ha formato grandi protagonisti della batteria italiana come Enrico Matta, Giovanni Giorgi, Iarin Munari e molti altri.
Ciao a tutti, è da poco arrivato nelle librerie il vostro libro “La batteria. Il cammino di un giovane strumento”. Com’è nata questa idea e come avete raccolto tutto il materiale raccolto ?
Ciao Valerio. Quando andavo a Pistoia a far vista a Luigi Tronci, si parlava da un po’ dell’idea di scrivere un volume abbastanza largo sulla storia della batteria e che comprendesse un approfondimento sulla UFIP. Abbiamo colto l’opportunità data dal M° Giampaolo Lazzeri dell’ANBIMA, pensandolo inizialmente come un libro che raccontasse lo strumento ai percussionisti delle bande, visto che la batteria è entrata a pieno titolo nel repertorio moderno delle stesse. Da lì, l’ampliamento dei temi è venuto naturale.
Ho ricevuto l’invito da Luca Luciano, che conosco e stimo da anni per il grandissimo lavoro culturale che porta avanti nel nostro campo , e dopo aver constato con Giampaolo Lazzeri, presidente Anbima, una perfetta identità di vedute sul lavoro ho accettato ben volentieri. Ho avuto carta bianca sull’argomento da trattare, ed ho pensato che quello sull’accompagnamento jazzistico, e come questo si è evoluto nel tempo fosse un’ argomento ancora poco trattato, e su quello mi sono concentrato. Il materiale non è stato un problema, con il tempo ne ho accumulato parecchio… forse per qualcosa mi sono avvalso di internet, ma in maniera molto limitata.
Avete voluto porre l’accento su qualche punto in particolare oppure avete cercato di essere i più imparziali possibili ?
Le uniche occasioni di parzialità sono state i miei pareri su alcuni batteristi. Il resto è storia e ricerca, sempre migliorabili, ma ben poggiate su fatti.
Ovviamente ognuno ha i propri gusti, e magari ho privilegiato senza volerlo di più alcuni batteristi di altri, ma ho cercato di essere più “distaccato” possibile. Magari mi è piaciuto dare il giusto risalto a batteristi, come Tiny Khan, di cui si parla poco ma il cui drumming è stato essenziale per lo sviluppo dell’accompagnamento jazzistico.
Questo giovane cammino, dove condurrà lo strumento nei prossimi anni ?
Difficile dirlo; ci sono almeno due tendenze parallele che affondano radici in due anime diverse del sentire artistico. In linea molto generale c’è un recupero della cultura di un aperto “bel suonare”, ma anche il persistere di un playing, che indipendentemente dal virtuosismo tecnico, pare appiattito su un generico concetto di groove dietro musica molto spesso brutta. Io tifo per la prima naturalmente, ma chissà…
La batteria è nata con la grancassa azionata con il pedale, il tamburo rullante, ed una serie di attrezzi percussivi e musicali che ogni batterista aggiungeva al set secondo i propri gusti e le necessità musicale che doveva affrontare. Poi si è andati verso composizioni del set più standardizzate, ora vedo un ritorno ad una costruzione del set più differenziata, con varie aggiunte, anche elettroniche. Non da oggi, ma ultimamente questa tendenza si sta allargando a macchia d’olio, e probabilmente diventerà lo standard del futuro.
A parere vostro, qual’è l’errore più comune che si fa pensando alla storia della batteria ?
Ci penso. Non è proprio un errore, ma pensare che tutto abbia avuto origine negli States ci assomiglia. Figure ritmiche e strumenti venivano soprattutto da fuori, e anche dopo, a strumento quasi codificato, il mescolarsi dei musicisti, il loro viaggiare, ha spostato tutto oltre la culla statunitense. Insomma ci sono un prima e dopo di un certo peso.
Quella di non pensarci! Ma bisogna dire che se uno non parla inglese, le fonti per informarsi erano fino ad ora davvero ridotte o ormai introvabili. E questo libro penso che vada a colmare molte lacune.
A quali persone consigliereste la lettura di questo libro ?
A chi non riesce più a leggere e vedere sempre le stesse cose, a chi voglia fare nuove riflessioni sullo strumento, ai cultori del classico e agli avanguardisti.
A tutti coloro seriamente interessati allo strumento, agli studiosi di musica del ‘900, A tutti i culturalmente curiosi… Potrebbe essere adottato come libro di testo per i Corsi di Batteria Jazz al Conservatorio.
Immagino che non mancheranno foto e aneddoti. C’è qualche aneddoto al quale siete particolarmente affezionati o che vi ha particolarmente colpito ?
Tante foto. Ho cercato di documentare il più possibile. Certo ad avere più tempo e più possibilità si potrebbe fare ancora meglio dal mio punto di vista. E può darsi che in futuro il seme buttato possa dare spunto ad altri autori interessanti o collaborazioni utili. Cosa mi ha colpito? In generale la quantità di informazioni incontrate durante la stesura del libro. Un tesoro di possibili riflessioni ancora da fare.
Nella mia parte non ci sono foto, ma trascrizioni, alcune fatte da me, altre nelle quali mi sono fatto aiutare da bravissimi allievi o ex allievi, oggi valentissimi professionisti e che desidero ringraziare: Ruben Belllavia, Alberto Romano, Michele Sperandio e Marcello Repola. Per quanto riguarda gli aneddoti ce ne sono un paio su Max Roach e Roy Haynes che racconto più avanti.
So che avete potuto contare sulla preziosissima collaborazione di un’istituzione come Luigi Tronci. Potreste raccontare qualcosa sul suo apporto ?
Senza Gigi che si pone come trampolino e intermediatore, pare che certe cose non possano mai partire. Inoltre i suoi racconti e il suo materiale musicale, strumenti e documenti, sono fondamentali. Un paese serio dovrebbe intervenire per valorizzare il patrimonio, ma come spesso i problemi di una città sono costituiti dai suoi cittadini, qui sono i musicisti o batteristi a essere spesso distratti, ovvero poco attenti al valore culturale della fondazione. Il problema è l’attenzione alla cultura, ovvero alla scoperta. Un problema italiano più vecchio di quanto si possa pensare.
Gigi è un patrimonio dell’umanità… Lo conosco ormai da decenni e non c’è una sola volta che l’abbia incontrato (succede, nonostante le distanze, almeno una o due volte all’anno) che non mi sia ritrovato arricchito, culturalmente ma anche, direi, spiritualmente. Avere il suo imprimatur per questo lavoro è stato essenziale per la sua riuscita ed il suo valore ne esce arricchito.
Luigi Tronci
Tempo fa, Alfredo Romeo raccontò che iniziò le sue lezioni/spettacolo “Traps” dopo che si era accorto che ad un concorso molti ragazzi erano preparatissimi sullo strumento, ma sapevano poco o nulla sulla storia. Anche voi avvertite questa situazione nelle nuove generazioni ? E se sì come vi spiegate questo mancato interesse delle nuove generazioni verso le radici dello strumento che suonano ?
Mi sembra che grazie al lavoro di Alfredo, il mio e quello di altri appassionati eroi, qualcosa si sia recuperato. Ci sono ancora molti che si professano conoscitori, ma che poco sanno e che nella diffusione di informazioni da parte loro, creano una spinta disinformazione. Poco male, non stiamo parlando di salvare vite 😊
Non penso che sia un problema di giovani generazioni, i meno giovani come me sapevano ancora meno per l’estrema difficoltà a reperire informazioni di questo tipo. E ho notato che negli USA spesso sanno ancor meno, anche grandi batteristi. Ricordo che discorrendo con Max Roach, parlando dell’ hi hat (sul quale lui sviluppò un famoso solo), mi raccontò dicendomi di quanto questa parte del set fosse sempre stata importante, citando anche, fra i primi utilizzatori, Baby Dodds, che invece non l’usò mai! Ovviamente mi sono ben guardato dal correggerlo!!
Effettivamente la batteria è uno strumento relativamente recente ed ha attraversato tutto il ‘900, un secolo segnato da profondi cambiamenti sociali, oltre che culturali. Vi chiedo secondo voi com’è cambiata e come cambierà la batteria in relazione alla società ?
In linea con quello dicevo prima, ci potrebbero essere essenzialmente due strade diametralmente opposte. Una volta al recupero del classico, una estremamente commerciale e amplificata. In mezzo sempre la ricerca. Anche nel teatro, nel cinema, nel calderone delle visioni politiche c’è sempre stato spazio per coraggiosi esploratori. Sullo sviluppo dello strumento inteso come composizione del set, ho le mie idee, ma sono ancora difficili da buttar giù. Soprattutto la musica, che sia di nicchia o la più ascoltata, sarà il driver. Ancora prima… le modalità tecnologiche di diffusione e di ascolto.
Bè, innanzitutto, grazie all’entrata del mercato cinese è ora possibile avere set funzionanti a prezzi ridotti, cosa una volta impensabile. I cambiamenti ovviamente hanno sempre seguito quello che succedeva nella società e nella cultura. Ricordo Roy Haynes che diceva che aveva cominciato ad usare la cassa 18” non per scelta musicale, ma perché era l’unica che stava nella sua macchina sportiva che in quegli anni cominciavano ad essere di moda! Non saprei però dire in che modo potrà cambiare, visto che è difficile prevedere come cambierà la società…
Parlando sempre delle origini dello strumento, la batteria è forse l’esempio musicale più concreto del concetto di multiculturalità e dell’insieme delle minoranze (Alfredo Romeo lo definì “lo strumento degli ultimi”). Pensate che vista la società che viviamo nella quale sembra essersi persa la memoria storica e sono accresciuti fenomeni discriminatori, questo libro ha una valenza che prescinde dal solo campo musicale ?
Mi fai venire in mente il paradosso umano dei batteristi che adorano lo strumento, i maestri neri, ma sono razzisti, senza sapere di esserlo. I libri possono cambiare qualcosa se si accende davvero una fiammella oppure se i possibili lettori sono già libri addicted. Per alcuni bravissimi batteristi di oggi non vedo nessuna possibilità di poter fare qualche riflessione sul loro razzismo sfogliando questo volume.
Qualsiasi tipo di conoscenza e curiosità culturale si pone in contrasto agli aspetti più beceri del pensiero, il razzismo, la superficialità, la stupidità ostentata.
Per te Luca Luciano la storia dello strumento e delle sue radici è una particolare fonte d’attrazione. Difatti ha già pubblicato 2 libri riguardanti il vintage italiano ed i padri dello strumento in Italia, oltre alle importanti rubriche che hai curato su Percussioni e Drumset Mag. Com’è nata questa passione ?
Dai libri di Centazzo, dalle batterie vecchie che vedevo in TV o sui libri e non sapevo riconoscere, da un negoziante titolare che mi tolse da mano un vecchio catalogo Sonor che il suo assistente mi aveva dato, da tanti contatti umani arricchenti come Tronci e altri appassionati stranieri di vintage. Insomma da riflessioni più mature su un altro mondo della batteria; ciò che sembra pura materia, il pezzo vintage, a conoscerla, annusarla a volerne sapere di più, ti porta giocoforza (scambi con altri appassionati, la scoperta umana di “musicisti altri” soprattutto) a toccare un lato artistico dello strumento e quindi della musica.
Per te Marco Volpe avendo studiato e vissuto all’estero, la percezione di una disaffezione verso la storia da parte delle nuove generazioni è una cosa che appartiene solo all’Italia o l’avverti anche all’estero ?
Ho già risposto… non so in altri paesi europei, ma negli USA, dove pure avrebbero possibilità di conoscenza ben più approfondite senza dover conoscere un’altra lingua, non sono messi meglio.
Foto relativa agli anni trascorsi da Marco Volpe (quinta persona partendo da sinistra verso destra) presso la Berklee ; in questa foto compare insieme a Gary Burton (seconda persona)
Nel libro avete parlato di storia. A parere vostro, quali batteristi emergenti odierni che lasceranno un segno immaginosegno tangibile al punto tale da comparire su un libro storiografico tra qualche decennio ?
Tanti che non riesco a dirne. Io vorrei segnalare solo un paio di quelli che non appariranno mai come innovatori della batteria, ma che si sono immersi in una dimensione musicale molto personale: Jay Bellerose e Steve Jansen.
E’ sempre difficile predire il futuro… Se dovessi scommettere su un nome, punterei sul giovanissimo JD Perry. Il suo lavoro è davvero notevole, soprattutto quando si trova al fianco di quell’altro fenomeno che è Domi Degalle. Ma recentemente ho scoperto, in ambito più jazzistico, un’ altro giovane batterista che mi ha molto colpito: Tyson D. Jackson.
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